Nella mia Oslo, venerdì pomeriggio...
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Nella mia Oslo, venerdì pomeriggio...

Dalla Norvegia le riflessioni di un giornalista per lunghi anni in Italia. Il rischio, dice, è quello della chiusura di una società aperta e democratica. [Ulf Laurang]

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26 Luglio 2011 - 14.57


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di Ulf Laurang

E’ stato un boato tremendo. Guardo l’orologio per istinto: le 15.26. Venerdì il 22 luglio, per la cronaca, ed ero a casa a godermi un torneo di golf alla televisione. Sento la casa tremare. Così forte che faccio un salto sulla sedia. Ho pensato ad una carica di dinamite, visto che da più di due anni stanno costruendo un tunnel ferroviario a solo 500 metri della casa. Infatti dicevo a me stesso; adesso qualcuno viene licenziato, visto che non ho sentito il solito segnale di allarme prima che fanno saltare la carica. Guardo dalla finestra per vedere se magari è stato un incidente con il gas. Niente.

Oriente nordico. Pochi minuti più tardi vedo sul teleschermo cosa è accaduto in pieno centro della capitale Norvegese, a solo 5 chilometri della casa mia. Una bomba! Un attentato terrorista? Una fuga di gas.? Poco a poco viene fuori la notizia che si tratta di una bomba. Ad Oslo! Nel paese quasi più tranquillo del mondo! Vedo scene di distruzione e di panico che sono le cronache di paesi lontani.. Sembra che sia saltato in aria tutto il quartiere dove si trova il governo. L’appello della polizia è di non muoversi da casa per non intralciare i soccorsi. Ci sono vittime. Qui, ad Oslo!

La guerra in casa. Incollato come tutti al teleschermo, arrivano le prime notizie da Utoya. Si parla di una sparatoria sull’isola. Viene fuori che si tratta di una massacro vero e propria. Elicotteri, polizia e ambulanze passano davanti a casa mia in direzione Utoya. Per tutta la serata –e la notte– continua il traffico avanti e dietro di elicotteri e ambulanze mentre potevo guardare in diretta la dramma sul televisione. Viene fuori la notizia che a sparare era stata un uomo vestito da poliziotto. Ma a sorprendere di più, il dettaglio che l’assassino era norvegese e parlava dialetto di Oslo.

L’islam e la crociate. Prima tutti parlavano di una strage compiuta da fanatici del islam. Addirittura da Al Qaida. Terrorismo che veniva da lontano, era la sostanza: follia importata. Altri commentatori facevano riferimento all’attentato a Oklahoma City, l’azione di un folle nativo americano. Insomma, circolavano voci differenti, ipotesi e deduzioni, mentre tutta la nazione teneva il fiato. Era una grande paura naturalmente, ma sempre rivolta versi un attentato esterno. Ammazzare a casaccio con un ordigno e la sparatoria da Far West sull’isola, non è cosa norvegese!

Un vicino tanto per bene. Durante la notte, vengono fuori i dettagli della strage, del carnefice, e delle vittime: giovani, ragazze e ragazzi, persino bambini. E che avevano catturato il terrorista: norvegese come noi. Niente fanatici dell’islam, di Al Qaida. Un giovane, biondo norvegese. Uno che viveva ad un paio di chilometri da casa mia. Un ragazzo che avevo visto molte volte. Non lo conoscevo personalmente. Solo visto per strada, nei negozi. Un ragazzo per bene, cresciuto poi in una zona di Oslo “per bene”, parte ovest della città. La parte dei ricchi e per bene, come si dice.

Respingere la paura. Mentre scrivo queste parole, è appena terminata una manifestazione in pieno centro di Oslo. 150.000 persone a testimoniare che la democrazia è ancora più forte di sempre. Per onorare le vittime. Per dire di No all’odio. Per far vedere al mondo che l’amore può vincere tutto! Tutto ciò mi fa sentire molto fiero di essere norvegese e che sono certo che la nostra democrazia aperta – la nostra società aperta – non solo sopravviverà a questa tragedia, ma che ne uscirà fuori ancora più forte. Che la paura non vincerà. Non cambierà la nostra democrazia.

Lo shock e la memoria. La nazione non dimenticherà mai il 22 luglio 2011, il sacrificio di almeno 70 persone. E il pensiero che la punizione massima secondo la legge in Norvegia è di 21 anni di carcere, mi fa sentire male. Spero veramente che troveranno le vie per tenerlo in carcere a vita, che non uscirà mai. Adesso tutti si chiedono se era veramente solo o se esistono dei complici. Si sa che aveva pochi amici, anche se faceva parte della massoneria. Poteva mettere in scena tutto questo da solo? Tutti si augurano di si, ma siamo in molti a non crederlo possibile.

Strage solitaria? L’assassino è stato visto insieme ad altre persone quando chiedeva informazioni in vari negozi. Lui insiste di essere stato solo, ma dice anche che esistono altre due cellule terroriste pronte a nuovi attacchi. Non si sa cosa pensare. Crea solo paura. E’ naturale, no? Spero che in breve tempo la polizia riesce ad entrare – penetrare – nel mondo folle di questa persona e sapere la verità. E poi spero veramente che una strage così folle non creerà uno o più imitatori. Una o più persone decise a mostrare al mondo il loro odio coltivato nella solitudine della loro follia.

Il mostro biondo. Resta ora da vedere se la società aperta e libera norvegese potrà far sopravvivere le sue tradizioni dopo la carneficina compiuta da Anders Behring Breivik. Io mi auguro di si, però ho paura di sbagliarmi. Adesso non basterà cercare i fanatici dell’islam, che te li immagini tutti con una faccia diversa dai norvegesi biondi. Adesso esiste la paura che dobbiamo cercare i terroristi e i mostri a anche dentro casa nostra. Che poi sono quasi tutti biondi come lo sono io. La follia criminale, l’ideologia assassina che ti cresce in casa. Pensiero pauroso.

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