Lo studio: alcuni anticorpi contro il Coronavirus sono più persistenti di altri
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Lo studio: alcuni anticorpi contro il Coronavirus sono più persistenti di altri

Lo studio è stato condotto su 5 comuni trentini per indagare la persistenza degli anticorpi dei soggetti che si erano sottoposti a screening intensivo lo scorso settembre.

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16 Novembre 2020 - 21.11


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Uno studio epidemiologico dell’Iss e della Provincia autonoma di Trento condotto su 5 comuni trentini sembra suggerire che alcuni anticorpi anti-Coronavirus siano più persistenti di altri. Alla conferenza stampa telematica di presentazione sui dati hanno partecipato il presidente della Provincia autonoma di Trento Maurizio Fugatti, il direttore generale della Prevenzione presso il Ministero della Salute Giovanni Rezza, il direttore generale dell’Azienda Sanitaria Pierpaolo Benetollo e il direttore del Dipartimento di prevenzione Antonio Ferro.
“È stata un’importante operazione svolta nella prima ondata Covid di cui oggi andiamo a trarre le conclusioni – ha spiegato il presidente Fugatti – un momento importante sotto l`aspetto della gestione della crisi ma anche del rapporto tra le istituzioni. Ringrazio i sindaci dei Comuni interessati per la forte disponibilità e tutti i cittadini che si erano messi a disposizione. Auspico che questa collaborazione con Iss, Ministero, Comuni possa continuare anche nei prossimi mesi”.
L’Iss insieme alla Provincia autonoma di Trento ha svolto uno studio di siero prevalenza al fine di valutare la diffusione dell’infezione da SARS-CoV-2 in 5 comuni della Provincia Autonoma di Trento che avevano registrato la più alta incidenza di casi COVID-19 nella prima fase dell’epidemia. Lo studio si è articolato in due fasi di indagine: la prima, a maggio, in cui sono stati esaminate circa 6.100 persone, e a distanza di 4 mesi, quando sono stati ri-esaminati coloro che erano risultati positivi alla prima indagine. I risultati della prima indagine, in corso di pubblicazione sulla rivista Clinical Microbiology and Infection, avevano evidenziato che il 23% della popolazione aveva anticorpi contro la proteina nucleocapside del virus SARS-CoV-2. Nella seconda indagine, appena conclusasi si è osservata una rapida diminuzione degli anticorpi diretti contro questa proteina in una elevata percentuale di individui inizialmente sieropositivi: il 40% dei circa 1.000 ri-testati è risultato infatti sieronegativo a distanza di 4 mesi dal primo test. Analizzando gli stessi campioni di siero per un altro tipo di anticorpi, diretti contro la proteina Spike, è risultato, invece, che oltre il 75% dei soggetti mostrava ancora una sieropositività.
Per comprendere e spiegare meglio questi risultati, il gruppo di lavoro ISS ha valutato la presenza di anticorpi neutralizzanti, (ovvero quelli che, al momento, si possono considerare come protettivi nei confronti dell’infezione), in un sottogruppo di pazienti, utilizzando un test di sieroneutralizzazione con virus vivo su linee cellulari. È stato osservato che, negli esperimenti in vitro, quasi tutti i sieri positivi per gli anticorpi contro la proteina spike sono in grado di neutralizzare l’ingresso del virus. “I risultati dello studio – spiega Paola Stefanelli, (primo ricercatore, direttore del reparto malattie prevenibili da vaccino-laboratori di riferimento) – sono rilevanti nella comprensione della dinamica e della longevità dei vari tipi di anticorpi e della capacità neutralizzante degli anticorpi anti-spike, con importanti implicazioni per l’uso dei vaccini, al momento in fase di valutazione, basati su questa proteina di SARS-CoV-2”.

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