Perché Pechino non scarica Assad
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Perché Pechino non scarica Assad

Al governo cinese interessa solo la stabilità della Siria, partner commerciale e punto di riferimento strategico in Medio Oriente. Senza il dittatore si teme il caos.

Perché Pechino non scarica Assad
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13 Febbraio 2012 - 08.55


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di Chen Xinxin

Dopo il doppio veto al Consiglio di Sicurezza Onu, la Cina annuncia l’intenzione di inviare emissari in Medio Oriente, con l’obiettivo dichiarato di contribuire – prima o poi – a risolvere la crisi siriana. E parla. Dialoga, ufficialmente per la prima volta, con una delegazione dell’opposizione interna al leader siriano Bashar al-Assad, dopo esser stata accusata (insieme alla complice Mosca) di aver rinnovato la “licenza di uccidere” al regime di Damasco. Chiacchiera a qualche settimana da quel sentimento di “pietà” che l’ha spinta a donare – tramite la sua ambasciata in Siria – una decina di walkie-talkie agli osservatori della Lega Araba, in difficoltà tra scarso equipaggiamento e sequestri di attrezzature all’arrivo nel Paese.

Giovedì Pechino ha annunciato che il vice ministro degli Esteri, Zhang Zhijun, e una rappresentanza del Coordinamento nazionale per il cambiamento democratico si sono seduti intorno allo stesso tavolo. A quasi un anno dall’inizio della crisi siriana, con almeno 5.400 morti (ultimo bilancio Onu, ma per gli attivisti sono molti di più) e nel mezzo del massacro delle forze governative a Homs, la Repubblica Popolare continua a ripetere il diplomatico invito a «tutte le parti coinvolte a porre fine alle violenze». E fa trapelare l’auspicio che si evitino nuove vittime «tra i civili», che suona come un’assurdità mentre la Siria continua a bruciare.

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A Zhang, hanno detto da Pechino, gli oppositori (invitati ufficialmente dall’Istituto per gli affari esteri, sostenuto dal governo: per la Cina sarebbe stato troppo “esporsi a tanto”!) hanno ribadito la speranza che il gigante d’Asia «giochi un ruolo di maggior rilievo per una rapida soluzione della crisi siriana». La visita degli oppositori nella Repubblica Popolare «era in programma da tempo», ha affermato il portavoce del ministero degli Esteri, Liu Weimin, come a voler negare ogni possibile legame con le reazioni suscitate a livello internazionale dalla decisione di ricorrere al veto in Consiglio di Sicurezza e, al contempo, escludere qualsiasi indiscrezione su una marcia indietro del Partito Comunista.

La Cina, che si professa «amica di tutti i siriani», vanta relazioni diplomatiche con la Siria dal 1956. Negli ultimi anni, uno degli obiettivi cinesi è stato consolidare le relazioni con i Paesi del Medio Oriente. E la Siria ha sempre visto nella Repubblica Popolare una valida alleata contro gli Usa. L’incontro del 2001 tra il presidente cinese Hu Jintao e Assad (che nel 2004 è stato il primo leader siriano a recarsi in terra cinese) ha aperto un nuovo capitolo nei rapporti tra i due Paesi, che vanno ormai oltre gli storici interessi dell’industria della difesa cinese. Tra l’altro, proprio ieri Pechino ha respinto le accuse di aver venduto, direttamente o indirettamente tramite l’Iran, armamenti alla Siria.

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I colossi cinesi del petrolio hanno investito centinaia di milioni di dollari in Siria per modernizzarne le infrastrutture e lavorano con aziende locali attive nel settore dell’energia. Se nel 2000 il volume dell’interscambio commerciale era di 174 milioni di dollari, nel 2010 ha raggiunto quota 2,2 miliardi. Ma la Cina, nelle parole di Liu, «non guarda al proprio interesse nella questione siriana». La Repubblica Popolare non sostiene Assad, sostiene quella che individua come “stabilità”. La Siria è una pedina della strategia del gigante d’Asia della Nuova Via della Seta. Si può rischiare l’incertezza di quel che verrà dopo il sanguinario Assad?

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