Quell’ufo di nome Franco Baresi
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Quell’ufo di nome Franco Baresi

Il volume di Stefano Simonetta 'Da bambino ho visto un Ufo' è un racconto che a partire da Franco Baresi traccia un percorso tra vittorie, sconfitte, gioie e dolori e regala uno spaccato di una passione per il calcio

Quell’ufo di nome Franco Baresi
Franco Baresi
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Thomas Casadei Modifica articolo

26 Settembre 2023 - 15.25


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Hai scritto un libro dedicato a Franco Baresi, perché la sua figura è accostata a quella di un ufo?

Perché quello fu uno dei soprannomi che gli diedero stampa e tifosi, pochi mesi dopo la sua apparizione sui campi di calcio e nella mia vita, nel 1978. E perché per molti aspetti pareva davvero appartenere a un’altra galassia.

Baresi è indubbiamente una delle bandiere del Milan, insieme a Gianni Rivera e a Paolo Maldini, inevitabile però diviene anche l’accostamento con gli “odiati” “cugini” dell’Inter nelle cui fila peraltro ha militato – negli stessi anni in cui Franco era al Milan – il fratello maggiore Giuseppe detto “Beppe”…Nel volume che si dice dell’Inter, che ruolo gioca, per così dire, la squadra dei neroazzurri?

L’Inter, la seconda squadra della città, nata da una scissione, è inevitabilmente presente nelle pagine del libro, innanzitutto come grande rivale – un po’ come Beep Beep nei cartoni di Wile Coyote. Ma c’è anche un passo in cui assume un ruolo diverso, quello di un possibile approdo alternativo…

Il Milan di Baresi è anche quello di Berlusconi: come si connettono le due cose? La dimensione politica da questo punto di vista non può non emergere…

Il Milan di Franco Baresi, al pari del mio, è anche, ma certamente non solo quello di Berlusconi: parte della storia precede la sua entrata in scena e, nel mio caso, continua ben oltre. Tuttavia, è fuor di dubbio che il grande Milan raccontato nel libro sia innanzitutto una creatura di Silvio Berlusconi. E inevitabilmente sono numerose le pagine in cui provo a raccontare, facendo anche massiccio ricorso all’autoironia, il modo in cui nel corso degli anni ho cercato di fare i conti con la natura profondamente ambigua di quel Presidente, con tutto quello che sin dall’inizio in lui mi insospettiva e, più di ogni altra cosa, con la difficoltà di conciliare la mia fede calcistica e una militanza politica a Sinistra consolidatasi sempre più proprio in quel periodo.

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Il libro ripercorre di fatto un ventennio, a partire dalla fine degli anni Settanta sino alla fine degli anni Novanta…come è cambiato, dal tuo punto di vista, il calcio in questi anni…tantissimi elementi dell’epoca di Baresi sono mutati o non ci sono più (solo per fare un esempio, i numeri delle maglie dall’1 all’11, con il 6 fisso, stampato sulla maglia, di Baresi, è ormai un ricordo lontano…)

Alcune delle cose che amo del calcio, per fortuna, sono rimaste immutate, ma le trasformazioni sono state enormi e, a mio parere, fortemente peggiorative: dalla comparsa delle sponsorizzazioni sulla divisa dei calciatori al venire meno della solenne simultaneità delle partite, dallo spostamento a destra delle curve alla graduale scomparsa dei giocatori-bandiera, fieri di indossare una sola maglia per l’intera carriera, dal tramonto di alcuni ruoli (fra cui il libero, come Franco) all’impossibilità per noi tifosi di scegliersi un posto qualunque, nei Popolari, sedendosi ogni volta in mezzo a persone diverse. 

Poi, appunto, c’è anche la questione dei numeri: il 7 che un tempo significava ala ora può essere indossato anche da un portiere, oppure trasformarsi in 77. In compenso, però, la società Milan ha così ha avuto la possibilità di ritirare per sempre il numero 6, che non avrebbe più potuto avere volto diverso da quello di Ufo Baresi…

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A un certo punto nel libro scrivi “una delle cose che amo più del calcio è proprio la sua capacità di generare gioia condivisa”: pensi che questo sia un unicum di questo gioco (e dello sport in generale) oppure è possibile individuare altri contesti che abbiano questa sorta di potere?

Ce ne sono altri, certamente: basti pensare alla musica e, sebbene sempre meno (almeno dalle parti della sinistra), ai festeggiamenti per una vittoria elettorale. Ma debbo ammettere di non aver mai visto qualcosa in grado di innescare una simile gioia collettiva, che contagia chiunque vi sia esposto, trasformando i 90.000 spettatori di uno stadio in una sconfinata “band of brothers”.

Pensi che il tuo libro sia in qualche modo connesso alla nostalgia, ovvero a quella dimensione che nel sottotitolo è richiamata da quel “da bambino”?

Sì, lo è. È un libro intriso di nostalgia, malgrado sia costellato di episodi comici. Come nella vita, che al pari del calcio è un dramma in cui si ride moltissimo.

C’è un qualche episodio specifico che hai narrato nel libro e che ti fa piacere richiamare e condividere?

Il mio primo derby, a 6 anni, perso 1-5 senza quasi riuscire a vedere il campo per la troppa folla, che mi ha subito insegnato che il mestiere del tifoso è, per contratto, intriso di sofferenza.

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Un’ultima domanda. Tu sei uno studioso, peraltro di fama nazionale e internazionale, di storia della filosofia e di storia del pensiero politico medievali, esistono possibili accostamenti tra questa dimensione e quella sportiva che hai narrato nel libro, oppure si tratta di due piani in tutto e per tutto separati?

Sorvolo sulla presunta portata della mia notorietà e, cercando di rispondere alla domanda, penso che fra le cose di cui mi sono occupato come studioso quella che più si avvicina al tifo calcistico sia l’idea di fede proposta da alcuni dei primi grandi intellettuali cristiani e riassunta nel motto “credo perché è assurdo”. Nel contempo, però, l’esperienza fatta in quasi cinquant’anni di partite allo stadio mi ha indubbiamente offerto strumenti attraverso i quali provare a comprendere meglio l’intensità della vita e la natura di molti dei miei simili, giovando un poco anche ai miei studi.

Pubblicato in questi giorni il volume di Stefano Simonetta Da bambino ho visto un Ufo (Edizioni Clichy, pp. 160, euro 18: https://edizioniclichy.it/libro/da-bambino-ho-visto-un-ufo/), un racconto che a partire Franco Baresi, bandiera del Milan, traccia un percorso avvincente tra vittorie, sconfitte, gioie e dolori, ma regala anche uno spaccato di come la passione per il calcio possa rappresentare un modo di guardare il mondo, l’intensità delle vita e le relazioni con i propri simili.

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