I negazionisti li abbiamo visti all'opera nell'Olocausto e nei genocidi: ora basta
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I negazionisti li abbiamo visti all'opera nell'Olocausto e nei genocidi: ora basta

La pericolosità è dovuta all’ignoranza e all'analfabetismo funzionale (l’incapacità di comprendere le informazioni disponibili nelle società complesse) in cui versa gran parte della popolazione mondiale

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Giuseppe Costigliola Modifica articolo

6 Settembre 2020 - 10.50


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Vedere le immagini di migliaia di persone riunite in piazza per manifestare contro l’esistenza del virus che nel mondo ha ucciso quasi un milione di persone è una cosa che fa raggricciare. Fa raggricciare il cuore, al pensiero dei tanti che hanno perso un amato a causa del Covid-19: il dolore e il lutto che si portano dentro viene come sfregiato dalle facce idiote e dalle grida imbelli di quegli sciagurati sciamanti nelle strade assolate della capitale. Fa raggricciare il cervello, al pensiero della pericolosità di questa gente. Pericolosità duplice, poiché da un lato simili eventi seminano veleno e confusione in un momento di grande, generale fragilità, strizzando l’occhio ai più deboli d’intelletto e di sentimenti, e così dilaniando ancor più un corpo sociale che mai come ora avrebbe bisogno di unità d’intenti e di coesione per superare la tragedia che l’ha colpito. Pericolosità materiale, poiché questi insensati si riuniscono in gregge violando le più ovvie norme anticontagio, mettendo in pericolo non solo essi stessi, ma diventando schegge impazzite di contagio. Infine, lo spettacolo indecoroso di ieri, andato in scena nelle piazze di mezzo mondo, fa raggricciare l’anima, al pensiero che la specie umana cui apparteniamo sia così ricca di scervellati.
Costoro esistono solo in negativo. Negano per amor di negazione, trovano la propria identità per sottrazione (io “sono” in quanto diverso da te), caratteristica tipica dei poveri di spirito e d’intelletto, dei violenti dei razzisti e degli xenofobi – in una parola, degli stolti e degli incivili. Chi si limita a negare, a scagliarsi con asinina convinzione contro un’idea, contro un fatto, contro una realtà accertata, sempre e comunque, non è in grado di sostenere un dialogo, di intrattenere un rapporto umano con l’altro da sé. Chi nega ostinatamente, pervicacemente, ossessivamente senza mai essere sfiorato dal dubbio, senza mai fermarsi un attimo a chiedersi le vere ragioni del proprio monolitico negare, è un individuo socialmente pericoloso, che rafforza il suo negare aggreggiandosi con individui a sé consimili, cementando la propria non-credenza coi riverberi della negazione altrui. Ecco dunque che la scienza, di per sé, va negata. Che la storia va negata. Che l’esperienza e il comune buon senso vanno negati.
Un tale individuo è un incivile, e in quanto tale è un fardello per un consesso sociale, un nemico del vivere insieme, cioè, appunto, della civiltà, che si fonda su regole da rispettare, diritti da assicurare.
Questo del negazionismo, corrente pseudostorica e pseudoscientifica del revisionismo, è un fenomeno relativamente recente, quanto mai pernicioso. Lo abbiamo visto all’opera, con conseguenze disastrose, nel caso dell’Olocausto, dei tanti genocidi che hanno sfregiato la storia umana, nel caso dell’HIV e in numerosi altri. La pericolosità di un tale fenomeno è dovuta all’ignoranza e al cosiddetto analfabetismo funzionale (l’incapacità di comprendere, valutare e usare le informazioni disponibili nelle attuali società complesse) in cui versa gran parte della popolazione mondiale, ma anche a precise tattiche retoriche che gli assicurano una penetrazione e una diffusione subdola e capillare. Per i negazionisti (o revisionisti, come alcuni preferiscono essere appellati, cercando appoggio nella storiografia: i distinguo portati ieri dai manifestanti farebbero sorridere se la situazione non fosse così grave) le verità condivise, storicamente accertate, sono inaccettabili. Essi propugnano idee radicali in controtendenza con le prove schiaccianti confermate dalla scienza o, se per questo, dalla normale esperienza fatta da ciascuno di noi. A questo fine distorcono la realtà, affermano mezze verità, falsificano il discorso dei loro avversari, mutano idee e modi di pensare a loro comodo. Fanno spesso leva sull’inevitabile indeterminatezza di cifre e statistiche, poiché gli studi scientifici in numerose aree di ricerca si basano sull’analisi probabilistica di insiemi di dati (per soffermarci sulla scienza). Si basano su teorie del complotto, che li porta ad ignorare i dati o l’osservazione suggerendo che gli oppositori sono coinvolti in “una cospirazione mirata a sopprimere la verità”. A sostegno della propria idea e per rendere meno credibili le ricerche effettuate dagli oppositori sbandierano documenti obsoleti e screditati (il cosiddetto cherry picking). Per fornire credibilità a sostegno delle loro tesi si rivolgono a falsi esperti, screditando ricercatori seri e onesti. A sostegno delle loro affermazioni ignorano le prove presentate dai loro avversari, o, ritenendole insoddisfacenti, chiedono sempre nuove prove (il cosiddetto moving the goalposts: letteralmente “spostare i pali della porta”). Le loro argomentazioni sono piene di errori logici, basati su false analogie, su documenti falsi o contraffatti, spacciati per autentici, o costruite su opinioni altrui estrapolate dal loro contesto storico. Altre tecniche includono la manipolazione di dati statistici, l’uso di deliberate traduzioni errate di testi scritti in altre lingue, l’uso di sofismi per ottenere i risultati desiderati.
Queste ed altre tecniche sono utilizzate al fine dell’inganno, della negazione, della propaganda. Si noterà che sono le medesime tattiche impiegate da certa politica degenere e degenerata, in cerca del consenso ad ogni costo: quella incarnata da un Trump e da un Bolsonaro, o, per rimanere nel nostro pollaio, da un Salvini e da una Meloni.
Dunque il discorso è quanto mai ampio, diffusa la sua pericolosità: il brodo di coltura in cui hanno luogo queste tattiche è straordinariamente fecondo, e si presta agli scopi di chi, per calcolo e per furbizia, vuole sfruttarlo per i propri fini. Con i risultati che conosciamo: la distruzione del corpo sociale, dell’idea stessa di comunità, di democrazia.
Uscire da questo vicolo cieco, disinnescare questa bomba ad orologeria che rischia di distruggere i consessi umani e riportarli allo stato tribale delle origini della specie umana, è la grande sfida che aspetta l’umanità. E non bisogna essere dei geni o degli studiosi sopraffini per capire che il primo mattone su cui fondare le società del futuro è la distruzione sistematica dell’ignoranza, la costruzione di un sapere di base (anche scientifico!) comune e condiviso da tutti: dal povero, dall’emarginato, dal diverso, dal sottoproletario, dal borghese, dal ricco. Altrimenti, il Covid non sarà certo il peggiore dei mali.

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