Il Mattarella bis e i rischi di chi vuole cambiare la Costituzione in direzione oligarchica
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Il Mattarella bis e i rischi di chi vuole cambiare la Costituzione in direzione oligarchica

Dovremmo scorgere il volto sfingeo d’un potere che da anni, picconata dopo picconata, sta demolendo quel che resta dello stato sociale e il sontuoso edificio della democrazia repubblicana

Il Mattarella bis e i rischi di chi vuole cambiare la Costituzione in direzione oligarchica
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Giuseppe Costigliola Modifica articolo

30 Gennaio 2022 - 17.41


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Nella loro apparente differenziazione, le analisi sulla rielezione di Mattarella non si discostano da solchi interpretativi tracciati da decenni, pedissequamente seguiti dagli agguerritissimi “quirinalisti” e politologi vari: l’elezione del Presidente della Repubblica è il frutto di un confronto-scontro tra le varie forze politiche presenti in Parlamento, che sono espressione del volere popolare. In questo breve articolo si tenterà una lettura diversa, basata sulle analisi di un illuminante pamphlet recentemente uscito, La democrazia dei signori, a firma di Luciano Canfora (Laterza, pp.74, € 12).

Il noto storico e intellettuale barese ha infatti lanciato un ennesimo, inascoltato grido di allarme sullo stato della nostra democrazia. Innanzitutto, sussisterebbe oggi una cultura politica che si autodefinisce “democratica”, ma che tale non è. Si esprime con funambolismi lessicali che mascherano un “disappunto” e un “sussiegoso disdegno” del “popolo”, e mostra “fastidio” e “repugnanza” verso il fondamentale dettame costituzionale: “la democrazia appartiene al popolo”. 

Da ciò anche discenderebbe l’“anomalia italiana”: da oltre trent’anni il nostro Paese “vede attuarsi periodicamente soluzioni ‘irregolari’ delle crisi politiche. Ciampi, Monti, Draghi”.

 Da tempo, infatti, i presidenti della Repubblica “si regolano come se fosse in vigore da noi la Costituzione della Quinta Repubblica francese, o forse pensano che sia tornato lo Statuto Albertino: convocano ‘qualcuno’ che metta le cose a posto”. Con Draghi, poi, si è passato il segno: nessuno mai prima di lui era assurto a capo dell’Esecutivo senza essere parlamentare, o almeno al vertice di un’Istituzione della Repubblica.

Quest’anomalia, per il professor Canfora ha una ragion d’essere: “Sia nel 2011 che nel 2021 si è capito che l’ingranaggio su cui far leva per cambiare il governo dell’Italia era la Presidenza della Repubblica”. Dunque, coloro che hanno messo in moto queste operazioni hanno ben studiato gli spazi di manovra offerti dal nostro ordinamento, “pervenendo alla conclusione che una interpretazione estensiva dei poteri e del ruolo del presidente consentiva di procedere al ‘cambio’ e alla nascita di governi ‘consentanei’”. E questo ruolo l’ex presidente Napolitano lo ha interpretato alla perfezione.

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Siamo dunque davanti ad una vera e propria “deriva” democratica, che ha luogo nella barbara acquiescenza da parte della stampa, il cui conformismo di tale deriva è stato “un fattore coadiuvante”. Quando uno studioso equilibrato e moderato come Domenico Cella, presidente dell’Istituto De Gasperi, all’indomani della nascita dell’esecutivo Draghi fece notare che un “governo del presidente” esorbita dal dettato, oltre che dal senso, del nostro ordinamento costituzionale, nessun grande quotidiano diede adeguato spazio a quel monito, oltretutto ben documentato.

Insomma, secondo l’analisi di Canfora il governo Mattarella-Draghi ha costituito “un tornante nella storia politica”, in vista di “mutazioni non irrilevanti” nella nostra Costituzione materiale. Per scrutarne i possibili sviluppi – che alla luce della rielezione di Mattarella assumono forme sempre più concrete – Canfora analizza con l’usuale acume filologico il discorso con cui Draghi si presentò alle Camere il 17 febbraio 2021, all’epoca salutato dal miope coro laudativo dei media che ha poi caratterizzato tutto il suo operato. Con un discorso “ben calibrato” e “discretamente allarmante” il Premier annunciò: “Ci impegniamo a informare i cittadini con sufficiente anticipo […] di ogni cambiamento delle regole”. Poi, citando Cavour, parlò di riforme, che, “compiute a tempo debito, invece di indebolire l’autorità la rafforzano”. Il tutto, proseguì Draghi, seguendo “l’alta indicazione del capo dello Stato”.

Già, ma quali riforme? L’“autorità” di chi? Del governo? A scapito di chi? Del Parlamento? Certo è che in quest’anno si è assistito ad un “commissariamento dei partiti” che sostengono l’esecutivo, dunque ad una sconfitta della politica concertante. Pericolosa traiettoria confermata dal sommo sprezzo con cui Draghi ha trattato i sindacati e il confronto con le parti sociali. Ma l’universalmente magnificato Presidente del Consiglio aggiunse qualcos’altro: che l’UE “approderà a un bilancio pubblico comune capace di sostenere i paesi componenti nei periodi di recessione”. Un deciso passo, chiosa Canfora, verso l’accettazione degli Eurobond, perché sul nostro paese “si sta giocando una partita di rilevanza internazionale”. A tal punto che, si potrebbe aggiungere, i poteri che determinano le cariche nel nostro Paese sono con probabilmente sovranazionali, con buona pace dei partiti che fingono d’agitarsi su programmi contrapposti che in realtà non hanno.

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Su questo tema, l’approdo cui giunge l’analisi di Canfora è adamantino: “Forse siamo ‘en marche’ verso una forma originale di partito unico, internamente articolato ed esternamente suddiviso in singole formazioni. Come un dipartimento universitario articolato in ‘sezioni’”. La locuzione “partito unico” suscita brividi storici, ma la forma di questa sorta di “Superpartito” sarebbe diversa da quella del PNF di ventennale memoria, in quanto sarebbe “risultante dalla riduzione delle formazioni politiche, malconce e impegnate in esercitazioni verbali, al ruolo di comparse”. Ancorché necessarie, poiché “nessun film funziona senza comparse”. Non c’è alcun bisogno di “sospendere” i partiti, “basta vanificarne l’effettiva possibilità d’intervento”.

Un tale inquietante quadro istituzionale è stato ben preparato per tempo “dal coro giornalistico salmodiante sul ‘fallimento della politica’ che aveva fatto da basso continuo al momento dell’instaurazione del ‘governo del presidente’”, con un comodo e strategico qualunquismo antipartitico. Il tutto in assoluto spregio del dettato costituzionale, che conferisce ai partiti il compito di “contribuire con metodo democratico a determinare la politica nazionale” (art.49). I cittadini, dunque, che si associano liberamente in partiti, determinano la politica nazionale. Accade più tutto ciò?, c’è da chiedersi. Chi è, in questa subdola e perniciosa Costituzione materiale che si è sostituita a quella formale, che determina la politica nazionale? Quali forze e quali poteri si vogliono sbarazzare della nostra Costituzione, non limitandosi a forzarla in direzioni elitistiche e oligarchiche, ma brigando per confezionarne una nuova che statuisca i “governi del presidente” presente e futuri? D’altra parte, il danno, probabilmente irreversibile, è stato fatto: sul piano istituzionale il trapasso è ormai consolidato. “Il potere legislativo è stato trasferito dal Parlamento al governo. La Costituzione non ha più valore su questo cruciale terreno, come del resto su altri piani”, conclude tristemente Canfora.

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Seguendo gli ammonimenti presenti nel libro che abbiamo scelto come strumento interpretativo per analizzare la rielezione di Mattarella, e quelli dei pochi intellettuali che ancora hanno la forza e il coraggio di staccarsi dal nauseante coro d’una stampa volontariamente ed entusiasticamente asservita, potremmo allora forse intuire cosa si cela dietro l’elezione del capo dello Stato: la continuità di un progetto di riassetto istituzionale in senso fintamente democratico. Dietro la polvere artatamente sollevata dal ridicolo teatrino cui abbiamo assistito, l’iperbolica girandola di nomi e di figure, non dovremmo scorgere l’espressione ilare e soddisfatta di questo o quel capo di partito, di “tessitori silenziosi” e di illuminati grandi elettori, ma il volto sfingeo d’un potere che da anni, picconata dopo picconata, sta demolendo quel che resta dello stato sociale e il sontuoso edificio della democrazia repubblicana nata dal sangue della lotta antifascista. P2 docet.

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