Per Giorgia Meloni le navi Ong sono "traghetti": la crudeltà è anche semantica
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Per Giorgia Meloni le navi Ong sono "traghetti": la crudeltà è anche semantica

La “logistica della crudeltà” non è solo trattare i migranti come dei pacchi ma anche sottoporre le navi delle Ong – i “traghetti” secondo la nuova sprezzante definizione della presidente del Consiglio - a ulteriori vicissitudini

Per Giorgia Meloni le navi Ong sono "traghetti": la crudeltà è anche semantica
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

4 Febbraio 2023 - 14.34


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Andate al porto di Pesaro. No, a quello di Napoli. La “logistica della crudeltà” non è solo trattare i migranti come dei pacchi ma anche sottoporre le navi delle Ong – i “traghetti” secondo la nuova sprezzante definizione della presidente del Consiglio – che operano nel Mediterraneo alla goccia cinese dei porti verso cui dirigersi. 

Il “gioco dei porti”

La cronaca: la nave Ong Sea Eye , che ha a bordo 109 migranti, è stata destinata al porto di Napoli. Un cambio di rotta deciso dal Viminale per l’imbarcazione, alla quale era stato assegnato come porto sicuro quello di Pesaro. Il cambio consentirà alla nave umanitaria di abbreviare il suo percorso di diverse centinaia di miglia, a differenza di quanto era capitato nelle ultime circostanze quando i porti di destinazione erano stati tutti nel nord Italia. 

La Sea Eye si trova in navigazione tra Lampedusa e Malta: a bordo c’erano i cadaveri di due persone che non erano sopravvissuti alla traversata del mediterraneo in gommone. Altri migranti sono in condizioni precarie ed è stata già necessaria un’evacuazione medica d’urgenza. 

Il caso sembrerebbe indicare una correzione di linea da parte delle autorità italiane rispetto alla linea dura di spedire le navi Ong il più lontano possibile dal teatro delle operazioni di soccorso. Ieri il Consiglio d’Europa aveva suggerito all’Italia di rivedere la sua politica, evitando inutili e prolungati tragitti a naufraghi salvati in mare. 

Bacchettati dall’Europa

In una lettera al ministro dell’Interno italiano, Matteo Piantedosi, il commissario per i Diritti Umani del Consiglio d’Europa, Dunja Mijatović, ha invitato il governo a prendere in considerazione il ritiro o la revisione del decreto legge 1/2023. Ne dà notizia il Consiglio d’Europa, organizzazione interna che ha sede a Strasburgo e riunisce 46 Paesi. Le disposizioni del decreto, secondo Mijatovic, potrebbero ostacolare le operazioni di ricerca e soccorso delle Ong e, quindi, essere in contrasto con gli obblighi dell’Italia ai sensi dei diritti umani e del diritto internazionale.

Il commissario rileva inoltre che, in pratica, alle navi delle Ong sono stati assegnati luoghi sicuri lontani per sbarcare le persone soccorse in mare, come i porti del Centro e Nord Italia. “Il decreto e la pratica di assegnare porti lontani per lo sbarco delle persone soccorse in mare rischiano di privare le persone in difficoltà dell’assistenza salvavita delle Ong sulla rotta migratoria più mortale del Mediterraneo”, scrive il commissario. Inoltre, il commissario ribadisce il suo invito alle autorità italiane a sospendere la cooperazione con il governo libico sulle intercettazioni in mare.

Guerra senza fine

Ne scrive su Avvenire Maurizio Ambrosini.

“La guerra alle organizzazioni non governative, le Ong, che salvano persone in mare è una cifra identitaria del nazional-populismo italiano ed europeo. Poco importa che le navi umanitarie nel 2022 abbiano soccorso appena l’11,2% delle poco più di centomila persone approdate sulle coste italiane. Gli altri o arrivano con i propri mezzi, oppure sono soccorsi da altre navi, con la Guardia costiera e la Marina militare in prima fila, sebbene costrette a operare in silenzio.
Dai primi giorni del suo insediamento, il governo Meloni aveva ripreso l’odiosa campagna contro le Ong, fino al punto da provocare una crisi dei rapporti con la Francia. Preceduto, va ricordato, dall’improvvida iniziativa dell’allora ministro Minniti che per primo ha fatto di tutto per imbrigliare le attività di salvataggio delle Ong con il suo “codice di condotta”. Limitarne l’attività, se possibile allontanarle dalle acque territoriali, rendere più costosi e complicati i salvataggi: queste sono le linee-guida del governo Meloni. A cui si può aggiungere l’intento più malevolo e insidioso sul piano delle relazioni intergovernative: scantonare dall’obbligo di offrire approdo ai naufraghi e asilo ai profughi cercando di scaricarne l’onere sugli Stati di cui le navi inalberano la bandiera. A scorrere l’elenco delle prescrizioni governative sembra che le navi umanitarie trasportino “rifiuti pericolosi” o svolgano un servizio di trasporto da disciplinare strettamente, perché foriero di chissà quali nefaste conseguenze. O le due cose insieme. Basti pensare agli effetti di alcune disposizioni, se non interverrà un moto di resipiscenza nell’iter di approvazione del decreto. L’obbligo di raggiungere «senza ritardi» il porto assegnato fa pensare che se il comandante ricevesse un’altra richiesta di soccorso dovrebbe ignorarla, lasciando affondare le persone, per non procrastinare lo sbarco o deviare, dalla rotta assegnata. I requisiti di idoneità tecnico-nautica innescano un paradosso analogo: se un salvataggio dovesse comportare il superamento del numero consentito di passeggeri, il comandante dovrebbe abbandonare qualcuno al suo destino?
Come minimo, il governo comunica una visione dei salvataggi in mare come un’attività dannosa, da circoscrivere, scrutare, penalizzare, con la minaccia di gravi sanzioni pecuniarie (cadute, per fortuna, quelle penali dell’epoca Salvini).

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Serve ad aggravare i costi l’obbligo di raggiungere porti più lontani, anche se ammantato dalla (debole) motivazione di alleggerire i porti di approdo più prossimi: come se non si potesse in poche ore trasportare le persone, una volta sbarcate, in luoghi idonei ad accoglierle.
Ma non basta. L’imposizione di informare le persone tratte in salvo «della possibilità di richiedere la protezione internazionale», raccogliendo «i dati rilevanti» lascia trasparire l’obiettivo di devolverne la responsabilità agli Stati di bandiera delle navi. Non solo provocherà tensioni con i Paesi amici (che accolgono, va sempre ricordato, più rifugiati di noi), ma solleverà seri dubbi di legittimità e praticabilità: le richieste di asilo secondo le norme vanno sottoposte alle autorità di Stato, che hanno titolo fra l’altro per verificare l’identità, la provenienza, l’autenticità dei documenti di chi le presenta. Non sembra sostenibile che dei soggetti privati, nella concitazione dei salvataggi e della prima assistenza in mare, possano farsene carico.
Da tempo ormai la nuova enfasi sui confini e sulla sovranità nazionale come valori pressoché assoluti ha messo nel mirino le organizzazioni umanitarie indipendenti, specialmente se basate all’estero. Il fatto che ricevano finanziamenti privati e pratichino una solidarietà che travalica i confini scatena un immaginario complottista, altro marchio di fabbrica del nazionalpopulismo. Di solito sono governi autoritari come quello russo o quanto meno dai dubbi standard democratici, come l’Ungheria di Orbán, a intralciare o vietare le loro attività. Ora anche il governo Meloni si aggiunge a questa poco commendevole compagnia. Se le Ong non piacciono, un’alternativa ci sarebbe: una seconda operazione Mare Nostrum, con un ampio dispiegamento della Marina militare, per trarre in salvo i naufraghi senza coinvolgere soggetti terzi. Ma temiamo che non si farà: se il primo bersaglio sono le Ong, il secondo sono le persone che vorrebbero cercare scampo al di là del mare. Tant’è che noi europei, italiani purtroppo per primi continuiamo a sostenere la cosiddetta Guardia costiera e i «lager» – parola dell’Onu – della Libia”.

Così Ambrosini. Un’analisi seria, ferma, argomentata. Da condividere dalla prima all’ultima parola.

Incorreggibile Giorgia

Di grande efficacia è il report di Andrea Maggiolo per Today: “

Annota Maggiolo: “Dai ‘taxi del mare’ di Luigi Di Maio ai ‘ traghetti’  di Giorgia Meloni. Nel mirino ci sono sempre le imbarcazioni umanitarie. ‘Le Ong vogliono stare anche settimane davanti alle coste africane: prendono dei migranti e non vanno nel porto ma aspettano di riempire la nave e la vogliono portare al porto che loro ritengono. È più un servizio di traghetto che di salvataggio…’. Parole che sembrano stonare con i drammi delle ultime ore: anche un neonato è morto annegato al largo di Lampedusa. Ma procediamo con ordine. Alza i toni la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, in una intervista a Dritto e Rovescio su Retequattro. “Dicono che Ancona è lontana, che i migranti stanno male… ma stanno settimane sulla nave in attesa di salvare altri migranti. Se li stanno salvando vanno portati subito al porto”. “Abbiamo fatto un decreto per far rispettare le regole, che viene contestato dalle Ong perché loro vogliono stare settimane davanti alle coste africane, aspettare di riempire la nave e quando la nave è piena, allora la portano nel porto che loro ritengono”, sostiene Meloni. Tornano alla mente le dichiarazioni dell’ex ministro Luigi Di Maio, che nel 2017 disse: “Siamo di fronte a un fenomeno in cui delle imbarcazioni prendono dei migranti in mare, e non li salvano mentre stanno per affogare; per me sono taxi”.

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“Il decreto e la pratica di assegnare porti lontani per lo sbarco delle persone soccorse in mare rischiano di privare le persone in difficoltà dell’assistenza salvavita delle Ong sulla rotta migratoria più mortale del Mediterraneo”. È un passaggio della lettera  che la commissaria per i diritti umani del Consiglio d’Europa ha inviato al ministro dell’Interno Matteo Piantedosi. Una lettera in cui si chiede all’Italia non solo “il ritiro o la revisione” del decreto sulle Ong, ma anche di sospendere il memorandum con la Libia sul contrasto alla migrazione clandestina. Inoltre, si esprime preoccupazione per il modo in cui vengono compiuti i rimpatri “dall’Italia alla Grecia su navi private”, ricordando la raccomandazione di Strasburgo “per porre fine ai respingimenti in Europa”.

Le navi Ong (il cui pull factor nel favorire le partenze dal Nordafrica non è mai stato provato, checché ne dicano autorevoli esponenti anche di questo governo) hanno salvato ‘solo’ una minima percentuale dei migranti approdati in Italia nel 2023: tutti gli altri arrivano con barchini (di recente si vedono sempre più scafi metallici di allarmante fragilità, con motore fuoribordo, costruiti in lamiera e neanche verniciati, natanti che hanno una grandissima instabilità) fino a Lampedusa o vengono soccorsi da motovedette della guardia costiera e della guardia di finanza, che trasferiscono poi uomini, donne e bambini nei porti italiani (quelli vicini, siciliani e calabresi). Dal primo gennaio oltre 4.400 migranti sono stati salvati e portati a terra dalle motovedette della guardia costiera, delle fiamme gialle o sono giunti in Italia con sbarchi autonomi. Poco più di 500 sono stati soccorsi dalle navi umanitarie. Da tenere a mente, quando si affronta l’argomento: Ong o meno, si parte lo stesso, e si sbarca lo stesso.

Il piano di Meloni in Europa sui migranti

Un tour di due capitali europee in un giorno, per cercare ‘alleati’ e sponde in vista del Consiglio europeo straordinario in programma il 9 e 10 febbraio a Bruxelles. La presidente del Consiglio Giorgia Meloni è oggi a Stoccolma (la Svezia è presidente di turno dell’Unione europea) e nel pomeriggio a Berlino, paese trainante dell’Unione. I temi centrali saranno due: la gestione dei flussi migratori e il sostegno alla competitività economica, con la modifica delle regole sugli aiuti di Stato. Restiamo qui sul primo punto, l’immigrazione dal Nordafrica. L’incontro più difficile è quello con il primo ministro svedese Ulf Kristersson. Sui migranti l’Italia punta a un intervento europeo basato su tre pilastri: due nel breve periodo e l’altro di prospettiva. Meloni chiede una soluzione europea che prevede la difesa dei confini dell’Unione anche nella rotta del Mediterraneo centrale, supportando l’Italia, e una gestione veramente comune dell’accoglienza, per chi ha diritto a restare, e dei rimpatri.

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In prospettiva, inoltre, Roma chiede che l’Europa sia più presente in Africa, per favorirne lo sviluppo e quindi disincentivare le partenze. Un progetto che la premier ha sintetizzato nel ‘Piano Mattei’: un modello di cooperazione “non predatorio”, come detto pochi giorni fa ad Algeri. Nell’agenda della presidenza svedese, però, non c’è traccia di modifica dell’attuale sistema: “Non sarà siglato un patto sui migranti durante la presidenza svedese”, ha però detto qualche tempo fa al Financial Times Lars Danielsson, ambasciatore della rappresentanza svedese presso Bruxelles, non lasciando molto spazio a interpretazioni. A Kristersson Meloni farà presente la posizione italiana, spingendo sulla necessità di evitare divisioni in Europa. Da parte sua il governo tedesco nelle scorse settimane aveva criticato la “linea dura” dell’Italia sulle Ong e si era detto disponibile ad accogliere, ma Scholz in patria deve comunque fare i conti con un sistema vicino al collasso, con 1,2 milioni di immigrati registrati negli ultimi dodici mesi (un milione sono giunti solo dall’Ucraina).

Intanto una nuova tragedia si consuma nel mare al largo di Lampedusa. Un barcone è stato soccorso, in acque Sar Maltesi, da una motovedetta della Guardia costiera. E’ stata constata la presenza a bordo di 46 persone ed 8 corpi senza vita, tra cui tre donne. Una era incinta.

Dopo alcuni giorni di tregua, dovuti alle cattive condizioni meteo, sono ripresi gli sbarchi a Lampedusa. In 75 sono giunti nelle scorse ore sull’isola con due diversi approdi. La prima carretta del mare con 37 migranti è stata intercettata dagli uomini della Capitaneria di porto a circa 22 miglia. Tra loro anche 14 donne e 3 minori. Il secondo gruppo di 38 persone, tra cui 2 donne, è stato rintracciato, invece, da una motovedetta della Guardia di finanza a una ventina di miglia dall’isolotto di Lampione su un barchino di circa 6 metri.

Ci sono anche due dispersi, secondo quanto raccontato dai migranti soccorsi dai militari della Guardia costiera in acque Sar Maltesi, a 42 miglia da Lampedusa. I superstiti hanno riferito che sul barcone c’era una donna con il suo neonato di 4 mesi che, a causa del freddo, è morto durante il viaggio e la madre, per disperazione, lo ha gettato in mare. Un uomo s’è tuffato in acqua sperando di recuperare il corpo del neonato, ma sarebbe annegato fra le onde. Anche la madre del piccolo è morta poche ore dopo aver gettato in acqua il suo bambino. E il suo cadavere, così come quello degli altri sette compagni di viaggio, è stato lasciato all’interno dello scafo.

“Rivolgo un appello al presidente del Consiglio, Giorgia Meloni: il Governo non ci lasci da soli a gestire questa immane tragedia”. A dirlo è il sindaco di Lampedusa, Filippo Mannino, dopo l’ennesima tragedia avvenuta al largo dell’isola”. 

Ma il governo la pensa diversamente. Quei “traghetti” vanno fermati e i disperati che li affollano vanno respinti nei lager libici. E se poi affogano, qualche lacrima e  si va avanti. La banalità del mare edizione 2023. 

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