Libia: li finanziamo, li armiamo e quelli ci prendono pure per i fondelli
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Libia: li finanziamo, li armiamo e quelli ci prendono pure per i fondelli

“Poche ore dopo aver depositato davanti alla Corte penale internazionale l’ultimo atto d’accusa dell’Onu contro le autorità libiche da Tripoli arrivano le accuse

Libia: li finanziamo, li armiamo e quelli ci prendono pure per i fondelli
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

1 Aprile 2023 - 19.15


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Li sosteniamo. Li finanziamo. Li armiamo. Li addestriamo. E quelli ci prendono pure per i fondelli.

Presi in giro

A darne conto, con la consueta documentata chiarezza, è, su Avvenire, Nello Scavo.

“Poche ore dopo aver depositato davanti alla Corte penale internazionale l’ultimo atto d’accusa dell’Onu contro le autorità libiche, da Tripoli arriva la risposta – scrive Scavo-. L’Alto commissariato Onu per i rifugiati? «Una presenza illegale». La Convenzione di Ginevra per i Diritti umani? «Provocherebbe cambiamenti drammatici nella nostra società».

A firmare la controffensiva è il “Consiglio Nazionale per le Libertà Civili e i Diritti Umani in Libia” (Ncchr). Sulla carta si tratta di un organismo indipendente, riconosciuto dalle Nazioni unite e dal governo di Tripoli, in forza di una legge autorizzativa della presidenza libica.

Notizie contraddittorie che fanno il paio con quanto trapela da Bruxelles. La «maggior parte dei richiedenti asilo» nell’ Ue «non ha bisogno di protezione internazionale». E gli Stati membri dovrebbero concentrarsi sull’aumentare i rimpatri di coloro che non hanno diritto a restare, dato che nell’Unione appena un quinto di coloro ai quali viene rifiutata la domanda d’asilo viene poi effettivamente rimpatriato. Non sempre e non solo per colpa dei Paesi extra Ue. A sottolinearlo è stata la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, nella riunione del collegio dei commissari dell’8 febbraio scorso, come riporta il verbale consultato dall’AdnKronos. Si parla di quei «fenomeni di immigrazione clandestina» citati anche dalla controversa commissione libica che nella sua nota fa riferimento alle «crescenti pressioni di soggetti esterni sulla Libia, in particolare dell’Unione Europea, e al suo impatto sulla sicurezza, la situazione economica e sociale del Paese». Secondo il “Consiglio” l’Unione europea starebbe cercando di convincere il governo di Tripoli ad avviare il negoziato con l’Onu per firmare la Convenzione di Ginevra, che impegnerebbe il Paese a rispettare i diritti umani fondamentali e dotarsi di una legislazione per il diritto d’asilo.

«La firma della Convenzione di Ginevra – sostiene l’organismo tripolino – provocherà drammatici cambiamenti nella struttura demografica, rendendo i libici una minoranza nella loro patria, il che crea implicazioni nel cambiamento demografico». Ad oggi gli stranieri in Libia sono circa 700mila, poco più di un decimo della popolazione. In nessun caso la firma delle convenzioni internazionali implicherebbe l’automatica concessione della cittadinanza agli stranieri, la gran parte dei quali si trova in Libia da molti anni per lavoro. 

La mossa del “Ncchr”, che evoca il pericolo di una sostituzione etnica, proprio per gli argomenti e i toni adoperati sembra inserirsi nelle faide interne al sistema di potere libico, ostacolando le relazioni internazionali e mettendo alcuni ministri nella difficile posizione d’essere considerati complici di «drammatici cambiamenti» per la popolazione.

Le agenzie Onu continuano a riscontrare difficoltà nell’accesso ai visti d’ingresso per il personale internazionale e le attività nel Paese sono fortemente limitate, proprio perché a Tripoli non è in vigore alcuna legislazione che possa proteggere i profughi nei confronti dei quali la Libia rivendica di non avere alcun obbligo, arrivando a legittimare i campi di prigionia statali che l’Onu vorrebbe chiudere. Perciò «il Consiglio Nazionale per le Libertà Civili e i Diritti Umani in Libia considera illegale il lavoro dell’organizzazione delle Nazioni Unite (Unhcr-Acnur) in Libia perché il nostro Paese non ha firmato la Convenzione di Ginevra del 1951». E, se non bastasse, il personale umanitario del Palazzo di Vetro è accusato di «di sfruttare la debolezza e le sfide che le istituzioni statali devono affrontare».

L’ultimo rapporto di una commissione indipendente di esperti dell’Onu sulla Libia proprio questa settimana ha messo sotto accusa la Guardia costiera libica per «crimini contro l’umanità» e l’Unione europea per averle dato «sostegno tecnico, logistico e finanziario per, tra le altre cose, le attività di intercettazione dei migranti e per riportarli indietro» in un Paese dove sono «in aumento» torture, sparizioni, stupri, schiavitù.

«Vi sono ragionevoli motivi per ritenere che alti ufficiali della Guardia costiera, della Direzione per la lotta all’immigrazione illegale e dell’Apparato per il supporto alla stabilità – spiegano gli esperti Onu Mohammad Auajjar, Tracy Robinson e Chaloka Beyani – siano collusi con i trafficanti, a loro volta legati a gruppi armati, in un contesto che vede i migranti intercettati e privati della libertà». Ma di questo il Consiglio Nazionale libico per i diritti umani non dice una sola parola”.

Così Scavo.

Connubi criminali

Trafficanti di esseri umani “riverniciati” da ufficiali della cosiddetta Guardia costiera libica. Signori della guerra spacciati per uomini di governo. E’ la Libia del dopo-Gheddafi. Uno Stato fallito dove a dettare legge sono oltre 150 milizie e tribù in armi che si spartiscono il territorio. Globalist lo ha documentato in centinaia di articoli, report, documenti. 

Di grande interesse a tal proposito è l’intervista che Agenzia Nova  ha fatto a l’analista senior dell’International Crisis Group (Icg), Claudia Gazzini .

Gruppi legati all’autoproclamato Esercito nazionale libico (Lna) del generale Khalifa Haftar sono attivi nel traffico dei migranti che arrivano irregolarmente in Italia partendo dalla Libia orientale. 

Così lo spiega Grazzini, che smonta la farlocca narrazione dei ministri securisti del governo Meloni (Piantedosi, Urso, Tajani etc) sulla guerra ibrida che i mercenari della Wagner, su ordine di Putin, avrebbero scatenato contro l’Italia, usando i migranti come “bombe umane” d’invasione. “Ritengo alquanto improbabile che il gruppo russo Wagner abbia un ruolo nei flussi migratori verso l’Italia”, riferisce l’analista italiana. “Quello che sappiamo da fonti sul campo, invece, è che ci sono libici legati ad Haftar, dunque unità legate all’Lna, che si sono attivamente messi a giocare una partita nei flussi dei migranti che provengono dall’est, dunque dal confine egiziano, e che vengono imbarcati in vari porticcioli lungo le coste della Libia orientale”, riferisce Gazzini. Secondo i dati del Viminale ottenuti da “Agenzia Nova”, almeno 10.628 migranti sono sbarcati in Italia dalla Libia al 28 marzo, in aumento del 152 per cento rispetto ai 4.207 arrivi dello stesso periodo dell’anno scorso. La metà dei nuovi arrivi è partita dalla Cirenaica, la regione orientale della Libia dominata dal generale Haftar, a sua volta sostenuto dai mercenari del gruppo russo Wagner.

“Nessuna evidenza di legami con Wagner”

“Non mi risulta che ci sia un legame attivo tra Wagner in Libia e questi combattenti sudanesi e ciadiani. Ci sono state molte dicerie al riguardo. Guardando la mappa, a rigor di logica è facile dedurre che Wagner stia addestrando questi mercenari in Libia per fare opposizione agli attuali regimi operativi nei rispettivi Paesi. Tuttavia, non c’è alcun riscontro fattuale al riguardo”, ha dichiarato l’analista. Per quanto riguarda il coinvolgimento di questi gruppi nelle attività illecite transfrontaliere, secondo le informazioni raccolte, Gazzini ritiene “con moderata certezza” che i sudanesi siano coinvolti nel traffico di benzina dall’est della Libia, un mercato “attivo e molto proficuo” al momento che copre l’area fra Bengasi, Kufra, fino al confine con il Sudan. “Sembra che questi gruppi armati sudanesi siano coinvolti in questo traffico in collaborazione, si dice, in particolare con Saddam Haftar“, figlio del generale Khalifa Haftar, comandante dell’autoproclamato Esercito nazionale libico (Lna).

Gazzini precisa di non avere contezza di un coinvolgimento dei gruppi sudanesi nel traffico di esseri umani, attività che tuttavia “non esclude” sebbene “a Kufra si sente parlare poco di migranti in transito da Ciad e Sudan”. Per quanto riguarda i combattenti ciadiani posizionati sulla frontiera nigerina e ciadiana, infine, l’analista osserva che anche lì il traffico “è molto diminuito”, specialmente in provenienza dal Niger ma anche dal Ciad. Gazzini ricorda che “nessuno passa dal nord del Ciad per arrivare in Libia” e che in base a questi elementi si presume che questi gruppi armati possano essere coinvolti in altri tipi di traffici transfrontalieri. “Ricordiamoci che il nord del Ciad è più vicino fisicamente alla Libia che a Djamena, quindi la gran parte dell’economia del nord del Ciad si basa su beni che provengono dal sud della Libia”.

“Difficile un ritiro dei mercenari ciadiani e sudanesi”

Secondo Gazzini, un ritiro dei combattenti e mercenari ciadiani e sudanesi dalla Libia richiede tre cose: una volontà vera; una controparte nei rispettivi Paesi disposta a collaborare; condizioni politiche e militari per il rimpatrio. “Come è possibile immaginare, non tutti i Paesi, specialmente il Ciad e in parte anche il Sudan, auspicano un ritorno di questi combattenti, alcuni dei quali sono membri dell’opposizione armata”, riferisce Gazzini commentando il tour avviato dal rappresentante speciale del segretario generale dell’Onu e capo della Missione di sostegno delle Nazioni Unite in Libia (Unsmil), Abdoulaye Bathily, in Sudan, Ciad e Niger con l’obiettivo di concordare il ritiro dei mercenari e combattenti stranieri dalla Libia e garantire la sicurezza dei confini del Sahel.

Il rientro dei combattenti di Ciad e Sudan attualmente presenti in Libia necessita di una (non scontata) collaborazione dei governi dei due Paesi. “Per il Ciad sono poco ottimista. In Libia il principale gruppo dell’opposizione è il Fact (Fronte per l’alternanza e la liberazione del Ciad) – che ha lanciato l’assalto al nord del Ciad e portato poi alla morte del presidente Idriss Deby –, per il quale non sembra esserci spazio nell’attuale quadro politico e militare. Sono in corso dei colloqui riservati, attraverso terze persone, per vedere fino a che punto il Fact possa rientrare nel cosiddetto processo politico di N’Djamena. Le aspettative però sono basse”, afferma Gazzini. In Sudan la situazione è diversa. “Rispetto agli anni dal 2018 al 2020, molti combattenti sudanesi sono già tornati perché c’era un processo politico che lo permetteva. Molti gruppi hanno aderito al dialogo e all’accordo di Giuba che poi ha segnato l’inizio di questa nuova fase”, ricorda Gazzini.

Oggi, tuttavia, il governo di Khartum teme che il rientro dei combattenti stranieri possa scuotere i fragili equilibri su cui si regge il Paese in mano alla giunta militare. “Per questo i diplomatici sudanesi sono molti cauti, ripetono che non vogliono una destabilizzazione del Sudan e non si sa fino a che punto siano disposti a collaborare. Quando si parla di milizie sudanesi bisogna ricordare che ci sono anche gruppi del Darfur, dunque sia arabi che non arabi”, aggiunge Gazzini. E’ impossibile conoscere il numero esatto di combattenti mercenari sudanesi e ciadiani in Libia. “Per quanto riguarda i ciadiani, le stime sono di 1.000-1.500 (mercenari) tra Fact e altri due gruppi dell’opposizione. Questi sono basati principalmente a sud di Murzuq, lungo il confine con il Ciad, e rientrano nelle forze affiliate al governo di Tripoli, anche se anni fa nel 2015 erano con Haftar. Seppur inquadrati nei ranghi del governo tripolino, ad oggi non sembrano essere operativi”, precisa l’analista. I combattenti sudanesi, invece, sono per lo più dislocati nell’est e nel sud-est della Libia. “Sono usati attivamente dalle forze di Haftar per lo più come guardie. Dove siano basati esattamente è meno chiaro. Sembra che siano dislocati nelle varie installazioni controllate da Haftar, che siano aeroporti, terminal petroliferi o pozzi”, conclude Gazzini.

Questa è la Libia oggi. Due governi, due parlamenti, 150 milizie e tribù in armi. Attori esterni che sostengono i vari signori della guerra, burattini nelle mani dei loro protettori siano essi l’Egitto, la Russia, la Turchia, l’Arabia Saudita, gli Emirati Arabi Uniti…Quanto all’Italia, al di là delle narrazioni enfatiche quanto infondate di un nostro protagonismo nel Mediterraneo, la realtà racconta di una marginalità politico-diplomatica imbarazzante, che solo in parte viene colmata dall’attivismo dell’Eni. In Libia abbiamo puntato su signor nessuno come l’ormai desaparecido Fayez al-Sarraj, ci siamo inventati cabine di regia internazionali nelle quali c’infilavamo senza alcun costrutto. L’unica cosa certa sono le motovedette che continuiamo a regalare alla Guardia costiera libica perché faccia il lavoro sporco – i respingimenti – a posto nostro. Ma quelli neanche ci ringraziano. 

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