Ibrahim Yazdi l'uomo che fa paura al regime iraniano
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Ibrahim Yazdi l'uomo che fa paura al regime iraniano

Leader democratico, da otto anni è detenuto nelle tenebrose prigioni khomeiniste, è il simbolo dell'Iran che non si è arreso al regime ma il mondo lo ha dimenticato.

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8 Gennaio 2012 - 11.37


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di Ali Izadi

Qunado un governo comincia a imprigionare i simboli di una nazione, di un popolo, vuol dire che le cose vanno male, ma quando la comunità internazionale finisce col non accorgersene quasi più vuol dire che le cose vanno ancora peggio, terribilmente peggio. E Ibrahim Yazdi è proprio un simbolo, una bandiera dell’Iran che gli ayatollah vorrebbero non esistesse più.

La battaglia politica di questo indomabile liberale cominciò ai tempi dello scià. Era giovane allora il nostro Yazdi quando insieme all’ideologo della rivoluzione iraniana, Ali Shariati, fondò il movimento per la liberazione dell’Iran. Dagli Stati Uniti, dove andò a completare i suoi studi, divenne presto uno dei nomi di punta del nuovo Iran e nel 78 la rivoluzione lo vide salire ai vertici della Repubblica. Vice premier del governo del grande Bazargan, suo compagno di partito, Yazdi ne fu soprattutto il versatile e influente ministro degli Esteri. Fino alla crisi del sequestro degli americani.
Lui intervenne subito per risolverla, ottenendo da Khomeini il via libera. Ma nel giro di poco ore la guida cambio’ idea, si schierò con i golpisti e il governo Bazargan-Yazdi si dimise.

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Da allora lui ha seguitato a portare avanti la sua battaglia anti teocratica, anti totalitaria. Una battaglia che lo portato più volte in carcere. Eppure lui è riuscito a tenere in vita il movimento per la liberazione dell’Iran, sebbene i settori piu’ conservatori del regime lo considerino fuori legge.

Dopo la rielezione farsa di Ahmadinejad, Ibrahim Yazdi è diventato un ospite fisso delle prigione piu’ tenebrose del regime khomeinista, a cominciare da quella piu’ nota e temuta, Evine. E’ lì che è stato torturato, seviziato, come tanti altri oppiasti politici del regime.
Malato, afflitto da un tumore alla prostata, Yazdi ha ricevuto nei giorni scorsi notizia di un’altra condanna. Otto anni di reclusione per spionaggio e complotto ai danni della nazione. Per un uomo che speso gli ultimi anni quasi integralmente in carcere, puo’ sembrare strano. Non a lui però che ha commentato la sentenza dicendosi non sorpreso: “i regimi fanno così quando vogliono imprigionare un dissidente.”

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I tribunali khomeinisti non hanno bisogno di prove per condannare qualcuno, ma certo non può essere passato inosservato che Yazdi nei giorni scorsi ha scritto al segretario generale dell’Onu, sollecitando a non varare nuove sanzioni contro l’Iran, che danneggerebbero solo gli iraniani normali, a non dichiarare guerra al nostro paese, inaccettabile per gli iraniani, ma a promuovere un referendum popolare sul regime. Ecco la sua colpa, il suo complotto.

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