Libia, Amnesty: accuse durissime alla Nato
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Libia, Amnesty: accuse durissime alla Nato

Ieri l'anniversario dei primi "bombardamenti umanitari". Amnesty denuncia almeno tre raid su obiettivi civili, con donne e bambini uccisi, "senza spiegazioni".

Libia, Amnesty: accuse durissime alla Nato
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20 Marzo 2012 - 11.17


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Ieri era un anno dai primi bombardamenti «umanitari» su Tripoli dei caccia francesi per conto della Nato. E Amnesty International ha scelto la data per dare una bella strigliata alla coalizione «dei volenterosi» – Francia, Gran Bretagna, Usa, Italia, ecc. – denunciando la mancanza di indagini da parte della Nato sulle numerose vittime civili provocate dai raid in Libia. «Non ci si può limitare al rammarico, occorre investigare e individuare i responsabili (oltre che indennizzare le famiglie), perché che su almeno tre raid su obiettivi civili, che hanno ucciso anche donne e bambini, «non ci sono spiegazioni». È quanto si legge nel documento «Libia: le vittime dimenticate degli attacchi aerei della Nato», pubblicato ieri dopo le missioni che Amnesty ha svolto, lo scorso gennaio e febbraio, in una serie di luoghi centrati dagli attacchi aerei della Nato, verificando i danni e i resti delle munizioni, intervistando sopravvissuti e testimoni e ottenendo i certificati di morte delle vittime.

Nel documento, A.i. denuncia che gli attacchi aerei della Nato hanno provocato numerose morti di civili libici che non stavano prendendo parte ai combattimenti e un numero ancora maggiore di feriti, in gran parte colpiti all’interno delle abitazioni. La Nato, continua la requisitoria, non ha condotto le necessarie indagini e non ha neanche tentato di stabilire contatti coi sopravvissuti o coi parenti delle vittime. «È con profondo disappunto che constatiamo come, oltre quattro mesi dopo la fine della campagna militare, le vittime e i parenti delle persone uccise dagli attacchi aerei della Nato rimangano all’oscuro di cosa sia accaduto e di chi ne sia stato responsabile», ha dichiarato Donatella Rovera di Amnesty.

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La risposta della Nato è insieme debole e sprezzante. L’Alleanza ha condotto «una campagna molto precisa» in Libia e può dimostrare di aver fatto «ogni sforzo per evitare perdite civili», ha «controllato ogni accusa credibile di danno ai civili» e «continuerà a farlo». Ma, diceva ieri la portavoce da Bruxelles, Oana Lungescu, «è importante notare che la Nato non aveva osservatori sul terreno durante le operazioni e non ha ricevuto mandato per condurre attività in Libia dopo la fine delle operazioni» ma «ha risposto prontamente alla lettera inviata da Amnesty International il 5 marzo scorso». «La campagna della Nato è stata condotta in modo pienamente aderente al mandato delle Nazioni unite e con le leggi umanitarie» (la risoluzione 1973 parlava in effetti della «protezione dei civili con tutti i mezzi…»), «abbiamo compiuto le nostre operazioni come la massima cautela e precisione, come riconosciuto dalla Commissione internazionale di inchiesta sulla Libia, la quale ha concluso che la Nato ha “condotto una campagna di alta precisione con una dimostrabile determinazione per evitare perdite civili”. La Commissione ha anche riconosciuto “l’obiettivo della Nato di prendere tutte le necessarie precauzioni per evitare completamente ogni perdita civile”».

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Lugescu era incontenibile, evidenziando che la denuncia di Amnesty ha centrato l’obiettivo: «La Commissione non ha rilevato violazioni della legge internazionale da parte della Nato», «il segretario generale delle Nazioni unite il 13 marzo ha rilevato che la Nato non ha deliberatamente mirato obiettivi civili in Libia» (e ci mancherebbe visto che fu il pallidissimo Ban Ki-moon a sollecitare l’intervento «umanitario» dell’Alleanza militare per contro dell’Onu).
La Nato si dice pronta a rivedere tutti i dati dell’operazione anche se è certa «che gli obiettivi colpiti erano legittimi obiettivi militari, scelti in modo aderente al mandato delle Nazioni unite» (e due). Per quanto riguarda «le compensazioni» alle famiglie delle vittime civili, «meglio rivolgersi alle autorità libiche».

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