Civiltà Cattolica racconta Pasolini: "Va riconosciuta la sua ricerca di amare e abbracciare la totalità della vita"
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Civiltà Cattolica racconta Pasolini: "Va riconosciuta la sua ricerca di amare e abbracciare la totalità della vita"

Il testo di padre Pietro Loredan prende le mosse da un perfetto ritratto di Pasolini scritto dopo un loro incontro da Ferdinando Camon

Civiltà Cattolica racconta Pasolini: "Va riconosciuta la sua ricerca di amare e abbracciare la totalità della vita"
Pier Paolo Pasolini
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Riccardo Cristiano Modifica articolo

14 Luglio 2022 - 17.24


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La Civiltà Cattolica, dopo avergli dedicato una preziosa monografia, torna a soffermarsi su Pier Paolo Pasolini. Vita e opere inseparabili nel grande unico della sua vita produttiva. Il testo di padre Pietro Loredan prende le mosse da un perfetto ritratto di Pasolini scritto dopo un loro incontro da Ferdinando Camon: “nodo di passione e intelletto, di viscerale e ideologico, di sofferenza voluta e di esasperazione inutile, di ribellione, di accettazione, di consolazione, di forza oscura e di illuminazione: quell’insieme di sentimenti opposti o diversi e compresenti ch’egli riconduce tutti alla matrice comune dell’“amor di vita” ma che a noi si rivelano solo quando è provocato e soffre, e che formano la sua vitalità.” Perfetto, anche per chi non lo ha conosciuto ma lo ha seguito, amato, odiato, letto, respinto, cercato, perso irrimediabilmente: come noi. Troppo presto. E’ sempre troppo presto per perdere i geni, cioè gli uomini che capiscono un tempo spiegando il tempo passato e quello futuro. 

Come non sentire che, al pari di Camon, l’autore ci sta introducendo al vero punto di Pasolini, l’amore sacro per la vita: “La sua è una visione religiosa intrisa di nostalgia verso un passato mitico, originario, identificabile con il mondo contadino friulano della sua giovinezza. È il regno perduto dell’autenticità, di una vita vissuta in comunione con la natura, gli animali e la terra; è il sacrario dell’umanità più vera”. 

Di questo autore irrimediabilmente doppio come la vita, maschile e femminile, materna e paterna, determinata dalla memoria del passato e dal bisogno di futuro, padre Loredan ci spiega subito perché la sua arte dovesse toccare tutti i campi: “ Nella totalità della sua multiforme opera si può leggere l’anelito di una vita autentica soffocata da uno sviluppo che non è progresso, da una società dei consumi che reprime l’umano: le persone diventano automi, incapaci di vivere davvero”. E questo Pasolini cercò di spiegarlo al suo cattolicesimo e alla sua sinistra, finiti per la loro incomprensione proprio sull’amore da darsi alla vita ad allearsi con la cultura liberista a loro disponibile: quella dell’io sovrano e quella dei dei diritti di Dio limitati alla nascita e alla morte, ma cancellati dalla vita. 

Dopo averci presentato il Pasolini meno noto, il giovane poeta in lingua friulana, si arriva a quella che rende universale il gergo dei ragazzi delle borgate romane. Ma c’è anche un Pasolini pittore, quello che affermava che dipingendo avvertiva la religione delle cose. “Decisivo per Pasolini è l’approdo a Roma nel 1950. È la scoperta di un mondo socialmente nuovo: nella capitale egli entra in contatto con il sottoproletariato romano, un’esperienza vitale dal punto di vista sociologico e culturale. I suoi due romanzi romani Ragazzi di vita e Una vita violenta illustrano con fedeltà quasi fotografica l’ambiente delle borgate romane in cui vive nei primi anni a Roma. Il desiderio di cogliere la nuova realtà nella sua più intima essenza lo porta a «usare il dialetto del sottoproletariato locale in maniera oggettiva, per arrivare alla descrizione più esatta possibile del mondo» che aveva di fronte”. 

Le citazioni offerte rendono evidente che solo il dialetto poteva rendere omaggio a quel mondo, con amore, che in quanto tale è sincero e non ne nasconde brutalità e ineluttabilità. E’ l’ora dei suoi primi film, a cominciare dall’indimenticabile Accattone. Il potere del cinema per Pasolini sta nella sua capacità esclusiva di esprimere la realtà si sostiene nel testo, citando Pasolini, “Mentre ogni altro linguaggio si esprime mediante sistemi di segni “simbolici”, i segni cinematografici non sono tali: sono “iconografici” (o iconici), sono segni di vita, se posso esprimermi così; in altre parole, mentre ogni altro modo di comunicazione esprime la realtà mediante simboli, il cinema invece esprime la realtà mediante la realtà”.  Ha ragione padre Loredan a non vedere una prevalenza neorealista in queste opere. E lo spiega con le parole dello stesso Pasolini, che indicò nell’assenza del piano-sequenza il punto di enorme distacco. “In Accattone mancano i piani-sequenza […]. Ora cosa significa questo? Il piano-sequenza è la tecnica cinematografica di tipo più naturalistico. Cioè, quando io voglio dare il senso della naturalezza di una scena, faccio un piano-sequenza: sto lì con la macchina da presa, colgo l’intera scena in tutta la sua durata: un uomo entra in una stanza, beve un bicchiere d’acqua, guarda fuori dalla finestra, se ne va. Rappresento, da un certo punto di vista, tutta questa scena senza soluzione di continuità, in maniera che il piano-sequenza ha la stessa durata temporale dell’azione stessa della realtà. E questo quindi è un momento naturalistico del cinema. Ora, la mancanza totale di piani-sequenza in Accattone esclude il momento naturalistico. E invece la presenza di tante inquadrature staccate l’una dall’altra significa che io ho visto la realtà momento per momento, frammento per frammento, oggetto per oggetto, viso per viso. E quindi in ogni oggetto e in ogni viso, visto frontalmente, ieraticamente in tutta la sua intensità, è venuta fuori quella che dicevamo prima: la sacralità”. L’amore sacro per la vita. Chiunque abbia visto Accattone ricorderà la colonna sonora, quella musica di Bach che accompagna le sequenze girate nelle borgate del sottoproletariato romano. Contrasto? O nuova sacralità? “Quando giro un film – dice Pasolini –, mi immergo in uno stato di fascinazione davanti a un oggetto, a una cosa, un viso, gli sguardi, un paesaggio, come se si trattasse di un congegno in cui stesse per esplodere il sacro”. 

Siamo alla seconda parte del saggio, interessantissima perché l’autore ci presenta la scelta comunista di Pasolini. Lui, innamorato della sua società contadina, vede le lotte bracciantili e si unisce a quei braccianti. Col fazzoletto rosso al collo, come loro. Solo dopo legge Marx. Dunque? “ Lo stesso marxismo – secondo la sua visione poetica – avrebbe alla base un profondo rispetto della vita nella sua sacralità, in opposizione al mondo borghese. Per l’intellettuale, la borghesia non ama la vita: la possiede. E ciò implica cinismo, volgarità […]. Il marxismo, nel fatto stesso di essere critico e rivoluzionario, implica l’amore per la vita, e, con questo, la revisione rigenerante, energica, amorosa della storia dell’uomo, del suo  passato”. Dove vede il ponte tra il cristianesimo e il marxismo questo saggio? Nella compassione! “ Il marxismo, visto come progetto di un avvenire migliore per l’umanità – nato da un amore vivo nei confronti della realtà –, può, per Pasolini, incontrare l’idea di un Cristo che, in nome dell’amore di sé stessi e del prossimo, invita a divenire parte attiva di un cambiamento radicale, oltre ogni triste passività”. Ecco allora che il Gesù rivoluzionario per Pasolini è quello che ci invita a rinnegare noi stessi, prendere la Croce e seguirlo, senza alcuna possibile riconciliazione facile con la vita. La polemica con la Chiesa è tutta qui, o da qui. E’ cioè nel facile abbandono di questa innegabile radicalità evangelica. E’ la storia del film Ricotta, una denuncia qualche volta dimenticata in tutta la sua rilevanza per via della forza  del capolavoro, Il Vangelo secondo Matteo. Qui però la sacralizzazione di Accattone non poteva funzionare: come sacralizzare il sacro? Colpisce di nuovo l’osservazione dell’autore: “È interessante come Pasolini, pur non riconoscendo la divinità di Gesù, intuisca in lui un assoluto sacrale, una perfezione non mediata e accessibile a tutti, non riscontrabile in altre realtà terrene. Riconosce di trovarsi davanti a una verità che parla da sé: ogni intento artistico sarebbe retorico”.

Siamo all’ultima sezione del saggio: dalle grandi passioni si passa ai nemici di Pasolini: il neocapitalismo, il consumismo, cioè i dissacratori della vita. Ovvio che suo bersaglio sia la piccola borghesia, il suo universo. Ma perché? “Per Pasolini, esso è un universo asfittico, disumanizzato, dove – in assenza di ogni autentica relazione e vitalità – trionfa la volgarità delle buone maniere ipocrite, espressione di un’omologazione senza umanità. Alla base di questa spenta uniformità si trova l’ansia del consumo, l’ansia di obbedienza a un ordine non pronunciato. Per l’intellettuale, si tratta di una nuova forma di fascismo, pericoloso perché inconscio, passiva obbedienza: «Ognuno in Italia sente l’ansia, degradante, di essere uguale agli altri nel consumare, nell’essere felice, nell’essere libero: perché questo è l’ordine che egli ha inconsciamente ricevuto, e a cui deve obbedire, a patto di sentirsi diverso”. 

Qui c’è l’enorme attualità globale di Pasolini nell’epoca della globalizzazione. Globalizzazione dei consumi e del consumismo uniformante. Ecco allora che la scaletta tracciata da questo articolo fa emergere evidente una necessità. Riscoprire l’amore sacro per la vita nella Chiesa e nella sinistra superando quell’incomprensione bilaterale che ha portato entrambi ad allearsi con i liberisti, per difendere quel minimo che nello scontro è apparso indispensabile ai primi e ai secondi. “ A Pasolini, uomo delle contraddizioni, coerente solo nel suo inquieto desiderio espressivo di afferrare l’intimo cuore della realtà, va forse riconosciuto il merito di una continua ricerca radicale – a tratti disperata – di amare, abbracciare la vita nella sua totalità. È una ricerca vissuta con la razionalità dell’intellettuale marxista, lucido analista della società; con l’irrazionalità dell’uomo incapace di gestire la propria incontenibile (e vorace) vitalità; e con lo slancio lirico del poeta consapevole che «la verità non sta in un solo sogno, ma in molti sogni», come afferma Nur ed-Din, il giovane protagonista de Il Fiore delle mille e una notte”. Un articolo da leggere tutto d’un fiato, per poter godere di qualche retrospettiva dei grandi film di Pasolini. 

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