Parte la fase 2: serve responsabilità ma soprattutto andare a combattere il virus casa per casa
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Parte la fase 2: serve responsabilità ma soprattutto andare a combattere il virus casa per casa

Servono milioni di tamponi per mappare i portatori del virus che in questi due mesi di isolamento hanno continuato a diffonderlo nelle case e ora che usciranno se sono ancora infetti lo porteranno fuori.

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Claudio Visani Modifica articolo

3 Maggio 2020 - 19.18


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Ci siamo. Da domani il Paese prova a ripartire. Non so se sia anche pronto. Sento molta preoccupazione e inquietudine in giro. Ma non si poteva prorogare ancora il lockdown. Penso che l’Italia non avrebbe retto. E nemmeno gli italiani. Quindi a questo punto tanto vale guardare avanti. A quel che si deve o si dovrebbe fare per limitare i rischi di ripresa della pandemia; rischi che, con una media di duemila nuovi casi al giorno e qualche milione di contagiati mai identificati, sono ancora altissimi. E a come dobbiamo prepararci a convivere col Covid 19 ora che torneremo a uscire dopo due mesi di isolamento.

Come sono andate le cose lo sappiamo. La potenza devastante di quel maledetto virus. L’enormità della tragedia (quasi 30mila morti, la strage dei nostri vecchi nelle case di riposo, oltre 200mila malati, conseguenze economiche e sociali devastanti). Il mondo che ci sembrava così tecnologicamente evoluto e che invece abbiamo scoperto così fragile, quasi impotente di fronte alla malattia. Gli allarmi e i piani di emergenza scattati tardi. Le massime istituzioni sanitarie mondiali che non si fanno trovare pronte come dovrebbero. I virologi che si dividono e non ci hanno ancora capito gran che. I governi che si sono fatti trovare impreparati. I paradossi della globalizzazione che nel momento del bisogno ti fanno mancare prodotti elementari come mascherine, protezioni sanitarie, tamponi, respiratori. L’amara scoperta dei danni enormi che abbiamo fatto in tutti questi anni alla nostra sanità togliendole risorse e privatizzandone un bel pezzo. La politica mediocre di questi tempi grigi che manda messaggi ad minchiam: chiudere tutto, aprire tutto, richiudere tutto, riaprire tutto. Il governatore e i potentati economico-politici della Lombardia che andrebbero processati per i danni provocati dalle decisioni dissennate prese in quella regione.

Come dovrebbero andare da ora in poi provo a sintetizzarlo così. Finora le scelte di fondo sono state due: correre ai ripari potenziando gli ospedali e le terapie intensive per mettere in relativa sicurezza il nostro servizio sanitario; chiuderci quasi tutti in casa. Due mesi di lockdown hanno rallentato di molto l’incendio ma non l’hanno domato. E non perché gli italiani siano stati, come li vuole una certa diffusa narrazione, i soliti incivili, indisciplinati e furbetti di sempre. Sì, i casi di violazione dell’isolamento e di irresponsabilità non sono mancati, ma hanno inciso poco sulla dimensione del contagio.

Ciò che ha inciso veramente sulla diffusione della pandemia è stato altro: la mancata e tempestiva chiusura dei focolai lombardi, la famigerata partita di champions tra Atalanta e Valencia con lo stadio di San Siro (Milano) gremito, la mancata protezione del personale sanitario, degli ospedali (Codogno e Alzano Lombardo in primis) e delle case di riposo, le attività economiche che non sono state fermate e gli spostamenti dei lavoratori sui mezzi pubblici affollati e senza prevenzioni. Fatti gravissimi, di cui sono responsabili governatori, prefetti, sindaci, autorità e aziende sanitarie pubbliche, i gestori degli ospizi privati, non i cittadini.

Una volta che il Covid ha dilagato, ciò che è mancato è stato poi un intervento tempestivo ed efficace per individuare e isolare chi era stato contagiato, tracciare i contatti, delimitare i focolai, fare tanti tamponi, curare le persone a domicilio prima che la malattia si aggravasse e finissero in terapia intensiva. Ora è su questo terreno che bisogna recuperare il ritardo. Serve un piano sanitario articolato e concreto, con risorse, strutture e personale adeguato, per fare ciò che si doveva fare e non si è riusciti a fare fin dall’inizio. Servono milioni di tamponi per mappare le zone e i portatori del virus, sani o malati che siano, che in questi due mesi di isolamento hanno continuato a diffonderlo nelle case e nei condomini e ora che ricominciano a uscire se sono ancora infetti lo porteranno fuori. Il piano sulla carta pare che sia a buon punto. Ma la App non c’è ancora. Tamponi, reagenti, test rapidi affidabili e laboratori adeguati non si sa. E comunque bisogna andarci per davvero in quei condomini a combattere il virus “casa per casa”, non solo annunciarlo. Così come bisogna concludere al più presto i test e la messa in sicurezza del personale sanitario e delle case di riposo. Infine, servono interventi concreti per la messa in sicurezza dei posti di lavoro (fabbriche, piccole e medie aziende, uffici pubblici e privati) e del trasporto pubblico. Anche qui i piani sono stati predisposti, ci si sta lavorando, ma i ritardi sono gravi e da domani almeno quattro milioni e mezzo di lavoratori tornano a spostarsi e a faticare.

Solo se questi interventi, che non dipendono dai cittadini ma dal Governo, dalle Regioni, dalla Sanità, dalle aziende pubbliche e private, verranno attuati la lotta alla diffusione del virus sarà davvero efficace e il messaggio agli italiani davvero potente. Perché si potrà dire loro: “Io, Stato, non scarico su di te, cittadino, la responsabilità di questa battaglia. Non mi limito a darti fiducia, a fare affidamento sul tuo buon senso, sulla correttezza dei tuoi comportamenti, sulla tua responsabilità per evitare gli assembramenti, mantenere il distanziamento sociale, indossare la mascherina. No, do l’esempio. Faccio la mia parte. E con i miei interventi ti metto nelle condizioni di fare bene la tua”.

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