Meloni: per dimostrare che il vento è cambiato ha preso l'autostrada contromano ed è andata a sbattere
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Meloni: per dimostrare che il vento è cambiato ha preso l'autostrada contromano ed è andata a sbattere

Prima il decreto anti-rave e l’ordinanza anti-sbarchi, con relative figuracce e imbarazzate retromarce. Poi le bacchettate dell’Europa e “la guerre” con la Francia. Tre settimane sono poche per dare giudizi equilibrati, ma la partenza è da brividi.

Meloni: per dimostrare che il vento è cambiato ha preso l'autostrada contromano ed è andata a sbattere
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Claudio Visani Modifica articolo

11 Novembre 2022 - 13.51


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“A la guerre comme à la guerre”. Ci si va con le risorse che si hanno. E le nostre son quelle che sono: i post-fascisti di Meloni e La Russa, l’Italietta di Salvini e Berlusconi, i poliziotti cattivi alla Piantedosi. Nell’ansia di dimostrare che il vento è cambiato e ora si svolta, il nuovo governo ha preso l’autostrada contromano ed è andato a sbattere.

Prima il decreto anti-rave e l’ordinanza anti-sbarchi, con relative figuracce e imbarazzate retromarce. Poi le bacchettate dell’Europa e “la guerre” con la Francia. Tre settimane sono poche per dare giudizi equilibrati, ma la partenza è da brividi. A cominciare dal guidatore.

Giorgia Meloni aveva dimostrato fin qui di essere un’abile politica. Anzi, si può dire che ha rappresentato il riscatto della politica vecchio stampo. Ma alle prime uscite da “signor Presidente del Consiglio” non è sembrata avere la levatura da statista. Negli incontri a Bruxelles è apparsa impacciata, quasi remissiva con quell’Europa contro cui tante volte aveva tuonato. E da quel che si è capito non ha portato a casa niente. Ancor peggio è andata a Sharm El-Sheikh, per Coop 27. Il silenzio su Giulio Regeni e Patrick Zaki nel faccia a faccia con Al Sisi, è stato a dir poco imbarazzante per la dignità del Paese – pardon, della Nazione – che le sta tanto a cuore.

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Sembrava essersi mossa meglio con Macron, ma la sciagurata gestione delle navi Ong e le dichiarazioni “muscolari” che ne sono seguite hanno subito rialzato la tensione. Prima è arrivato l’ammonimento formale della Commissione europea all’Italia sugli sbarchi e i respingimenti collettivi. Poi i francesi, che non sono certo degli stinchi di santo in fatto di immigrazione, hanno giudicato “inaccettabile” il comportamento del governo che ha tentato di vendere l’approdo della Ocean Viking a Tolone come un primo risultato del celodurismo italiota. Con la solita “supériorité”, ci hanno dato dei “disumami” e hanno annunciato che non si prenderanno più i 3.500 immigrati sbarcati sulle nostre coste, come era stato stabilito a giugno dall’accordo sulle ricollocazioni europee. Accordi che non funzionano e quindi da rivedere. Una furbata di Macron, anch’essa “inaccettabile” dal momento che Parigi ha accolto finora solo poche decine di migranti. Ma tant’è. Il risultato della smania muscolare di Meloni, Salvini e Piantedosi è la sfiducia dell’Europa nell’Italia, preannuncio di altri guai in arrivo: un capolavoro politico.  

Cose che accadono quando ci si trova a governare e a doversi misurare con la complessità dei problemi mentre si continua a stare in campagna elettorale. Al flop dei primi due provvedimenti “identitari”, si aggiunge il rinvio di altre misure simbolo come la Flat-tax, l’abolizione della legge Fornero e del Reddito di cittadinanza. E se in politica estera la destra rischia di non toccare palla, in politica economica l’esecutivo è costretto a muoversi in continuità con l’operato del governo Draghi (energia, bollette, aiuti a famiglie e imprese).

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Ecco allora che per marcare la propria diversità e la svolta ci si lancia nelle iniziative identitarie. Come quella del neoministro dell’istruzione Giuseppe Valditara, che nell’anniversario della caduta del muro di Berlino e nella giornata Onu contro il fascismo e l’antisemitismo scrive agli studenti una lettera in stile Minculpop per denunciare tutti gli orrori del comunismo ignorando quelli del nazifascismo.

Del resto, non una parola è stata detta contro il centenario della Marcia su Roma e la vergogna delle sfilate nostalgiche a Predappio. Mentre il neopresidente del Senato, La Russa, vuole istituire un giorno festivo per celebrare la nascita del Regno d’Italia ma non sfilerà il 25 aprile. Non c’è niente da fare, al dunque sono sempre quelli che la Resistenza, la Liberazione e la Costituzione sono di sinistra. E loro, la destra fascista o post-fascista che sia, sono le povere vittime. Meloni ha parlato degli “antifascisti con la chiave inglese”.

Si riferiva agli anni Settanta e Ottanta, alla stagione degli scontri di piazza, delle Brigate rosse e del terrorismo nero, della strage fascista alla stazione di Bologna. La destra, non solo Forza Nuova, Casapound ed estremisti vari, ma anche molti Fratelli d’Italia non hanno mai accettato le condanne dei neofascisti per quella strage. Non riconoscono le sentenze definitive contro i camerati. Per loro non è stata una strage nera ed è necessario indagare ancora sulla fantomatica pista internazionale.

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Ha scritto Meloni nell’anniversario del 2 agosto: “La strage alla stazione di Bologna rappresenta una ferita aperta per tutta la Nazione. Gli 85 morti e gli oltre 200 feriti meritano giustizia. Per questo continueremo a chiederla, insieme alla verità”.

Quale verità? Quella storica la conosciamo tutti: impedire al Pci di andare al governo. Quella giudiziaria ha stabilito in via definitiva che fu una strage fascista. E ora, in primo grado, chi erano i mandanti: Gelli, la P2, la finanza occulta, i Servizi deviati. Dunque, quale verità cerca la Meloni? 

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