Nilde Iotti, la ragazza comunista che contribuì a scrivere la Costituzione
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Nilde Iotti, la ragazza comunista che contribuì a scrivere la Costituzione

Fu una delle ventuno donne che parteciparono alla Costituente: il 20 giugno 1979 fu eletta presidente della Camera

Nilde Iotti
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10 Aprile 2020 - 09.31


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Nilde Iotti è stata una figura di primo piano dell’Italia repubblicana, una donna che ha assunto, nella sua biografia, molti primati nella politica e nelle Istituzioni del Paese. E’ stata una delle ventuno donne che hanno preso parte alla Costituente.

La vogliamo ricordare così, oggi che il principio di uguaglianza è spesso messo in discussione, pensiamo agli immigrati e ai giovani precari che vivono situazioni lavorative degradanti, oggi che le donne continuano a faticare per una parità che in troppe famiglie non è mai arrivata e dove si continua a morire. 

«Il principio di eguaglianza – spiegò in una intervista- a me sta particolarmente a cuore […] E’ la sanzione solenne, costituzionale dell’ingresso delle donne nella vita politica. Avevano votato per l’Assemblea Costituente. La Costituzione con quell’articolo afferma il loro essere cittadine alla pari con tutti gli altri cittadini. Per me è un punto che fa della Costituzione italiana ancora adesso una Costituzione moderna».

La biografia. Nilde Iotti nasce a Reggio Emilia il 10 aprile 1920. Nonostante le difficoltà economiche conseguenti al licenziamento per motivi politici del padre, frequenta una scuola privata cattolica e grazie ad una borsa di studio si iscrive alla facoltà di lettere e filosofia dell’università cattolica del Sacro Cuore di Milano, dove si laurea il 31 ottobre del 1942. Si avvia alla carriera dell’insegnamento presso istituti tecnici di Reggio Emilia, dove insegna fino al 1946.
Durante la Resistenza collabora attivamente all’organizzazione dei Gruppi di difesa della donna, aperti alle donne di ogni convinzione politica e religiosa, che si segnalano per l’attività di sostegno ai Comitati di liberazione periferici, alle agitazioni nelle fabbriche per il sabotaggio della produzione di guerra e per l’assistenza alle famiglie dei deportati, dei carcerati e dei caduti. Nell’autunno del 1945 diventa segretario provinciale dell’Unione donne in Italia (Udi).
Grazie alla capacità organizzativa e all’impegno dimostrati nei Gruppi di difesa della donna prima e nella conduzione dell’Udi poi, Nilde Iotti guadagna apprezzamento e consensi a livello locale, tanto da essere eletta, nella primavera del 1946, al consiglio comunale di Reggio Emilia, come indipendente nelle liste del Partito comunista italiano (PCI). Successivamente si iscrive al PCI e il 2 giugno 1946 è eletta deputato all’Assemblea costituente.
Entra a far parte della Commissione per la Costituzione e partecipa ai lavori della prima delle tre sottocommissioni, incaricata della stesura della parte relativa ai diritti e ai doveri dei cittadini. Nominata relatrice sul tema della famiglia insieme all’esponente democristiano Camillo Corsanego, sostiene, pur affermando il valore della famiglia, la necessità di emancipare la donna dalla condizione di arretratezza e di inferiorità in cui versa in tutti i campi della vita sociale e di garantirle una posizione giuridica che le riconosca la piena dignità di cittadina. Nell’ambito dei lavori della I Sottocommissione si batte, quindi, per l’affermazione del principio della parità tra i coniugi, del riconoscimento dei diritti dei figli nati fuori dal matrimonio e delle famiglie di fatto. Si dichiara, inoltre, nettamente contraria all’introduzione del principio dell’indissolubilità del matrimonio nel testo costituzionale.
L’esperienza dei lavori della Costituente rappresenta una tappa decisiva nel suo percorso politico e parlamentare, in termini di aderenza a valori, principi e indirizzi istituzionali ai quali farà costante riferimento nel concreto svolgimento del mandato parlamentare alla Camera dei deputati, di cui sarà membro ininterrottamente dalla I alla XIII legislatura.
I lavori dell’Assemblea costituente, in particolare nella I Sottocommissione, la avvicinano al segretario del PCI Palmiro Togliatti, al fianco del quale resterà fino alla morte del leader comunista, avvenuta nel 1964.
Nel 1956, in occasione dell’VIII congresso del partito, entra a far parte del comitato centrale del PCI e nel 1962 della direzione nazionale.
Nel 1963, rieletta deputata, è membro della Commissione affari costituzionali e torna ad occuparsi del problema della collocazione delle donne nel mondo del lavoro e delle tematiche relative alla famiglia.
A partire dalla V legislatura assume un ruolo di punta nei dibattiti sulle riforme civili; si impegna a fondo nella battaglia in favore dell’introduzione del divorzio nell’ordinamento giuridico italiano e nella successiva battaglia referendaria per il mantenimento della legge.
Nel 1969, quando per la prima volta i parlamentari comunisti entrano a far parte della delegazione italiana al Parlamento europeo, Nilde Iotti è tra questi. La priorità assoluta sulla quale si impegna è l’elezione a suffragio universale diretto del Parlamento europeo, per la ferma convinzione che il peso politico derivante dall’investitura popolare rappresenti l’indispensabile premessa per l’estensione dei poteri del Parlamento, posizione fatta proprio dal suo partito. Nilde Iotti esercita il mandato parlamentare europeo dal 1969 al 1979, fino a quando, cioè, i cittadini europei eleggeranno direttamente i propri rappresentanti.
Nella VI legislatura è eletta Vicepresidente della Camera dei deputati ed è tra i protagonisti della riforma del diritto di famiglia, il cui iter parlamentare si concluderà nel 1975.
Le contrapposizioni tra comunisti e democristiani cedono il passo alla stagione della cosiddetta politica di solidarietà nazionale, nella quale si registra l’affermazione del PCI nelle elezioni politiche del 1976. In questo clima matura nella VII legislatura l’elezione alla Presidenza della Camera dell’esponente comunista Pietro Ingrao e l’elezione di Nilde Iotti alla presidenza della Commissione affari costituzionali di Montecitorio.
Nel 1979 all’apertura dell’VIII legislatura, pur essendo entrata in crisi la politica di solidarietà nazionale, si ritiene comunque opportuno affidare nuovamente al maggior partito di opposizione la presidenza di uno dei due rami del Parlamento. La scelta ricade su Nilde Iotti, che il 20 giugno 1979 sarà la prima donna a ricoprire la carica di Presidente della Camera dei deputati. Confermata nel 1983 e nel 1987, dirigerà l’Assemblea di Montecitorio per tredici anni consecutivi, esercitando il mandato più lungo della storia repubblicana.
La sua Presidenza è chiamata ad affrontare una legislatura difficile, travagliata dalla grave minaccia del terrorismo e della criminalità, che in quegli anni colpisce in maniera incalzante servitori dello Stato e semplici cittadini.
Sostiene la necessità di avviare una stagione di riforme, che includono alcune parti del Regolamento della Camera, per dare concretezza all’idea del Parlamento come luogo di confronto e di centro della vita politica e istituzionale. Nel 1981 porta a compimento modificazioni al Regolamento della Camera, concordate tra i maggiori gruppi politici, assumendo la decisione di attribuire alla Giunta del regolamento il potere di presentare in Aula le proposte di emendamento presentate dai deputati per punti riassuntivi, stroncando in tal modo la possibilità di ostruzionismo attraverso l’illustrazione delle singole proposte emendative.
È rieletta Presidente della Camera il 12 luglio 1983; l’Assemblea approva nell’autunno dello stesso anno, un’ulteriore innovazione al Regolamento: l’introduzione della cosiddetta sessione di bilancio, che prevede il contingentamento dei tempi per i gruppi parlamentari. Nel corso della IX legislatura torna a più riprese il tema delle riforme istituzionali; nonostante il lavoro della Commissione parlamentare presieduta da Aldo Bozzi, non si avvia però concretamente quel cammino di riforme tanto auspicato da Nilde Iotti.
Nella primavera del 1987, a seguito della crisi del II Governo Craxi, la complessità del quadro politico induce il Presidente della Repubblica Cossiga ad affidare a Nilde Iotti un mandato esplorativo, per verificare la possibilità di formare una nuova maggioranza e di evitare le elezioni anticipate.
L’esito dei contatti del Presidente della Camera con le forze politiche sarà negativo e nonostante gli sforzi del Capo dello Stato per evitare le elezioni, il Paese è chiamato alle urne prima della scadenza naturale della legislatura. Il 2 luglio 1987, nella seduta inaugurale della X legislatura, Nilde Iotti è riconfermata per la terza volta nella carica di Presidente della Camera.
Sempre più convinta della necessità e dell’urgenza di avviare una fase di riforme istituzionali, in grado di dare stabilità al Paese, propone che si apra in Parlamento un dibattito. Nell’ottobre del 1988 viene intanto condotta in porto la modificazione regolamentare, sollecitata dal Governo, che limita ad un numero ristretto e ben individuato di casi l’applicazione del voto a scrutinio segreto nelle votazioni alla Camera. La modifica viene introdotta in un clima di forti tensioni tra maggioranza e opposizione, che richiede ancora una volta l’intervento del Presidente della Camera per stroncare i fenomeni ostruzionistici.
Nel 1992 lascia la Presidenza della Camera e ritorna tra i banchi dei deputati, ma è ben presto chiamata a presiedere la Commissione parlamentare per le riforme istituzionali, succedendo a Ciriaco De Mita. La Commissione conclude i propri lavori nel gennaio del 1994, approvando un disegno di riforme, il cui iter si blocca a causa dello scioglimento anticipato delle Camere.
Nella XII legislatura, Nilde Iotti torna a convogliare le proprie energie sulla difesa dei diritti delle donne e si impegna per l’approvazione della legge contro la violenza sessuale, che sarà approvata dopo un iter parlamentare piuttosto tormentato.
Nella XIII legislatura è Presidente della Delegazione parlamentare italiana all’Assemblea del Consiglio d’Europa, ma tre anni più tardi non riuscendo, per ragioni di salute, a far parte della Camera dei deputati in modo attivo, insiste affinché la Camera accetti le sue dimissioni. Il 18 novembre 1999 l’Assemblea, contrariamente alla prassi, approva al primo turno per alzata di mano le sue dimissioni.
Muore a Roma il 4 dicembre dello stesso anno

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