Espellere dal mondo le armi nucleari: non è un film ma una battaglia di civiltà
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Espellere dal mondo le armi nucleari: non è un film ma una battaglia di civiltà

Si celebra quest’oggi, 29 agosto, la Giornata internazionale contro i test nucleari, promossa dalle Nazioni Unite a partire dal 2009 e che punta a porre fine ai test su questo tipo di armi per scopi tanto civili che militari

Espellere dal mondo le armi nucleari: non è un film ma una battaglia di civiltà
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

29 Agosto 2023 - 15.03


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Ora che “Oppenheimer”, il film di Christopher Nolan,  è diventato il boom cinematografico dell’anno, forse sarà più “trendy” parlare di disarmo nucleare. 

Una Giornata da celebrare

Ne danno conto, con la consueta puntualità e spessore analitico, Rete Italiana Pace e Disarmo (Ripd” e Senzatomica

“Si celebra quest’oggi, 29 agosto, la Giornata internazionale contro i test nucleari, promossa dalle Nazioni Unite a partire dal 2009 e che punta a porre fine ai test su questo tipo di armi per scopi tanto civili che militari. Dal primo test atomico, svolto nel sito Trinity il 16 luglio 1945 dagli Usa come preparazione alle bombe poi lanciate su Hiroshima e Nagasaki, ne sono stati effettuati più di 2.000 complessivamente. Agli albori dei test atomici non si teneva conto dei loro effetti devastanti sulla vita umana, né tanto meno dei pericoli del fallout nucleare dei test atmosferici. Il senno di poi e la storia ci hanno mostrato gli effetti terrificanti e tragici dei test sulle armi nucleari su persone e ambiente, perché non è possibile effettuare un controllo completo e considerando che oggi le armi nucleari molto più potenti e distruttive dei primi ordigni atomici. LaInternational Campaign to Abolish Nuclear Weapons(Ican, Premio Nobel per la Pace 2017, di cui anche Rete Pace Disarmo e Senzatomica – promotrici di “Italia, ripensaci – fanno parte) ha evidenziato il “costo umano” dei test nucleari raccogliendo documentazioni e testimonianze delle vittime. Gli esperimenti condotti in varie parti del mondo (Kazakistan, Algeria, Stati Uniti, Isole del Pacifico…) hanno avuto come risultato epidemie di tumori e altre malattie croniche. Senza dimenticare come ampie porzioni di territorio rimangono radioattive e non sicure per la presenza umana anche decenni dopo la chiusura dei siti di sperimentazione. Le vittime di questi esperimenti tossici non devono essere dimenticate e le loro richieste di giustizia e assistenza devono essere soddisfatte.

Il 2 dicembre 2009 la Sessione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha dichiarato il 29 agosto Giornata internazionale contro i test nucleari, adottando all’unanimità la risoluzione 64/35. La risoluzione chiede di aumentare la consapevolezza e l’educazione “sugli effetti delle esplosioni di test di armi nucleari o di qualsiasi altro tipo di esplosione nucleare e sulla necessità della loro cessazione come uno dei mezzi per raggiungere l’obiettivo di un mondo libero da armi nucleari”. La risoluzione è stata promossa dalla Repubblica del Kazakistan, insieme a un gran numero di sponsor e cosponsor, per commemorare la chiusura del sito di test nucleari di Semipalatinsk il 29 agosto 1991”.

In occasione della Giornata 2023 il Segretario Generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres ha dichiarato: “Nella Giornata internazionale contro i test nucleari, il mondoparla con una sola voce per porre fine a questa eredità distruttiva. Quest’anno ci troviamo di fronte a un allarmante aumento della sfiducia e delle divisioni a livello globale. In un momento in cui quasi 13.000 armi nucleari sono stoccate in tutto il mondo – e i Paesi stanno lavorando per migliorarne la precisione, la portata e il potere distruttivo – questa è una ricetta per l’annientamento dell’umanità. Un divieto giuridicamente vincolante sui test nucleari è un passo fondamentale nella nostra ricerca di un mondo libero da armi nucleari. Il Trattato sulla messa al bando totale degli esperimenti nucleari  (Ctbt), sebbene non sia ancora in vigore, rimane una potente testimonianza della volontà dell’umanità di sollevare l’ombra dell’annientamento nucleare dal nostro mondo, una volta per tutte. In nome di tutte le vittime dei test nucleari, invito tutti i Paesi che non hanno ancora ratificato il Trattato a farlo immediatamente, senza condizioni. Poniamo fine ai test nucleari per sempre”.

Anche noi  – rimarcano Ripd e Senatomica – ci uniamo all’appello di Guterres a favore del Ctbtnell’ambito del percorso di disarmo nucleare globale previsto dalla campagna Ican con il Trattato sulla proibizione delle armi nucleari Tpnw. L’Italia ha ratificato il Ctbt e positivamente continua ad affermare quando sia importante e cruciale, ma dovrebbe dirlo con maggiore forza anche ai suoi alleati che no lo hanno ancora ratificato, tra cui gli Stati Uniti. Il Ctbt potrà infatti entrare in vigore solo se alcuni paesi specifici lo ratificheranno. Basta quindi con i discorsi retorici, è importante che l’Italia faccia i passi concreti verso i propri alleati: oltre agli Stati Uniti, neppure Cina, Egitto, Iran e Israele lo hanno tra gli altri ratificato, ma sono nella lista dei Paesi ritenuti indispensabili per l’entrata in vigore. L’Italia non ha invece ancora siglato il Trattato il Tpnw e lo scorso anno non ha partecipato alla prima Conferenza degli Stati parti del Trattato di Vienna: il nostro auspicio è che il Governo invece decida di partecipare come Osservatore alla Seconda Conferenza del Tpnw in programma a New York a fine novembre”.

Rapporto Ican

“Dal 1945 al 2017 sono stati condotti più di duemila test nucleari in tutto il mondo, che hanno causato epidemie di tumori e altre malattie croniche. Ampie porzioni di territorio rimangono radioattive e non sicure per l’abitabilità, anche decenni dopo la chiusura dei siti di test. Le vittime di questi esperimenti tossici non devono essere dimenticate e le loro richieste di giustizia e assistenza devono essere soddisfatte.

Nel deserto del New Mexico, appena tre settimane prima dei bombardamenti atomici di Hiroshima e Nagasaki, gli Stati Uniti condussero il primo test nucleare al mondo, chiamato in codice “Trinity”. La gigantesca palla di fuoco trasformò le sabbie in vetro, illuminò le montagne circostanti e inviò una nuvola a fungo di detriti radioattivi a 12 chilometri nel cielo.

Nei sette decenni e mezzo trascorsi da quella fatidica mattina di luglio del 1945, almeno otto nazioni hanno effettuato un totale di 2.056 test nucleari – circa un quarto dei quali nell’atmosfera – causando danni a lungo termine alla salute umana e all’ambiente. “L’eredità dei test nucleari non è altro che distruzione”, ha dichiarato il segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, nel 2019.

Più di 60 siti in tutto il mondo portano le cicatrici di questi test. Anche quelli chiusi da decenni e parzialmente bonificati rimangono inabitabili. L’entità della devastazione è sconcertante. I 528 test atmosferici da soli avevano una forza distruttiva pari a 29.000 bombe di Hiroshima. Hanno disperso particelle radioattive in lungo e in largo, avvelenando il suolo, l’aria e l’acqua.

Siti di test nucleari

Le armi nucleari sono state testate in Algeria, Australia, Cina, Polinesia Francese, India, Kazakistan, Kiribati, Isole Marshall, Corea del Nord, Pakistan, Russia, Turkmenistan, Ucraina, Stati Uniti e Uzbekistan.

Anche se l’era degli esperimenti nucleari esplosivi sembra essersi fermata – con l’ultimo test nucleare condotto nel 2017 dalla Corea del Nord – le implicazioni per la vita delle persone e per i fragili ecosistemi della Terra si faranno sentire per le generazioni a venire. La comunità internazionale ha il dovere non solo di garantire che una simile distruzione non venga mai più perpetrata, ma deve anche lavorare per affrontare i danni già causati.

Gli “Hibakusha” globali

Quando Setsuko Thurlow, sopravvissuta a Hiroshima e attivista per il disarmo da sempre, ha accettato congiuntamente il Premio Nobel per la Pace assegnato a ICAN nel 2017, ha detto che gli hibakusha giapponesi – letteralmente “persone esposte alla bomba” – sono sempre stati solidali con le altre persone nel mondo danneggiate dalla bomba.

“Persone provenienti da luoghi con nomi dimenticati da tempo, come Moruroa, Ekker, Semipalatinsk, Maralinga, Bikini. Persone le cui terre e i cui mari sono stati irradiati, i cui corpi sono stati sottoposti a esperimenti, le cui culture sono state sconvolte per sempre”.

Come i sopravvissuti alla bomba atomica giapponese, queste persone non si sono accontentate di essere vittime. “Ci siamo rifiutati di stare seduti a guardare terrorizzati mentre le cosiddette grandi potenze ci portavano oltre il crepuscolo nucleare e ci avvicinavano sconsideratamente alla mezzanotte nucleare. Ci siamo sollevati. Abbiamo condiviso le nostre storie di sopravvivenza. Abbiamo detto: l’umanità e le armi nucleari non possono coesistere”.

Il forte tabù globale che esiste oggi contro l’uso e la sperimentazione delle armi nucleari è in gran parte il risultato di decenni di resistenza popolare alla più letale creazione dell’uomo. In particolare, la difesa dei sopravvissuti – in quanto testimoni viventi degli orrori dell’era atomica – ha risvegliato i responsabili delle decisioni sulla brutale realtà di ciò che le armi nucleari fanno ai corpi umani e al nostro pianeta.

Negli anni successivi agli attacchi di Hiroshima e Nagasaki, l’opposizione globale alle armi nucleari si è rafforzata. Ciò avvenne soprattutto quando gli Stati Uniti iniziarono a testare bombe termonucleari ad alto potenziale presso l’atollo di Bikini, nelle Isole Marshall. Il famigerato colpo “Bravo” del 1954, che aveva una forza distruttiva pari a 15 milioni di tonnellate di TNT, ricoprì gli abitanti delle isole vicine di radiazioni e cenere, che vennero definite “neve di Bikini”.

La crescente preoccupazione a livello mondiale per le ricadute dei test atmosferici, compresi gli effetti dello stronzio-90 sulle madri che allattano e sui loro bambini, ha catalizzato la conclusione del Trattato per la messa al bando parziale degli esperimenti nucleari nel 1963, che metteva al bando i test nucleari nell’atmosfera, sott’acqua e nello spazio, ma non quelli sotterranei. Gli Stati Uniti, l’Unione Sovietica e il Regno Unito aderirono al trattato, mentre Francia e Cina non lo fecero e continuarono a condurre test atmosferici.

Divieto di test nucleari

Il Trattato per la messa al bando totale degli esperimenti nucleari del 1996 (non ancora in vigore) e il Trattato sulla proibizione delle armi nucleari del 2017 vietano tutte le forme di sperimentazione nucleare, mentre il Trattato per la messa al bando parziale degli esperimenti del 1963 vieta solo alcune forme di sperimentazione.

Le proteste di massa contro i test nucleari continuarono per altri tre decenni. Il Movimento Nevada-Semipalatinsk, sorto in Kazakistan negli anni ’80, contribuì alla chiusura del sito in cui furono condotti 456 dei test dell’Unione Sovietica. L’indignazione per gli esperimenti nucleari francesi nel Pacifico meridionale ha provocato un boicottaggio globale dei vini e dei formaggi francesi.

Riconoscendo che anche i test sotterranei stavano causando gravi danni e desiderosa di porre fine all’era dei test nucleari, la comunità internazionale adottò il Trattato per la messa al bando totale degli esperimenti nucleari nel 1996. Sebbene non sia ancora in vigore a causa del mancato sostegno di alcuni Stati, ha stabilito una moratoria de facto su tutte le forme di sperimentazione nucleare. Solo uno stato, la Corea del Nord, ha violato le norme del trattato nel XXI secolo.

Soddisfare i bisogni delle vittime oggi

Sulla base di questo precedente quadro giuridico, nel 2017 è stato adottato da 122 Stati il Trattato sulla proibizione delle armi nucleari, o trattato per la messa al bando delle armi nucleari. Non solo mira all’abolizione totale delle armi nucleari, ma richiede anche, per la prima volta, una cooperazione internazionale per assistere le vittime di questi esperimenti e contribuire alla bonifica degli ambienti contaminati.

Durante la negoziazione di questo storico accordo, i sopravvissuti ai test nucleari hanno condiviso le loro storie con i governi. Sue Coleman-Haseldine, un’anziana della nazione Kokatha in Australia, ha raccontato che il Regno Unito ha mostrato scarsa considerazione per il benessere del suo popolo quando ha avvelenato le loro terre con le esplosioni di bombe nucleari negli anni ’50.

Molti aborigeni vivevano ancora vicino alle aree dei test e non erano stati avvertiti delle esplosioni, ha detto l’anziana. I test hanno allontanato in modo permanente gli aborigeni dalle loro case e dal loro stile di vita tradizionale. Non possono tornare alla loro terra ancestrale e “i loro figli e i figli dei loro figli non conosceranno mai gli speciali luoghi religiosi che essa contiene”.

Nel suo preambolo, il trattato per la messa al bando delle armi nucleari riconosce l’impatto sproporzionato delle attività nucleari sulle popolazioni indigene. “La nostra terra, il nostro mare, le nostre comunità e i nostri corpi fisici portano con sé [l’eredità di questi esperimenti mortali] ora e per generazioni sconosciute a venire”, ha dichiarato una coalizione di gruppi indigeni durante i negoziati.

Nel suo preambolo, il trattato per la messa al bando delle armi nucleari riconosce l’impatto sproporzionato delle attività nucleari sulle popolazioni indigene. “La nostra terra, il nostro mare, le nostre comunità e i nostri corpi fisici portano con sé [l’eredità di questi esperimenti mortali] ora e per generazioni sconosciute a venire”, ha dichiarato una coalizione di gruppi indigeni durante i negoziati.

Le convinzioni razziste hanno sostenuto molte delle decisioni relative ai programmi di test nucleari, hanno osservato, con le forze coloniali che spesso considerano le popolazioni indigene come sacrificabili e le loro terre sacre come prive di valore. Nella maggior parte dei casi, il consenso per i test non è mai stato richiesto, né tantomeno concesso, e la protezione offerta è stata scarsa o nulla.

Nella ricerca di “armi di distruzione di massa sempre più letali”, le autorità hanno trattato le popolazioni indigene come “cavie”, hanno affermato i gruppi. Hanno “sottoposto i nostri popoli a epidemie di tumori, malattie croniche e anomalie congenite” e in alcuni casi “ci hanno negato l’accesso a cure mediche adeguate e persino alle nostre cartelle cliniche”.

Il preambolo del trattato per la messa al bando delle armi nucleari riconosce anche l’impatto sproporzionato delle armi nucleari su donne e ragazze, anche a causa della loro maggiore vulnerabilità agli effetti delle radiazioni ionizzanti. I sopravvissuti ai test nucleari delle Isole Marshall e di altri paesi hanno testimoniato tassi allarmanti di nati morti, aborti spontanei, difetti alla nascita e problemi riproduttivi nelle loro comunità.

Nel 2016, un gruppo di Stati insulari del Pacifico ha scritto che la terribile storia dei test nucleari nella loro regione li ha motivati a lavorare per il nuovo trattato. Il nostro popolo “ha sofferto e continua a soffrire un’angoscia, uno strazio e un dolore indicibili”. Nel corso di mezzo secolo, gli Stati Uniti, il Regno Unito e la Francia fecero esplodere più di 300 armi nucleari nel Pacifico. Decenni dopo, interi atolli non sono ancora sicuri per l’abitazione, la produzione agricola e la pesca.

Pochi sopravvissuti ai test nucleari in tutto il mondo sono stati risarciti per le loro sofferenze. Laddove sono stati compiuti sforzi per ripulire gli ex siti di sperimentazione, questi sono stati tristemente inadeguati. In alcuni siti di sperimentazione, le infrastrutture fatiscenti rappresentano un rischio continuo di ulteriore contaminazione.

Come hanno riconosciuto gli Stati insulari del Pacifico nel loro documento, “non sarà mai possibile riportare completamente le nostre preziose isole al loro antico stato incontaminato, né cancellare i danni inflitti ai nostri popoli nel corso di generazioni”, ma la comunità internazionale può e deve “garantire che le armi nucleari non vengano mai più utilizzate, né nei programmi di sperimentazione né in guerra” – e questo richiede la loro totale eliminazione”.

La battaglia per “espellere” dal mondo le armi nucleari non è un film. E’ un impegno di vita. Una battaglia di civiltà. 

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