Il Parlamento ha solo busti e ritratti di uomini: ora basta!
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Il Parlamento ha solo busti e ritratti di uomini: ora basta!

La presidente della Camera Boldrini annuncia: dedicheremo una sala alle donne, la prima donna sindaca, la prima donna deputata, la prima donna ministra.

Le madri della Costituzione
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21 Aprile 2016 - 15.39


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“In questo Parlamento non c’è uno spazio dedicato al percorso femminile nelle istituzioni rappresentative. Ci sono busti e ritratti, tutti di uomini, ma non c’è la storia del percorso delle donne nelle istituzioni”. Parte da questa constatazione, Laura Boldrini, per annunciare che siccome “le donne che ci portarono al voto sono state purtroppo dimenticate, dico in anticipo che alla Camera faremo una sala dedicata alle donne: la prima donna sindaca, la prima donna deputata, la prima donna ministra”.

E quindi i busti per Ada Natali, prima donna sindaco di Massa Fermana (Fermo) dal 1946 al 1959), Nilde Iotti, prima deputata dal 1946 e presidente della Camera dal 1979 al 1992 e Tina Anselmi, ministra dal 29 luglio 1976 del Lavoro e della previdenza sociale nel governo Andreotti III.

“Lo faremo proprio in occasione del settantesimo anniversario del voto alle donne”, puntualizza la presidente della Camera nel suo indirizzo di saluto agli Stati generali al femminile dell’Anci ‘Come cambia il potere grazie alle donne’, per ricordare, nel 70esimo del voto alle donne, che “le donne allora fecero battaglie che oggi non sono riconosciute a sufficienza”.

“Vorrei tornare a quel 1946 che possiamo certamente considerare uno spartiacque, perché è da quella data in avanti – rileva ancora Boldrini – che le donne in Italia vengono finalmente riconosciute come soggetto politico. Ecco perché, a mio giudizio, la battaglia per la conquista del voto rappresenta la madre di tutte le battaglie, perché segna un punto di non ritorno nel cammino di emancipazione e liberazione delle italiane. Italiane che fino a quel momento, soprattutto nel corso del ventennio fascista, erano considerate prevalentemente mogli e madri”.

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“Molti indicatori ci dicono che il percorso delle donne per il loro pieno riconoscimento non è ancora terminato. Ma c’è qualche buona notizia, la presenza delle donne nei ruoli decisionali del Paese è sempre più tangibile. Voglio ricordarlo non a caso in questa sede, visto che quella attuale è la legislatura con il maggior numero di deputate: siamo il 30%, non era mai successo. E ciò ci consegna una responsabilità in più nel porre al centro del dibattito le questioni di genere. Non possiamo passare come delle comete, non possiamo non lasciare un segno”.

La presidente della Camera, Laura Boldrini, nel suo indirizzo di saluto agli Stati generali al femminile dell’Anci, nell’Auletta dei gruppi di Montecitorio, svolge una riflessione ad ampio raggio sul tema. Le donne “non devono mai rinunciare, ciascuna nel proprio campo, a rimuovere gli ostacoli incontrati sul percorso della loro carriera, facilitando il compito alle altre. Non dobbiamo essere contante di stare da sole, o in club di poche”, esorta. “è provato – aggiunge Boldrini – che se le donne stesse si impegnano a questo scopo si va avanti, altrimenti non si procede nel cammino dell’eguaglianza. Questa generosità è necessaria. Questo non significa che le donne non debbano essere sostenute. Sono assolutamente necessarie, ad esempio, politiche che incentivino l’occupazione femminile in un Paese come il nostro in cui lavora soltanto il 47% delle donne, contro una media del 60% tra gli Stati membri dell’Unione Europea. Dunque – avverte – noi siamo sotto di ben 13 punti, non è cosa da poco. Di certo è una situazione che il Paese non può più permettersi perché la mancanza di lavoro femminile, come dimostra un recente studio del Fondo monetario internazionale incide direttamente sul Pil. Per la precisione lo studio dell’Fmi parla di gravi discriminazioni contro le donne nel mondo del lavoro, discriminazioni che avvengono in ben 90 Paesi sui 160 presi in considerazione”.

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“In questo quadro – ha ripreso allora la presidente della Camera – la situazione dell’Italia è tutt’altro che incoraggiante: secondo l’Fmi se eliminassimo i gravi ostacoli al lavoro femminile attualmente esistenti il Pil crescerebbe di 15 punti percentuali. In altre parole abbiamo un 15% di Pil potenziale inespresso a causa delle discriminazioni contro le donne. Ma noi possiamo permetterci questo spreco? Non sono incoraggianti neanche i dati sull’imprenditoria femminile: soltanto il 21,6% delle imprese vanta una donna al vertice! A questo proposito, vorrei citare un’altra interessante ricerca del Fondo Monetario Internazionale con la quale si misura l’impatto femminile sulle performance delle aziende. Basata sull’analisi dei risultati finanziari di circa due milioni di aziende in tutta Europa, la ricerca fa emergere un nesso tra i risultati positivi delle singole imprese e la presenza di donne al vertice. In altre parole le aziende in cui sono di più le donne che occupano posizioni “senior” hanno una redditività più alta. Per la precisione, per ogni donna che entra nel board, cioè nel consiglio di amministrazione, il profitto della società cresce di 8-13 punti base”.

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“Dunque più donne ci sono ai vertici delle aziende più aumentano gli utili societari e in ultima analisi, più cresce l’economia. Dal mondo delle imprese a quello della politica e alla rappresentanza di genere. Sta cambiando o no la partecipazione femminile?” “Io – avverte – non sono una fan delle ‘quote rosà, perché penso che le donne abbiano tutti gli strumenti per competere senza nessun aiuto. Però guardiamo i numeri. Prendiamo ad esempio la legge elettorale del 2012, con la quale è stata introdotta la doppia preferenza di genere nelle elezioni dei consigli comunali. Gli effetti sono chiari, anche se ancora parziali perché non in tutti i comuni si è ancora votato con il nuovo sistema. Malgrado ciò, dal 2012 al 2015 la presenza femminile nei comuni è aumentata del 38,8%. Discorso a parte riguarda invece i sindaci, per la cui elezione non è possibile un intervento legislativo in termini di quote, essendo quella del sindaco un’elezione diretta. Ed infatti ancora oggi l’86% dei sindaci italiani sono uomini. Diversa la situazione dei Consigli regionali. La legge sulla parità di genere infatti è di quest’anno, dunque non ci sono ancora dati sulla sua applicazione. Tuttavia, già dalla scorsa tornata elettorale, quella del 2015, alcune Regioni avevano introdotto con legge regionale la doppia preferenza di genere. Ecco i risultati : su 917 consiglieri regionali, solo 155 sono donne, pari al 16,9%. Quindi meno di una su cinque. Non è un dato confortante, ma due anni fa la percentuale era ancora più bassa, pari al 13,9%”.

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