Migranti da combattere come "armi ibride": il piano del governo Meloni per coinvolgere la Nato
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Migranti da combattere come "armi ibride": il piano del governo Meloni per coinvolgere la Nato

Coinvolgere la Nato nella guerra ai migranti. I migranti, non più “carichi residuali” ma “armi ibride” utilizzate dai mercenari di Putin  contro l’Italia, Paese membro dell’Alleanza Atlantica

Migranti da combattere come "armi ibride": il piano del governo Meloni per coinvolgere la Nato
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17 Marzo 2023 - 14.24


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Il piano è chiaro. Lo stanno preparando da giorni, forse settimane, con la complicità della stampa mainstream. Coinvolgere la Nato nella guerra ai migranti. I migranti, non più “carichi residuali” ma “armi ibride” utilizzate dai mercenari di Putin  contro l’Italia, Paese membro dell’Alleanza Atlantica. Il Mediterraneo come fronte della guerra in Ucraina. 

“Armi ibride”

Ne scrive, con la consueta profondità analitica, Maurizio Ambrosini su Avvenire: “Sempre l’allarmismo  – annota Ambrosini – guida la diffusione di notizie riguardanti una cifra di 685mila persone “in arrivo dalla Libia”: l’ennesima di una serie, perché lanci di questo genere sono avvenuti a più riprese nel corso degli anni. 685mila è una stima (friabile, non si sa neppure come sia costruita) dei profughi e dei migranti presenti in Libia, ma è ancora più problematico prevedere quanti vogliano partire verso l’Europa e come possano trovare i mezzi per farlo. Qui scatta la semplificazione: i profughi arrivano perché qualcuno li spinge a partire, e partono senza pensare ai rischi perché dei mafiosi decidono chi può venire da noi, come ha detto la premier Meloni. Con un corollario pseudo-solidale quello che porta a sostenere che «chi arriva si trovi a fare la manovalanza della criminalità organizzata o diventi vittima della prostituzione». Meloni, in questa stessa chiave, ha anche parlato di «schiavitù del terzo millennio»: ma gli schiavisti tenevano soggiogate a vita le persone che cadevano nelle loro mani, mentre ora i trafficanti vendono, a caro prezzo e ad alto rischio, un servizio di trasporto che a queste persone in fuga non è permesso di acquistare sul mercato legale. Non entrano nell’analisi altri fatti difficilmente contestabili, a cominciare dal fatto che la maggioranza delle vittime di Cutro provenisse dall’Afghanistan, che l’Africa sia sconvolta da decine di conflitti a vari gradi d’intensità, che molti rifugiati giunti negli scorsi anni si stiano inserendo nel lavoro regolare. Non trova spazio che le migrazioni e le stesse partenze a rischio dei profughi abbiano cause svariate e complesse, spesso terribili. Quanto alla negazione del diritto a migrare, la premier con questo linguaggio annuncia in realtà il diniego del diritto di asilo, in quanto strettamente legato alla possibilità di mettere piede in un Paese sicuro.

Ecco allora l’individuare “colpevoli”: dopo le Ong e gli scafisti, i mercenari della brigata Wagner. Difficilmente difendibili e tutt’altro che indifesi da ogni punto di vista, questi ultimi, ma le nazionalità dei profughi fin qui sbarcati non coincidono con il teatro delle operazioni della famigerata organizzazione paramilitare russa: i profughi arrivano da Costa d’Avorio (3.002 al 15 marzo), Guinea (2.806), Pakistan (1.541), Bangladesh (1.506), Tunisia (1.421). I mercenari russi operano invece in Mali, Burkina Faso, Repubblica Centrafricana.

Nemmeno la presenza di mercenari russi in Libia spiega molto, perché più della metà dei 20mila sbarcati provengono dalla Tunisia, e sono aumentati pure gli arrivi dalla Turchia, come ci ha insegnato la tragedia di Cutro. Anche in Libia, Wagner è installata in Cirenaica a sostegno del generale Haftar, non controlla altri luoghi d’imbarco. In realtà, dietro alle partenze ci sono spinte diverse e intrecciate, come la campagna xenofoba del presidente tunisino Saied, la profonda crisi economica di quel Paese e il deterioramento dell’unica democrazia sopravvissuta al riflusso delle primavere arabe. Quanto all’Africa sub-sahariana, i conflitti, l’espansione jihadista, le repressioni e le dittature sono più la regola che l’eccezione: sono problemi più antichi e profondi dell’eventuale e indimostrato dispiegamento russo. Il Pakistan, a sua volta, è attraversato da una profonda crisi politica ed economica. 

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L’individuazione dei russi come “responsabili” ha un obiettivo politico: coinvolgere l’Europa e persino la Nato in un’operazione difensiva che bolli i profughi come “arma ibrida” e li respinga con tutti mezzi, ricorrendo anche alla Marina militare, del cui intervento si torna a parlare. Se siamo in guerra, e i profughi arrivano a essere definiti un’«arma di guerra», allora tutto o quasi diventa lecito per scongiurare la minaccia. Se a questo si punta, questo va contrastato con tutto l’impegno di cui si è capaci”.

Il caos libico

Da un report di Agenzia Nova: “Si sono registrati momenti di alta tensione a Tripoli, la capitale della Libia, tra le Forze di sicurezza generali, che fanno riferimento al ministro dell’Interno del Governo di unità nazionale (Gun), Imad Trabelsi, e gli apparati di prevenzione dell’immigrazione illegale, guidati da Mohamed al Khoja. Domenica, Trabelsi ha annunciato un piano di sicurezza per la difesa dei confini, dei porti e delle regioni desertiche del Paese, con l’obiettivo di contrastare i traffici illeciti come richiesto dagli europei e dagli italiani in particolare. L’annuncio è stato diffuso durante un incontro fra Trabelsi, il comandante di Stato maggiore dell’Esercito libico con base a Tripoli, Mohammed al Haddad, il comandante di Stato maggiore delle Forze di terra, Al Fitouri Gharibil, e il comandante del Servizio di sicurezza interno, Lutfi al Hariri. Tale decisione avrebbe però ridimensionato l’Autorità anti-immigrazione illegale (Dcim) al Khoja in materia di migranti irregolari. Al Khoja, dunque, ha radunato diversi veicoli militari, con l’intenzione di marciare a Tripoli fino alla sede del ministero dell’Interno. Tuttavia, l’intervento delle forze dell’Autorità per il sostegno alla stabilità, guidate da Abd al Ghani al Kikli, ha evitato l’esplodere di scontri armati.

Intanto domenica sera, nell’area di Bir al Usta Milad, nella municipalità di Tajoura, a est della capitale libica, Tripoli, sono scoppiati scontri tra esponenti della 51esima Brigata e la Brigata dei “Leoni di Tajoura”.

Secondo quanto riferito da fonti locali, la 51esima Brigata ha assaltato il battaglione rivale, accusandolo di aver ucciso uno dei suoi membri il giorno precedente. Ne è scaturito un violento conflitto a fuoco, che ha suscitato il panico degli abitanti della zona. A differenza delle tensioni fra al Khoja e Trabelsi, in questo caso si tratta di contrasti tra bande criminali per il controllo del territorio.

Secondo i dati del Viminale visti da Agenzia Nova, dalla Libia sono partiti 7.057 migranti sbarcati in Italia al 13 marzo, un aumento dell’80 per cento circa rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Una fonte libica ha riferito a “Nova” che circa due terzi dei barconi partono dalla Libia orientale, controllata del generale Khalifa Haftar, comandante dell’autoproclamato Esercito nazionale libico (Lna). Da questa rotta partono soprattutto cittadini egiziani, siriani e bengalesi. Si tratta di un trend si sta consolidando già da alcuni mesi. Oltre la metà dei quasi 100 mila migranti sbarcati in Italia nel 2022, infatti, è partita proprio dalla Libia, di cui oltre 30 mila dalla Tripolitania e, per la prima volta, circa 18 mila dalla Cirenaica”.

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«Venire in aereo in Italia ci costerebbe molto meno: ecco perché avere il visto è impossibile e saliamo sui barconi»

Sono le testimonianze raccolte da Jacopo Sorni per Corriere/Tv: “Ablaye Fall ha lasciato il Senegal perché in Senegal stava male. Miseria dilagante, il futuro incerto, i genitori malati, l’assenza di lavoro. Ablaye avrebbe voluto prendere un aereo per venire in Europa. Sarebbe costato meno. Sarebbe costato poche centinaia di euro. Non certo 2mila euro come il grande viaggio, prima via terra e poi sul barcone. Però Ablaye non ha potuto prendere l’aereo. Non ha neppure provato a bussare a una delle ambasciate europee per ottenere un visto, magari soltanto turistico. Perché già sapeva – come sanno tutti gli africani aspiranti migranti – che le ambasciate europee, quei visti li negano sommariamente. 


Viaggiare è impossibile se non sei nato nel Paese giusto. Il Senegal, in questo senso, non è certo un Paese giusto. L’Italia invece sì. Esistono passaporti di serie A e passaporti di serie B, come riporta capillarmente la classifica di Passport Index. Con il passaporto italiano si possono visitare 174 Paesi. Con il passaporto senegalese soltanto 66, quasi tutti in Africa, nessuno in Europa. Con il passaporto somalo 44 Paesi, tra cui Haiti, Maldive, Mozambico, Malesia. Nessuna nazione in Europa. Se sei nato in Africa, soltanto in Africa potrai viaggiare. Con il passaporto siriano si possono visitare 38 Paesi, idem con il passaporto afghano. Molti siriani e afghani vorrebbero fuggire dalla guerra e dai talebani ma, semplicemente, non possono farlo, almeno per vie legali. O meglio, possono arrivare in Europa per vie illegali e poi, una volta qui, chiedere un visto umanitario. Ma prima devono rischiare la vita superando frontiere, muri, mari e spendere migliaia di euro. E così proliferano i trafficanti di uomini, che si fanno pagare profumatamente per rotte migratorie dove si rischia la morte. Proprio come successo ai migranti naufragati al largo di Crotone.

Proprio come successo ad Ablaye, arrivato per miracolo a Lampedusa. «Il mio barcone si è rotto, eravamo 120 persone, ne sono sopravvissute soltanto 62. Ho visto una bambina di due anni morire affogata di fronte alla mamma, l’ho vista proprio davanti ai miei occhi. Ho visto un mio connazionale scomparire dentro il mare, prima di morire mi aveva lasciato il numero di telefono di sua mamma e quello di suo babbo, per avvertirli nel caso fosse morto». Oggi Ablaye è ospite in un centro di accoglienza della cooperativa Il Girasole in provincia di Firenze. Ha iniziato a lavorare come sarto e ogni mese manda soldi a casa. Non dimentica il Mediterraneo: «Ancora sogno la notte quei momenti in mezzo al mare, a volte non riesco a dormire». 

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Accanto a lui c’è Kwasi Amankwa, ghanese: «Sono stato due anni in Libia, ho lavorato a Tripoli, poi i libici mi hanno imprigionato, mi hanno torturato, mi bagnavano il corpo e mi frustavano sulla schiena. Poi sono partito con un barcone, eravamo 150 a bordo, ne sono rimasti soltanto 15, gli altri sono tutti morti, io mi sono salvato perché so nuotare». Anche Kwasi avrebbe preferito viaggiare comodamente in aereo, ma quando sente parlare di viaggio in aereo si mette a ridere: «Per noi africani è impossibile viaggiare in aereo, i visti non li rilasciano, almeno che tu non sia ricco».  I requisiti per avere un visto sono quasi impossibili da sostenere per la maggior parte degli aspiranti migranti. Al viaggiatore che vuole entrare in Italia è richiesto, ai fini del rilascio del visto, un’assicurazione medica di 30.000 euro valida per i Paesi Schengen per il rimborso delle spese mediche, l’assistenza e il rimpatrio in caso di morte o malattia. E poi c’è la parte ancora più difficile. Serve la prova della disponibilità di mezzi sufficienti per sostenere le spese di soggiorno. Le prove richieste possono essere, ad esempio, gli estratti bancari dei sei mesi precedenti. E soprattutto, si richiede una documentazione giustificativa della propria condizione socio-professionale. Si richiede, di fatto, che l’aspirante migrante sia benestante. Ed ecco perché, nella maggior parte dei casi, i visti non vengono concessi. 


E’ quindi impossibile entrare regolarmente in Italia, tranne che col decreto flussi, la misura che negli ultimi vent’anni ha portato in Italia circa un milione di stranieri e che all’indomani della tragedia di Cutro, il Governo Meloni ha promesso di potenziare (senza però fornire numeri dei possibili ingressi). «Ma anche il decreto flussi funziona col contagocce – ha detto Nazzarena Zorzella, avvocata di Asgi (Associazione studi giuridici sull’immigrazione) – E’ uno strumento di difficile attuazione perché incrocia domanda e offerta di lavoro a scatola chiusa, ovvero il datore di lavoro italiano deve assumere un proprio dipendente che ancora si trova in patria, quindi di fatto senza conoscerlo, di fatto deve assumerlo a distanza. Ma è complicato per un imprenditore assumere a distanza, senza alcuna conoscenza e garanzia». 


E succede che spesso il meccanismo non funziona come dovrebbe, sia perché molti Paesi sono esclusi dal decreto flussi, sia perché buona parte degli ingressi sono per un tipo di lavoro stagionale. Oltre al fatto, denunciano i datori di lavoro, che ci sono lungaggini burocratiche che rendono complicato il rilascio dei nulla osta che spesso arriva dopo mesi dalla richiesta”.

Intanto, sono stati trovati e recuperati altri 5 corpi di migranti, che hanno perso la vita nel naufragio di un barcone a 150 metri dalla spiaggia di Steccato di Cutro. Le vittime accertate della rottura dell’imbarcazione, incagliatasi in una secca all’alba del 26 febbraio, diventano così 86. L’ultimo cadavere recuperato è quello di una bambina di circa 3 anni, recuperata dai soccorritori nelle acque del Crotonese: si tratta della trentacinquesima minore e della ventiseiesima compresa tra gli zero e i 12 anni. Anche loro sono “armi ibride” per i securisti al governo. 

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