La destra accetta la 'supremazia' di Giorgia Meloni ma è quasi rissa sulla spartizione dei collegi
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La destra accetta la 'supremazia' di Giorgia Meloni ma è quasi rissa sulla spartizione dei collegi

Secondo l'intesa raggiunta tra i tre partiti maggiori e i centristi sarà chi prenderà più voti la squadra a indicare il presidente del Consiglio, in caso di vittoria del centrodestra.

La destra accetta la 'supremazia' di Giorgia Meloni ma è quasi rissa sulla spartizione dei collegi
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27 Luglio 2022 - 22.28


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Sono favoriti ma si odiano. Ora Fdi, Lega e Forza Italia si ritrovano e si ricompattano. La chiamata alle urne anticipate al 25 settembre e i sondaggi, che danno la coalizione in vantaggio verso la vittoria, non permettono passi falsi. E da separati in casa, fino ad oggi, conviene proiettarsi a testa bassa verso le politiche del 25 settembre.

È questo l’ordine di scuderia che guida Matteo Salvini, Giorgia Meloni e Silvio Berlusconi che si ritrovano nella sede istituzionale della Camera, una novità nella liturgia dei vertici di centrodestra, che si sono sempre svolti nell’abitazione milanese del Cav. Il cambio di location era stato chiesto con decisione da Meloni, e non è l’unico punto messo a segno dalla presidente di Fdi. Sciolto infatti il nodo della premiership. Secondo l’intesa raggiunta tra i tre partiti maggiori e i centristi sarà chi prenderà più voti la squadra a indicare il presidente del Consiglio, in caso di vittoria del centrodestra.

Meloni dunque convince l’uomo di Arcore, che avrebbe invece preferito congelare l’accordo e riparlarne, magari davanti a un’assemblea dei nuovi eletti dopo le elezioni. Un’ipotesi che aveva fatto sentire puzza di bruciato in casa Fdi. I rumors sulla contrarietà del Ppe a Meloni premier e l’endorsement ad Antonio Tajani, avevano reso necessario l’ultimatum dei giorni scorsi di Meloni agli alleati: «Nessuna alleanza se non c’è accordo sul premier».

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Si riparte dal 2018, insomma, con i partiti che correranno da soli con liste proprie, indicando ognuno il capo politico. Due `nodi´ semplici da sciogliere se paragonati allo scoglio dell’assegnazione dei collegi, su cui la discussione va avanti per ore. Salvini abbandona il vertice – per un impegno personale – e lascia Roberto Calderoli e Giancarlo Giorgetti a trattare. Anche l’ex premier intorno alle 21 si congeda, mano nella mano con Marta Fascina, lasciando a bocca asciutta i cronisti. «Com’è giusto che sia decidono gli italiani, chi prende un voto in più indica chi governerà l’Italia nei prossimi cinque anni. La squadra del centrodestra è compatta», commenta Salvini ai microfoni del Tg5. E il vertice prosegue.

Al tavolo resta Tajani, con Meloni, spalleggiata da La Russa, che rivendica il 50 per cento degli uninominali attribuiti in base agli ultimi sondaggi. Contrari Fi e Lega che invece vorrebbero fare una media con le ultime elezioni, le Europee quando il Carroccio valeva più del 30%. Altro tema quello dei collegi per i partiti satellite. Oggi al tavolo erano presenti, Maurizio Lupi (NcI) , Lorenzo Cesa (Udc) e Luigi Brugnaro (Coraggio Italia). Assente Giovanni Toti, che venerdì dopo la direzione di Italia al centro ufficializzerà il suo posizionamento. Per ora l’offerta è quella che sia Fdi a prendersi carico delle quote dei centristi, ma anche questo dipenderà dall’accordo che si raggiungerà sulla spartizione degli uninominali.

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