Cameron vira a destra e si rimangia le promesse
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Cameron vira a destra e si rimangia le promesse

Un rimpasto di governo per cercare di dare un colpo al cerchio e uno alla botte, aumentando a 32 gli incarichi. Ma che fine fanno le promesse elettorali? [Francesca Marretta]

Cameron vira a destra e si rimangia le promesse
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redazione Modifica articolo

6 Settembre 2012 - 13.45


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da Londra

Francesca Marretta

Il primo ministro David Cameron ha mischiato le carte del Governo, con in mente fin da ora le prossime elezioni. Il primo rimpasto nell’Amministrazione di coalizione Tory-LibDem fa registrare uno spostamento del baricentro verso destra e una diminuzione della già scarsa presenza femminile nell’esecutivo. Evidente anche l’abbandono di qualsiasi velleità ambientalista nell’esecutivo. L’attenzione all’ambiente era stato però un punto chiave del manifesto di Cameron quando era all’opposizione e millantava un nuovo corso del suo Partito. Prima di essere eletto Cameron aveva anche giurato di non toccare l’Nhs, il servizio sanitario nazionale, cosa che invece ha fatto, sforbiciando per dare spazio all’iniziativa privata.

Ora che Cameron ha in tasca le chiavi del numero 10 di Downing Street, si può dunque rimangiare altre promesse solenni, come il “no” all’allargamento dell’aeroporto di Heathrow. Il licenziamento di Justine Greening, il ministro dei Trasporti contrario all’espansione dell’aeroporto di Heathrow, sostituito da Patrick McLoughlin, che ha coperto la stessa carica ai tempi di Thatcher e Major, la dice lunga. Il Premier di Londra dice che i cambiamenti nella squadra servono a mettere in primo piano l’economia, andata solo peggio nei suoi due anni di governo.

In totale 29 ministri sono stati sostituiti. Per dare un colpo al cerchio e uno alla botte Cameron ha però aumentato il numero degli incarichi di governo a 32, mai così tanti. Figure chiave dell’esecutivo come il capo delle Finanze George Osborne, fischiato in diretta nei giorni scorsi in uno stadio gremito, mentre consegnava una medaglia alle Paralimpiadi, Theresa May, Ministro dell’Interno, William Hague (Esteri), Michael Gove e Istruzione e Iain Duncan Smith, restano al loro posto (si mormora che Cameron abbia cercato di spostare Smith, che però lo avrebbe mandato a quel paese).

Ci sono poi figure controverse che in questo rimpasto si sono assicurate una promozione, come Jeremy Hunt, ministro della Cultura ora passato alla Sanità, nonostante il suo ruolo ambiguo nella vicenda relativa all’acquisto BSkyB da parte di Murdoch, magnate delle Comunicazioni che l’anno scorso ha dovuto chiudere il best-seller News of the World per lo scandalo delle intercettazioni telefoniche.

Diversi ministri licenziati hanno acquisito il titolo di cavaliere (senza cavallo, è il caso di sottolineare). I ministri LibDem che contano qualcosa sono solo sei. La dipartita dal Ministero della Giustizia di Kenneth Clarke, conservatore considerato troppo garantista, è l’ennesima mossa di Cameron che scontenta gli alleati della coalizione.

Se Cameron crede di accontentare lo zoccolo duro Tory in vista delle prossime elezioni, pensando a una riconferma, non fa bene i conti. Per restare a Downing Street dopo le prossime elezioni dovrà quasi certamente trovare la giusta alleanza di governo.

Nel 2010 l’attuale premier era ben più popolare di oggi. Lo stesso vale per il suo vice liberaldemocratico Nick Clegg. Che però sarà, con ogni probabilità, ancora una volta il king-maker di un futuro governo. Fin da ora si prevede infatti che le prossime elezioni politiche in Gran Bretagna consegneranno al paese un nuovo hung-parliament, con nessun vincitore assoluto. Nei sotterranei della politica londinese sono in corso manovre di avvicinamento tra il leader laburista Ed Miliband e gli scontenti del partito di Clegg.

Un’alleanza elettorale tra quest’ultimo e Miliband, oltre che soddisfare un elettorato liberaldemocratico che non ha mai digerito l’alleanza coi Tory, potrebbe confinare quella destra che Cameron cerca di blandire tra le fila di un’opposizione perpetua.

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