Guerra: la forza dei pacifisti e la drammatica debolezza delle armi
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Guerra: la forza dei pacifisti e la drammatica debolezza delle armi

Aiutare l'Ucraina a difendersi dall'invasione ma senza uno sforzo parallelo per individuare una soluzione diplomatica

Guerra: la forza dei pacifisti e la drammatica debolezza delle armi
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

24 Gennaio 2023 - 15.03


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Quelle armi non vanno inviate. I pacifisti spiegano il perché. 

A darne conto, in un articolo su Avvenire, è Luca Liverani.

Scrive Liverani: “Armi, ancora armi, solo armi. Senza uno sforzo parallelo per individuare una soluzione diplomatica. È questa la lettura condivisa nel mondo delle associazioni per il disarmo e la pace, di fronte al prossimo decreto, il sesto, per l’invio di armamenti italiani alle forze armate ucraine. 

«Il governo Meloni segue la stessa linea di Draghi, secretando l’elenco delle armi inviate dall’Italia», dice Francesco Vignarca, coordinatore delle campagne della Rete italiana pace e disarmo. Gli “omissis” nel decreto producono un doppio rischio. «Che si tratti di armi che finiscono anche nelle mani sbagliate», ad esempio gruppi mercenari attivi anche in altri teatri o organizzazioni criminali. «E la segretezza permette al Cremlino di alimentare polemiche basate su fake news», dice Vignarca. Nessuna trasparenza nemmeno sui costi, lamenta Rete pace e disarmo: «Abbiamo calcolato che nel 2022 gli invii di armi ci sono costati 485 milioni. Il ministro Tajani ha parlato genericamente di un milione di euro». Un’opacità che impedisce anche di capire «se si tratta di armamenti vecchi, che avremmo dovuto comunque rottamare, oppure sistemi che andranno rimpiazzati. È stato calcolato che gli aiuti militari Nato potrebbero portare all’industria militare americana nuovi ordini per 22 miliardi di dollari».

Tutti elementi, sottolinea Vignarca, «che prescindono dal dibattito se inviare armi sia giusto o sbagliato». Ma c’è un altro aspetto: «Ogni invio è stato giustificato dalla propaganda politica dicendo: “sono le armi che cambieranno il corso della guerre”. A marzo i razzi anticarro Javelin, a giugno i lanciarazzi Himars, a dicembre i missili Patriot, ora i tank Leopard». Di certo c’è che «nessun tipo di arma ha avvicinato una soluzione politica. La diplomazia non è stata mai messa in campo seriamente. E la politica continua a ignorare le altre guerre: Siria, Congo, Etiopia…». 

Pax Christi ribadisce il suo no all’invio di armi: «Siamo con Papa Francesco che a marzo diceva che per fermare le guerre non bisogna alimentarle», dice don Renato Sacco, consigliere nazionale di Pax Christi. «Non sono le armi che mancano, ma la politica. E si gioca con le parole sfiorando l’ipocrisia: a Ramstein si è detto che “la Nato formalmente non è coinvolta”». Anche Pax Christi teme che il flusso di armi prenda vie sbagliate: «Il procuratore Nicola Gratteri non ha dubbi». E avverte: «Non abituiamoci alla guerra, non consideriamola accettabile. Sento parlare di un collegamento di Zelensky a Sanremo. Da esperti di calcio, gli italiani si sono trasformati tutti in strateghi. Ma ignoriamo le altre guerre tormentano palestinesi, curdi, armeni allo stesso modo degli ucraini». Senza contare i rischi dell’escalation: «A due anni dall’approvazione del bando Onu sulle armi nucleari, non sottovalutiamo come “propaganda” la minaccia atomica di Putin». 

«È dall’inizio che diciamo che gli ucraini hanno tutto il diritto di difendersi, l’errore è puntare sulla guerra e solo sulla guerra», spiega Flavio Lotti, coordinatore della Marcia della Pace Perugia Assisi. «Ci hanno detto che le armi servivano a riequilibrare sul campo il confronto coi russi – ricorda – ma questo sesto invio è la prova che quella tesi è fallita. La guerra è in stallo e si punta ad armi sempre più letali. Le stragi continuano nel vuoto dell’iniziativa politica. Temo che il decreto verrà approvato senza un ampio dibattito, in cui si prenda atto che è tempo di scegliere un’altra strada. La politica è drammaticamente muta, maggioranza e opposizione». E le armi dissanguano anche in altro modo: «Ogni armamento sottrae risorse per la lotta alle disuguaglianze e alla povertà. In Italia, in Ucraina, ovunque».

Fin qui l’articolo di Avvenire. E’ troppo chiedere che le ragioni dei pacifisti non vengano liquidate con il solito, abusato, “ecco gli amici di Putin”?

Davanti al Parlamento

“Diciamo no al coinvolgimento bellico dell’Italia agli aiuti militari all’Ucraina che proprio in questo momento sta decidendo in via definitiva il Parlamento. Non bisogna gettare benzina sul fuoco di una guerra pericolosissima che può anche degenerare in conflitto nucleare e in questo siamo anche confortati dalla volontà maggioritaria del popolo italiano che vuole un’apertura immediata delle trattative di pace”. Così Alfonso Navvara di Disarmati Esigenti a margine del sit-in contro l’invio del nuovo pacchetto di armi in Ucraina. “Vogliamo che l’Unione europea, il Parlamento europeo e l’Ocse lavorino in ascolto di tutte le componenti pacifiste, in particolare le donne, dando ascolto alla risoluzione 1325, ai piani nazionali e creando una conferenza di pace”. Così Patrizia Sterpetti di Wilpf Italia

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Quel mondo solidale

I pacifisti, e le pacifiste, quelle e quelli che da decenni vogliono mettere la guerra fuori dalla storia, sono scesi in piazza, contro la guerra di aggressione di Putin, ma anche contro l’allargamento della Nato. Immediatamente si è riaperta la solita discussione. I pacifisti sarebbero equidistanti, non prenderebbero posizione, mentre oggi esisterebbero aggrediti e aggressori.

Non solo, chi si batte per la tregua, la cessazione dei combattimenti, l’avvio di una trattativa per la ricerca di una soluzione politica negoziata del conflitto, sarebbero, nella migliore delle ipotesi, degli illusi, dei profeti disarmati e, nella peggiore, dei nemici degli ucraini a cui vorrebbero negare la possibilità di difendersi. Mai come in questa occasione, le accuse si rivelano sbagliate. Mai come in questa occasione, infatti, la logica della armi e della guerra si rivela la più debole e la più inadeguata.

Jean Stoltemberg, segretario generale della Nato, ha ripetutamente affermato che nessun areo o drone o soldato dell’Alleanza atlantica, si impegnerà direttamente nella guerra in Ucraina, perché farlo significherebbe allargare il conflitto fino alla guerra nucleare mondiale. E non a caso sia la Polonia che l’Italia hanno dichiarato che non invieranno aerei e che non forniranno le basi per farli partire. La stessa cosa ha ripetuto più volte anche Biden. Eppure la richiesta di un maggior impegno militare e soprattutto la creazione di una no fly zone rappresentano richieste pressanti del premier ucraino Zelensky. Il conflitto dunque non può allargarsi oltre i confini ucraini.

La guerra generale contro la Russia non è una opzione, perché significherebbe l’olocausto nucleare. Ne usciremmo, come si diceva in un vecchio film del secolo scorso, senza nessun vincitore. Una risposta armata all’altezza dell’aggressione russa, in grado di sconfiggere Putin e cacciarlo dal suolo ucraino non può essere messa in campo. Il conflitto, nelle intenzioni dell’occidente, deve rimanere limitato, chiuso esclusivamente dentro i confini dell’Ucraina, che deve contenere i Russi, strapotenti militarmente ed economicamente, affrontando una lunga, dolorosissima, straziante guerra sul proprio territorio.

In Europa sembra dunque configurarsi uno scenario simile a quello che abbiamo visto, forse troppo distrattamente, prima in Jugoslavia, poi in Iraq, poi in Siria, poi in Afghanistan. Guerre in cui ci siamo impegnati, ma terreni da cui, come ci ha ricordato Henri Kissinger, ci siamo dovuti ritirare senza sostanziali risultati, lasciando dietro di noi rovine, sofferenze, odio, instabilità e insicurezza.

In realtà, nessuno ha vinto nessuna guerra negli ultimi trenta anni. Non per niente, Biden e Stoltemberg stanno dicendo dall’inizio della guerra che il conflitto sarà lungo, potrebbe durare anni. Eppure noi stiamo dicendo di voler aiutare gli Ucraini. E qualcuno arriva ad affermare, per giustificare l’invio di “armi letali”, che stiamo facendo con la resistenza ucraina quanto gli alleati fecero con quella italiana durante la seconda guerra mondiale. Niente di più ingannevole.

I partigiani italiani combatterono a fianco degli alleati angloamericani, sullo stesso terreno di battaglia. Non furono armati e abbandonati a combattere da soli, contro lo strapotente esercito nazista. In Spagna successe così, nella guerra civile del 1936, in cui si affermò la teoria del non intervento. E sappiamo come è andata a finire. Ma allora che vuoi – mi si chiederà – lo scoppio della guerra nucleare? Quello che vorrei è che si riflettesse. Se la guerra non è un’opzione, cosa stiamo facendo in Ucraina e soprattutto cosa stiamo chiedendo agli ucraini? A cosa devono servire i sacrifici enormi che stanno affrontando?

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Se la guerra non è un’opzione, l’unica altra opzione praticabile è la de-escalation militare, la tregua e la ricerca dell’accordo politico. Dunque, i pacifisti hanno ragione. Per aiutare veramente gli ucraini, bisogna che le armi tacciano e si ricerchi l’accordo politico anche con i vicini che non ci piacciono, ma che, lo vogliamo o no, sono nostri vicini, in un mondo sempre più interdipendente, fragile e esposto.

Qui arriva la seconda domanda ai pacifisti. Come si può arrivare a una tregua, mentre Putin bombarda e uccide quasi incontrastato? Certamente non basteranno le parole e le buone intenzioni. Non resterebbe che schierarsi dalla parte dei deboli e sperare che resistano. Anche a questa domanda risponde la saggezza dei pacifisti, che consiste proprio nell’essere non equidistanti da Putin e dalla Nato, ma nell’essere contro Putin e contro la Nato. La Russia e la Nato agiscono infatti sulla base della stessa folle logica, quella che considera la forza come l’unico strumento che garantisce la sicurezza e tutti coloro che non sono dichiaratamente amici come potenziali nemici da cui guardarsi e da contenere.

Questa è la logica che ha condotto in questi trenta anni alle guerre in Georgia, in Cecenia, ma anche in Somalia e in Iraq, in Siria e in Libia e in Afghanistan, in Jugoslavia. Nessuna di queste guerre è finita, nessuno di questi paesi è pacificato e nessuno al mondo è più sicuro. Anche l’Europa è stata teatro di questo contrasto, di questa politica di potenza.

Di fronte alla dissoluzione del blocco sovietico e dell’alleanza militare del Patto di Varsavia, la Nato ha ritenuto possibile allargarsi ad est, in Lituania, Estonia, Lettonia, Polonia, Ungheria Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria e nei Balcani, fino ad allora non allineati, dalla Croazia, al Montenegro, dalla Macedonia, all’Albania, alla Slovenia. Ancora in questi giorni Stoltemberg ha ricordato come dal 2014 la Nato e “gli alleati” hanno armato, finanziato e formato l’esercito ucraino in funzione antirussa.

La politica di potenza è spietata. Non ammette vuoti. Putin, dal canto suo, ha ritenuto e ritiene anche oggi possibile riprendersi quel che poteva del vecchio impero zarista e lo ha fatto, fino alla tragedia dell’aggressione all’Ucraina. Henry Kissinger sosteneva nel 2014 che l’unica soluzione fosse la neutralità di Kiev e ancora prima, nel 1997, George Kennan, il maggior esperto di Russia nel Dipartimento di Stato americano giudicò sul New York Times, un errore tragico l’allargamento della Nato, descrivendolo come una profezia che si auto avvera: l’allargamento avrebbe scatenato la reazione russa che avrebbe ex post giustificato l’allargamento.

È a questa politica di potenza che i pacifisti sono contrari. Contro ogni riedizione della dottrina Monroe, di paesi che si arroghino il diritto di fungere da polizie internazionali, qualunque teorizzazione che giustifichi interventi in altri paesi in nome della propria sicurezza. Per non trovarci più a dover combattere guerre che nessuno può in realtà combattere e vincere. Per questo i pacifisti hanno parlato nelle piazze non di una generica trattativa, ma di una soluzione politica, di intervento delle Nazioni Unite, di ripresa di una politica di ricerca di soluzioni negoziate e pacifiche ai conflitti, di cancellazione della guerra come opzione possibile.

La soluzione politica è possibile, mentre la guerra efficace non lo è. Per averla però occorre usare parole diverse dal passato: occorre riconoscere anche le ragioni dell’avversario, prendersi cura – sì, prendersi cura – delle sue paure e delle sue follie. Ricordare oggi le responsabilità delle Nato non significa giustificare l’imperialismo guerrafondaio e spietato di Putin, significa comprendere quali questioni dobbiamo affrontare per risolvere le contraddizioni che hanno condotto ai conflitti di oggi. Significa comprendere che i russofoni in Ucraina hanno dei diritti come quelli che in Italia parlano tedesco e si sentono tedeschi. Significa ammettere che in questi anni la Nato e l’Occidente hanno cercato di accrescere la forza militare ucraina in funzione antirussa. Significa ammettere che l’Ucraina deve essere integra e indipendente, ma anche neutrale. La via del dialogo comporta che si voglia costruire un mondo meno armato, più plurale e più confidente, dove la sicurezza è comune, perché altrimenti non è”.

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Giulia Rodano ha scritto tutto questo in articolo per HuffPost del 7 marzo 2022. Dieci mesi dopo, è di una straordinaria, pressante realtà. Come il titolo: “La forza dei pacifisti e la drammatica debolezza delle armi”.

Alla guerra di invasione russa, si poteva rispondere in modo diverso, senza intraprendere una guerra  di difesa ucraina? Questo è un punto decisivo della discussione. Al pacifismo senza se e senza ma, ho sempre preferito la nonviolenza con tanti se e tanti ma. Dunque provo a ragionare utilizzando alcuni di questi se e ma. 
Il governo di Zelensky chiede all’Europa più armi per difendersi, dicendo sostanzialmente “se noi fermiamo i russi, ci guadagnate anche voi, altrimenti se noi soccombiamo, poi arriveranno anche a casa vostra”. Dunque pagateci le armi più micidiali possibile, così combattiamo anche per voi. All’Europa non par vero di garantire profitti alle varie industrie belliche nazionali e far combattere una guerra per procura all’Ucraina. Ma in Ucraina non c’è una sola voce. Se il governo chiede armi, armi, armi, altre voci, come la Croce Rossa ucraina, chiedono “cibo, cibo, cibo” e altre ancora, come i pacifisti di Kiev, chiedono “verità, verità, verità”. Dunque non esiste una sola richiesta bellica, e non è vero che c’è identità totale tra il popolo ucraino e il suo esercito, così come non c’è una sola resistenza armata, ma anche una resistenza civile che non vuole partecipare alla guerra, ma vuole difendersi ugualmente. 


È possibile e realistica una scelta simile? La volontà comune ucraina, espressa in queste drammatiche settimane, di non cedere, di non farsi sottomettere, di resistere, di rifiutare l’invasione, ha colpito il mondo intero. L’identità nazionale, l’orgoglio, il sentimento di essere un popolo unito e forte, è forse ciò che più mi ha impressionato. Se questa forza morale fosse stata usata al posto delle armi, cosa sarebbe accaduto? Se all’entrata dei primi carri armati russi in Ucraina, il governo, con i sindacati, avesse dichiarato immediatamente lo sciopero generale e totale di tutti i lavoratori ucraini, se tutta la popolazione ucraina fosse stata invitata a scendere nelle strade e nelle piazze, con la volontà di bloccare quei carri armati, senza collaborare in alcun modo con le truppe di invasione, chiudendo tutti i servizi pubblici, fermando tutti i mezzi di trasporto, bloccando per uno, due, tre, giorni o mesi tutto il paese, sollecitando la solidarietà internazionale, dicendosi indisponibili a fare la guerra, ma determinati fino alla fine a resistere e non riconoscere in alcun modo l’occupazione, come avrebbero reagito i russi? cosa avrebbe fatto l’esercito invasore? fino a dove sarebbe riuscito ad avanzare?  Un popolo indisponibile, pronto a non collaborare in alcun modo con l’invasore, è invincibile. Nessun tiranno riesce a governare un popolo che rifiuta la servitù volontaria, con la resistenza passiva, la disobbedienza civile, la non collaborazione, il boicottaggio e il sabotaggio continuo. Forse proprio in Ucraina c’erano le condizioni storiche, sociali, politiche migliori per attuare questa forma di resistenza nonviolenta; se vi fosse stata una leadership preparata…”.
Così scriveva Mao Valpiana, presidente del Movimento Nonviolento, figura storica del pacifismo italiano, in un articolo del 9 arile 2022.

Se ne può discutere senza caricature strumentali o  invettive demonizzanti? Una informazione militarizzata non c’è mai piaciuta. E non per questo siamo “amici” dello zar del Cremlino. Non siamo mica Salvini, Berlusconi e i “compagni di dacia” di Vladimir Putin. 

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