Fassina chi, perché Renzi ha ragione
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Fassina chi, perché Renzi ha ragione

L'ex viceministro non ha condiviso molto del governo di cui faceva parte e ha dato addosso a un segretario eletto con un sistema democratico come le primarie.

Fassina chi, perché Renzi ha ragione
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8 Gennaio 2014 - 09.51


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di Fabio Luppino

Stefano Fassina del governo di cui fa parte (faceva?) non ha condiviso molte cose. Aveva già minacciato le sue dimissioni qualche mese fa. A Fassina non piaceva la legge di Stabilità. Fassina era critico anche con il governo Monti, non ha condiviso le scelte pesanti di politica economica. Fassina ha sullo stomaco le larghe intese, ma non è stato sufficiente per farglielo dire in modo forte, diretto, dirompente, con coraggio. Ha scelto di stare intruppato, ma se non fai qualche gesto di rottura a 48 anni, ma quando lo fai…

Ed ecco che visibilità e sostanza l’ha cercate all’indirizzo sbagliato, iniziando a punzecchiare Renzi. Invitandolo a fare il rimpasto e a dir la verità, che tanto vuol far cadere il governo e andare alle elezioni. Così è arrivato il Fassina chi… Ecco, Fassina chi? Ottimi studi economici, ottima preparazione, dalla parte giusta al momento giusto. Fassina si è mostrato come l’ultimo epigono di una insana tradizione in voga da quando esiste il Partito democratico: segare l’albero su cui è seduto il segretario, tra l’altro eletto con le primarie, milioni di voti. Ne sono stati vittime tutti, da Veltroni a Bersani, in una interpretrazione contorta e assurda dell’investitura popolare, le primarie, scelte a torto o a ragione dal Pd per darsi un segretario e anche un candidato premier. Eletto, votato, consensi, milioni di voti. Fassina si è messo nella scia di una tradizione iniziata molto prima, ai tempi ai danni di Natta e poi Occhetto, ma all’epoca ragioni e contendenti avevano ben altro calibro. Quel malinteso modo di interpretare la democrazia, sempre dal punto di vista della minoranza, di modo che nel Pd, ormai da oltre cinque anni si mette in moto una dialettica stucchevole utile solo al principio e non al consenso. Fassina avrebbe dovuto rovesciare i tavolini quando 101 parlamentari pd hanno pugnalato alle spalle Pier Luigi Bersani, a cui auguriamo tutto il bene possibile. Non ci risulta l’abbia fatto.

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Ecco che, per una volta vivaddio, il segretario eletto ha rivendicato i diritti della maggioranza, che pure esistono. Fassina chi, se io sono stato eletto da milioni di persone e certo a Renzi non si può rimproverare la mancanza di chiarezza. E chi ha votato il poi eletto segretario sa che al governo non saranno fatti sconti continuando a parlare chiaro, che se dovessero prevalere le ragioni della palude e non quelle del partito di maggiornaza delle larghe-piccole-intese si fa la legge elettorale e si va al voto. Non ci sono intenzioni oscurate a chi ha votato Renzi che Fassina possa reinterpretare, stanandole: Fassina accusa Renzi di stare in campagna elettorale permanente. Renzi sta in campagna elettorale permanente, la situazione lo richiede e soprattutto lo ha detto. Poi si può discutere all’infinito su cosa sia la democrazia, come si articola. Lo si fa dall’antica Grecia, ha riproposto il problema Rousseau, fino ai giorni nostri. Minoranze e maggioranze. Il Pci aveva risolto la questione con il centralismo democratico, ma era ben chiaro cosa fosse la maggioranza, chiedetelo a Napolitano eternamente in minoranza. Poi sono nate le correnti organizzate. Poi, per stabilire vincenti e perdenti il Pd si è dato le primarie. La linea, caro Fassina. Avete scelto di darvela chiedendola a elettori e simpatizzanti, una legittimazione più potente, più forte, più netta, in cui spesso si confrontano due idee di partito. Discuta, allora, il principio, non i risultati. Se no, si prepari a vincere, ma accettando gli esiti. Bisogna saper perdere.

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