Migranti, corpo europeo di guardie di frontiera? Soluzione giusta
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Migranti, corpo europeo di guardie di frontiera? Soluzione giusta

Intervista a Chiara Favilli, docente di diritto comunitario: Serve a condividere l’onere del controllo tra gli Stati, ma non inciderà sul flusso dei richiedenti asilo.

Filo spinato per bloccare il flusso di migranti
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26 Gennaio 2016 - 10.27


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Un corpo europeo di guardie di frontiera, che aiuti a far fronte alla crisi dei rifugiati. La proposta arriva oggi sul tavolo della trattativa dei ministri dell’Interno dell’Unione, riuniti ad Amsterdam in un summit straordinario in cui si parlerà di immigrazione, lotta al terrorismo e di una possibile sospensione del trattato di Shengen sulla libera circolazione delle persone. Ma cosa comporterebbe nei fatti tutto questo? E come potrebbe incidere sui flussi migratori che, costanti, continuano a riguardare l’Europa? Lo abbiamo chiesto a Chiara Favilli, docente di diritto della Comunità Europea all’Università degli studi di Firenze e socia dell’associazione Asgi.

Sul tavolo del summit tra i ministri dell’Interno oggi ci sarà anche l’ipotesi di creare un corpo di guardie di frontiera europee. Come giudica questa proposta e che ricadute potrà avere sul fronte dell’immigrazione?
L’ipotesi di una guardia frontiera europea era già stata presentata lo scorso 18 dicembre ed è ora all’esame Consiglio. La proposta è volta a far sì che ci sia un’autorità europea che possa attivamente procedere al controllo delle frontiere. Questo oggi non è previsto, se non nei limiti del mandato di Frontex, che può agire soltanto su cooperazione degli stati membri. Mentre una guardia di frontiera potrebbe intervenire direttamente quando ci sono situazioni di crisi. Addirittura la proposta prevede, in ultima analisi, che possa agire senza il consenso del singolo stato. Io vedo questa proposta come estremamente positiva. E’ il modo in cui si può affrontare l’emergenza nella gestione dei flussi migratori con un maggiore intervento dell’Unione europea. Fino a oggi, infatti, la critica più diffusa è stata quella di riversare nei paesi di frontiera esterna l’onere del controllo dei flussi migratori. Questo sarebbe un modo per far sì che ci sia operativamente una struttura dell’Unione europea che lo faccia. La vedo come un’evoluzione positiva.

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Secondo lei, dunque, con una guardia di frontiera europea una situazione come quella che si è creata nei Balcani nei mesi scorsi si sarebbe potuta risolvere prima e meglio?
Credo di sì. In quel caso l’ intervento della guardia europea si sarebbe potuto attivare e ci sarebbe stata una condivisione da parte di tutti gli stati nel controllo delle frontiere, soprattutto in quegli stati che hanno oggettivi problemi nel farlo, come la Grecia. La guardia di frontiera europea non avrebbe di certo risolto il problema, ma si sarebbe almeno condiviso l’onere del controllo non lasciandolo soli alcuni paesi. Credo che questo aiuterebbe anche a prevenire la posizione di molti stati del Nord Europa che ritengono di non dover accogliere migranti e richiedenti asilo, perché sostengono che il controllo delle frontiere non viene effettuato in maniera corretta. Se ci fosse una guardia di frontiera europea difficilmente potrebbero dire questo. Ci sarebbe una maggior fiducia tra gli stati memebri, quella che oggi purtroppo non c’è.

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Come inciderebbe questo sui flussi migratori?
E’ fondamentale sottolineare che operare un controllo di frontiera non significa bloccare le persone o non farle entrare. Questo è un punto fondamentale anche in vista di un ipotetico ripristino dei controlli alle frontiere interne. Tutti i richiedenti asilo devono poter entrare. L’attuazione di una guardia di frontiera, dunque, non determinerà il flusso di richiedenti asilo: per intenderci, se arriva un’imbarcazione in qualsiasi isola greca è chiaro che deve essere fatta attraccare. Quello che verrebbe fatto, e che gli Stati europei imputano alla Grecia e all’Italia, è la registrazione e l’identificazione delle persone. Oggi i paesi di frontiera non lo fanno adeguatamente e questo non permette di avere prontezza su quante persone effettivamente arrivano e possono essere ricollocate secondo il meccanismo approvato dagli stati membri.

I controlli servirebbero per fare quello che in questo momento non si sta facendo con gli hotspot previsti in Italia e Grecia?
Esattamente. Gli hotspot sono stati molto criticati, anche dall’Asgi, perché sono centri in cui non è chiaro il tipo di procedura che si utilizza, né la possibilità delle ong di verificare effettivamente il trattamento delle persone. Però va detto che un problema di fondo c’è: l’Italia e a Grecia in questi anni hanno accettato norme che prevedono la registrazione e l’identificazione dei migranti Se si arriva al 2016 senza riuscire ancora a farlo è chiaro che l’Unione europea deve trovare altre modalità. Anche se sul sistema hotspot c’è un’ambiguità che va sciolta, è chiaro che va anche affrontata in maniera seria la questione delle impronte. E oggi Italia e Grecia non lo stanno facendo.

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Si parla anche di una possibile esclusione temporanea della Grecia dal trattato di libera circolazione. Secondo lei è possibile e che cosa comporterebbe?
Io credo che l’esclusione della Grecia sia assolutamente da evitare. Nei fatti, tra l’altro, la questione tecnica è complessa, e non credo che si arriverà a escluderla. Il problema di fondo è che , per prorogare i controlli alle frontiere interne, e che hanno una durata massima di sei mesi, ci vuole una giustificazione seria e aggravata, Questa giustificazione può dipendere dal fatto che esiste in uno Stato un problema di controllo di frontiera. Anche se sulla carta finora non c’è nulla su questo, quello che potrebbe accadere è che, invocando la crisi sistemica che esiste in Grecia, possa essere approvata una proroga dei controlli di frontiera interna nei sei paesi che già li hanno ripristinati. Tutto questo è già previsto dal regolamento Schengen. Quella che si sta decidendo non è la morte di Schengen ma l’applicazione di una sistema di regole già previste. Tutto questo, lo ripeto, non servirà a contenere i flussi ma per motivi di ordine pubblico o sicurezza. (ec)

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