Belgrado sull’acqua, belgradesi all’aperto
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Belgrado sull’acqua, belgradesi all’aperto

Il mega investimento arabo prevede quasi 2 milioni di metri quadri di costruzioni extra-lusso, ma nessuno ha ancora detto agli abitanti del luogo che fine dovranno fare

Belgrado sull’acqua, belgradesi all’aperto
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redazione Modifica articolo

27 Marzo 2015 - 09.17


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Il progetto secondo il premier Aleksandar Vucic ha già attirato l’interesse di migliaia di persone che “non vedono l’ora” di acquistare gli appartamenti extra-lusso di “Belgrado sull’acqua”: gli annunci delle autorità serbe si fanno sempre più frequenti e ottimistici per contrastare le polemiche che percorrono la società civile di fronte al piano destinato a stravolgere una delle aree centrali e più ricche di storia della capitale serba. L’Accademia nazionale di architettura ne ha già chiesto “con urgenza” la sospensione, perché con i suoi 1,8 milioni di metri quadri di spazio costruito il piano potrebbe risultare “la più grande costruzione illegale al mondo”

 
”Belgrado sull’acqua” nasce da un accordo con la Eagle Hills, società degli Emirati Arabi che ha promesso un investimento di circa 3,5 miliardi di euro, come precisato sempre dal sindaco, Sinisa Mali. La zona adiacente alla stazione ferroviaria e sulle rive del fiume Sava verrebbe spianata per realizzarvi un complesso architettonico dell’ampiezza di oltre 100 ettari: sul tutto svetterebbe una torre, simile a quella costruita dalla “Eagle Hills” a Dubai, la cui altezza è stata più volte modificata negli annunci governativi e che dovrebbe essere compresa fra i 180 e i 220 metri. Nonostante le dichiarazioni ottimistiche, l’inizio dei lavori è stato rimandato più volte nel corso dell’ultimo anno: così è stato anche per l’ultima data, quella di marzo, che si è trasformata in una più generica “fine dell’estate”. Nessuno ha invece chiarito cosa potrà succedere agli abitanti che oggi vivono e lavorano in un quell’area, come testimoniano le voci raccolte in questi giorni.

Dejan Bjelobaba è proprietario di una stazione di servizio che la sua famiglia ha acquistato 35 anni fa. In realtà, dice, i funzionari del Comune si sono presentati già diverse volte alla porta. “Tutte le volte ci hanno detto che dovevamo trasferirci e andare ad investire in qualche altro posto – precisa – ma noi abbiamo già investito qui a suo tempo. Tutta la nostra vita è qui”. La stazione di servizio dei Bjelobaba si trova esattamente al confine fra la parte più antica della zona denominata Savamala, che verrà trasformata in un museo, e l’area che invece sarà demolita interamente.  “Ci hanno detto che non ci daranno nessun compenso per la perdita dell’attività, e che possiamo solo andare a piangere di fronte al palazzo del municipio”. La famiglia Bjelobaba considera il progetto arabo una “rapina” dagli effetti disastrosi. 

“Non c’è futuro per noi – conclude Dejan – e questa sarà semplicemente la fine”. Scendendo di qualche centinaio di metri rispetto alla stazione di servizio, si raggiunge la riva del fiume Sava dove ancora sono attraccate chiatte da trasporto e barche di pescatori. Lungo la sponda si snoda una fila di piccoli caffè e punti di ristoro, frequentati per lo più da pescatori e pensionati. Appena dietro, infine, c’è la pista per ciclisti e pattinatori che termina nel parco di Ada Ciganlija. Tutto questo presto sparirà e non vi sarà più spazio per la vita sociale, dicono gli avventori di un bar che da decenni ospita molti dei pescatori della zona.

“Non ho niente contro questo progetto, ma ho paura che non avremo più la possibilità di pescare”, dice Stanoje Stamenkovic, 74 anni. Fra un mese, ha sentito dire da altri colleghi, tutte le barche saranno rimosse dalla riva. Stamenkovic non ne ha avuto conferma da nessuno, ma ha già visto, dice, dei tecnici che prendevano delle misure, segnavano il terreno con dei marcatori e probabilmente valutavano la struttura del suolo per delle future costruzioni. Oltre ai pescatori, l’area della Sava da sempre ospita degli agglomerati abitativi, più o meno legali, che comprendono palazzine storiche accanto a costruzioni abusive.

Molti degli abitanti, dice ancora Stamenkovic, hanno già abbandonato l’area cercando una nuova casa nei quartieri più periferici. Altre famiglie, per lo più rom, hanno invece deciso di restare trasferendosi di qualche  decina di metri. “Li troverete sotto i ponti, radunati in baracche”, dice il pescatore. Oltre il ponte della ferrovia le case sono ancora tutte in piedi, ma vuote per la maggior parte. Accanto è ancora abitato invece l’agglomerato noto come “il centro dei vagoni”, sorto anni fa come soluzione temporanea per alcune famiglie di ferrovieri a cui era stato promesso un appartamento nelle vicinanze del luogo di lavoro. Allora si erano visti accordare il “permesso di attendere”  la nuova casa in quelle abitazioni provvisorie.

Miroslav non è ancora andato in pensione e lavora alle Ferrovie da decenni. Alcuni mesi fa, racconta, hanno bussato alla sua porta i funzionari del comune, chiedendo le dimensioni della casa. “Da quel momento non è più successo niente. Nel frattempo alcuni hanno traslocato in altri quartieri, ma noi resteremo qui fino a che non ci diranno di andarcene, e a quel punto dovranno trovarci una sistemazione. Non ho idea – conclude – di quello che succederà”.

(Fonti: Balkan Insight – agenzie)

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