Un "pacemaker al cervello" consente di tenere sotto controllo la depressione grave: la cura sperimentale...
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Un "pacemaker al cervello" consente di tenere sotto controllo la depressione grave: la cura sperimentale...

La prima paziente è stata Sarah: i ricercatori dell’Università della California hanno impiantato chirurgicamente un dispositivo a batteria delle dimensioni di una scatola di fiammiferi nel cervello

Pacemaker al cervello
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5 Ottobre 2021 - 15.08


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L’evoluzione in campo scientifico ha raggiunto livelli senza prefedenti: una terapia sperimentale consente di curare e tenere sotto controllo la depressione. Ma in che modo? Con un “pacemaker al cervello”.
Spesso Sarah non riusciva a smettere di piangere, non riusciva a pensare ad altro che a un modo per porre fine alla sua vita.
La sua depressione aveva raggiunto livelli così acuti, da costringerla a lasciare il lavoro e la casa: per i medici era più sicuro tornasse a vivere con i genitori, visti i continui pensieri suicidi. 20 farmaci diversi, stimolazione magnetica transcranica, terapia elettroconvulsivante: le aveva provato davvero tutte per uscirne, ma i suoi sintomi persistevano. Sarah è diventata la prima partecipante a uno studio su una terapia sperimentale. Ora ha 38 anni e la sua depressione è sotto controllo: è tornata a casa sua, ha ricominciato a studiare.
“Nel giro di poche settimane, i pensieri suicidi sono semplicemente scomparsi”, ha raccontato la donna, che ha chiesto di essere identificata solo con il suo nome per proteggere la privacy. I ricercatori dell’Università della California hanno impiantato chirurgicamente un dispositivo a batteria delle dimensioni di una scatola di fiammiferi nel cervello di Sarah – un “pacemaker per il cervello”, lo hanno chiamato – calibrato per rilevare il modello di attività neurale che si verifica quando diventa depressa. Il dispositivo eroga impulsi di stimolazione elettrica per allontanare la depressione. I ricercatori segnalano adesso un’evidente remissione della depressione nella donna, la prima a essere curata con la tecnica di Deep Brain Stimulation personalizzata. Ora si attendono ulteriori ricerche per poter asserire che si tratti di un metodo funzionale anche per altri pazienti affetti da depressione.  
La Deep Brain Stimulation è usata per trattare il morbo di Parkinson e molti altri disturbi, ma sulla depressione ci sono stati risultati discordanti, tra chi ne sottolineava i benefici e chi sospettava un effetto placebo. Gli studi passati, però, non si adattavano mai nello specifico al paziente coinvolto. “La depressione di una persona potrebbe risultare molto diversa da quella di un’altra”, ha dichiarato al New York Times la dottoressa Katherine Scangos, una degli autori del report sul caso, pubblicato lunedì sulla rivista Nature Medicine. Per identificare lo specifico modello di attività cerebrale legato alla depressione di Sarah, i ricercatori hanno condotto un’esplorazione intensiva di 10 giorni del suo cervello, posizionandovi elettrodi e stimolandola con richieste: qual è stato il momento in cui riso di più nella tua vita, quale quello più triste.
Grazie ai risultati di questa fase preliminare, hanno stabilito dove inserire il dispositivo, posizionato nell’emisfero destro collegato ad elettrodi in due regioni: lo striato ventrale –  coinvolto nell’emozione, nella motivazione e nella ricompensa, dove la stimolazione “eliminava costantemente i suoi sentimenti di depressione” – e l’altro l’amigdala. Il dispositivo emette un raffica di 6 secondi quando riconosce il suo modello di attività cerebrale legato alla depressione. Nel corso dello studio sperimentale, il dispositivo è stato spento e acceso senza che Sarah lo sapesse, per osservare le sue reazioni. Lei ha avuto un chiaro peggioramento.
Non è una guarigione. Sarah continua a curarsi anche con psicofarmaci, la stimolazione elimina il sintomo quando lo identifica, ma non impedisce a questi di presentarsi. Circa il 30 percento delle persone con depressione non risponde ai trattamenti standard o trova gli effetti collaterali intollerabili. La Deep Brain Stimolation non è adatta a tutti: costa decine di migliaia di dollari e la chirurgia cerebrale per impiantare il dispositivo comporta rischi, come l’infezione. Ma l’esperienza di Sarah è comunque incoraggiante se altri tentativi funzionano, potrebbero aiutare un numero significativo di persone.

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