La Consulta sull'ergastolo ostativo: "No alla collaborazione come unico strumento di liberazione per i mafiosi"
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La Consulta sull'ergastolo ostativo: "No alla collaborazione come unico strumento di liberazione per i mafiosi"

L'ordinanza firmata da Zanon: "La collaborazione con la giustizia non necessariamente è sintomo di credibile ravvedimento"

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11 Maggio 2021 - 12.56


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L’attuale disciplina che impedisce ai mafiosi condannati all’ergastolo ostativo di accedere alla liberazione condizionale se non collaborano prefigura una sorta di “scambio” tra informazioni utili a fini investigativi e conseguente possibilità di accedere ai benefici penitenziari.
E pone il condannato in casi limite di fronte”‘a una scelta tragica”: tra la propria (eventuale) libertà, che può tuttavia comportare rischi per la sicurezza dei propri cari, e la rinuncia a essa, per preservarli da pericoli”.

La Consulta – con l’ordinanza firmata dal giudice Nicolò Zanon – formalizza la sua richiesta al Parlamento di cambiare le attuali regole nei prossimi 12 mesi sull’orgastolo ostativo.
E cioè di eliminare la collaborazione quale unico strumento per i detenuti mafiosi di accedere alla liberazione condizionale e lasciare alla discrezionalità legislativa del Parlamento decidere quali ulteriori scelte possono accompagnare questa eliminazione.

La collaborazione con la giustizia, si legge nel comunicato della corte, “certamente mantiene il proprio positivo valore, riconosciuto dalla legislazione premiale vigente e non è irragionevole presumere che l’ergastolano non collaborante mantenga vivi i legami con l’organizzazione criminale di appartenenza”.
Tuttavia, l’incompatibilità con la Costituzione si manifesta nel carattere assoluto di questa presunzione poiché, allo stato, “la collaborazione con la giustizia è l’unica strada a disposizione dell’ergastolano ostativo per accedere al procedimento che potrebbe portarlo alla liberazione condizionale”, per la stessa Corte, “una scelta tragica”.
“La collaborazione con la giustizia non necessariamente è sintomo di credibile ravvedimento, così come il suo contrario non può assurgere a insuperabile indice legale di mancato ravvedimento: la condotta di collaborazione ben può essere frutto di mere valutazioni utilitaristiche in vista dei vantaggi che la legge vi connette, e non anche segno di effettiva risocializzazione, così come, di converso, la scelta di non collaborare può esser determinata da ragioni che nulla hanno a che vedere con il mantenimento di legami con associazioni criminali”. Questo è quanto si legge nella motivazione dell’ordinanza n.97, redatta da Nicolò Zanon e depositata oggi. 

Un intervento meramente “demolitorio” della Corte, infatti, “potrebbe produrre effetti disarmonici sul complessivo equilibrio di tale disciplina, compromettendo le esigenze di prevenzione generale e di sicurezza collettiva che essa persegue per contrastare il fenomeno della criminalità mafiosa”. Appartiene invece alla discrezionalità legislativa decidere quali ulteriori scelte possono accompagnare l’eliminazione della collaborazione quale unico strumento per accedere alla liberazione condizionale. Fra queste scelte, spiega la corte, “potrebbe, ad esempio, annoverarsi la emersione delle specifiche ragioni della mancata collaborazione, ovvero l’introduzione di prescrizioni peculiari che governino il periodo di libertà vigilata del soggetto in questione”. 
Perciò la Corte ha ritenuto necessario rinviare il giudizio e fissare una nuova discussione alla data del 10 maggio 2022, così da garantire al legislatore il tempo necessario per affrontare la materia. 

Le norme censurate dalla Cassazione e portate all’esame della Consulta stabiliscono che i condannati all’ergastolo per reati di contesto mafioso, se non collaborano utilmente con la giustizia non possono essere ammessi al beneficio della cd, liberazione condizionale, che consiste in un periodo di libertà vigilata, a conclusione del quale, solo in caso di comportamento corretto, consegue l’estinzione della pena e la definitiva restituzione alla libertà.  
Possono invece accedere a tale beneficio, dopo aver scontato almeno 26 anni di carcere, tutti gli altri condannati alla pena perpetua, compresi quelli per delitti connessi all’attività di associazioni mafiose, i quali abbiano collaborato utilmente con la giustizia.   

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