La Bestia di Renzi: software israeliani e account fake per influenzare l'elettorato
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La Bestia di Renzi: software israeliani e account fake per influenzare l'elettorato

Il Fatto Quotidiano ricostruisce l'utilizzo di una complessa macchina social utilizzata dal Giglio magico di Matteo Renzi sfruttando due potenti software di una società israeliana

Matteo Renzi
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10 Novembre 2021 - 13.36


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L’inchiesta sulla Fondazione Open imbarazza nuovamente Matteo Renzi, e stavolta con una notizia non da poco: un lungo articolo de Il Fatto Quotidiano, che aveva qualche giorno fa anche pubblicato l’estratto conto del Senatore di Italia Viva e sembra impegnato in una campagna personale contro Renzi, spiega che nel 2016, a pochi mesi dal Referendum Costituzionale di cui Renzi, all’epoca ancora nel Pd, era il principale promotore, ci sarebbe stato un ok da parte di Renzi al consulente Fabio Pammolli, docente universitario, per cominciare una campagna di pressing sui social attraverso una rete che ricorda sotto molti punti di vista la ‘Bestia’ di Matteo Salvini e Luca Morisi, da Renzi tante volte attaccata. 
Secondo la ricostruzione del Fatto, Renzi avrebbe mandato una mail a Pammolli con scritto “Non perdete tempo e partite. Altro che privacy. I nomi li sappiamo. Dai!”, in riferimento ai timori di Pammolli riguardo, appunto, la privacy delle persone che potrebbero essere infastidite dalle continue richieste e suggerimenti di amicizia sui social. 
Alla ‘Bestia’ renziana lavorano, oltre Pammolli, anche Marco Carrai, Giampaolo Moscati, Simona Ercolani, Fabrizio Rondolino e Andrea Stroppa. Il gruppo, riporta il Fatto, utilizza software molto costosi come Tracx e Voyager Analytics, appartenenti alla società israeliana Bionic Ltd per monitorare i social, determinare chi sono gli utenti chiave da sfruttare per portare avanti certi argomenti e individuare gli account fake. 
A causa del costo elevato di questi software, 260mila dollari per Voyager e 60mila euro peer Tracx, persino Alberto Bianchi, presidente della Fondazione Open, esprime perplessità. I soldi infatti arrivano quasi tutti dalla Fondazione e gli inquirenti vorrebbero dimostrare che Open fosse un’articolazione del partito. 
Secondo le testimonianze riportate dal Fatto, al gruppo social lavorano, oltre i già citati, anche una ventina di ragazzi che avevano il compito di contenere i commenti e le reazioni negative al referendum, mediante l’utilizzo di account fake che invece esprimessero opinioni positive. 
Secondo la ricostruzione, nel 2017 erano almeno 128 gli account finti tra Facebook e Twitter, oggi quasi tutti disattivati. Il loro compito era postare contenuti contro i cinque stelle e pro Renzi. 
Marco Carrai, con Renzi indagato nell’inchiesta sulla Fondazione Open, è un personaggiuo centrale in questa storia: sarebbe stato lui ad avvertire Renzi, nel 2016, dei due software israeliani, definiti ‘fenomenali’ per la loro capacità di mappare le persone sul web, capire cosa pensano e da cosa vengono influenzate.
La fase 2 di questa operazione inizia dopo la sconfitta del Referendum, improntata in chiave antigrillina: analizzando le mail sequestrate proprio a Carrai, la Guardia di Finanza ha documentato che l’attività social della Bestia renziana è proseguita con gli “stessi attori” e uno schema organizzativo ben definito, sia durante la campagna per le Primarie del Pd del 2017 e fino alle elezioni Politiche 2018. 

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