M5s dà atto a Globalist: hanno sollevato per primi il caso Ablyazov
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M5s dà atto a Globalist: hanno sollevato per primi il caso Ablyazov

Nella mozione di dimissioni del ministro Alfano i grillini citano il nostro giornale: il 5 giugno avevano già già pubblicato tutto quello che si sa oggi.

M5s dà atto a Globalist: hanno sollevato per primi il caso Ablyazov
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16 Luglio 2013 - 17.00


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Il gruppo del Movimento 5 Stelle alla Camera dei Deputati ha presentato oggi una mozione di sfiducia nei confronti del ministro dell’Interno Angelino Alfano per la vicenda Shalamayeva, in cui si cita un articolo di [i]Globalist intitolato [url”Lo strano caso Ablyazov e la zelante espulsione italiana”]http://www.globalist.it/Detail_News_Display?ID=45050[/url].[/i]

La Camera, premesso che: come ampiamente acclarato, nella notte tra il 29 e il 30 maggio 2013, una cinquantina di uomini delle forze di polizia facevano irruzione durante la notte in una villetta a Casal Palocco, alla ricerca, da quanto si è poi successivamente appreso, di Mukhtar Ablyazov, uomo d’affari, oppositore e rifugiato politico kazako in esilio a Londra dal 2009;

in sua assenza, prelevavano sua moglie e sua figlia di 6 anni e le conducevano presso il Centro di identificazione e espulsione di Ponte Galeria, sulla base della presunta circostanza dell’assenza di documenti legali di soggiorno, e dopo un giorno di permanenza nel Centro di identificazione e espulsione, sia la donna che la bambina sono state espulse dal territorio italiano e rimpatriate forzatamente sabato 1° giugno 2013 da Roma, dove risiedeva dal 2012, e imbarcate all’aeroporto di Ciampino su un aereo, appositamente noleggiato dal governo kazako, per essere riportata nel suo paese d’origine forzatamente;

in occasione del blitz a Casal Palocco è stata organizzata una sorta di ingente squadra speciale « interforze » di decine di agenti all’interno della Polizia di Roma, tra cui uomini della Squadra Mobile, dell’Ufficio stranieri e della Digos, cosa di cui non si comprende la ragione logistica e la strutturazione della catena di comando;

risulta, peraltro, che la donna sia stata pesantemente apostrofata durante la permanenza e che le sia stato vietato di mangiare e bere per 15 ore;

è riportata dalla stampa inglese una forte azione, a dir poco, intimidatoria nei confronti del cognato di Alma Shalabayeva nella villetta di Casal Palocco, azione caratterizzata da pugni e percosse soprattutto sul viso che gli hanno cagionato la rottura del setto nasale ed ecchimosi lacero contuse facciali di rilievo;

Alma Shalabayeva, pur non avendo commesso alcun reato, potrebbe essere ora esposta all’elevatissimo rischio di procedure inquirenti non garantiste, analoghe a quelle cui fu sottoposto il marito nel 2003, quando si opponeva al regime di Nursultan Nazarbayev;

il tribunale del riesame di Roma, in sede di convalida dell’arresto della signora Shalabayeva, rilevava che: «lascia perplessi la velocità con cui si è proceduto al rimpatrio in Kazakistan dell’indagata e della bambina, congiunti di un rifugiato politico in presenza di atti dai quali emergevano quanto meno seri dubbi sulla falsità del documento». Il Consiglio italiano per i rifugiati (Cir) ha inoltre reso noto che «esiste il rischio molto concreto che la signora Shalabayeva possa subire nel suo paese trattamenti disumani»;

sulla stampa italiana la notizia della stranezza delle vicende del blitz anomalo a Casal Palocco è apparsa per la prima volta a più di un mese fa, [url”esattamente sul Globalist il 5 giugno 2013″]http://www.globalist.it/Detail_News_Display?ID=45050[/url], senza che ciò abbia costituito apparenti motivi di preoccupazione per il Governo italiano;

in Kazakistan, infatti, è noto come vengano violati i diritti umani, cosa che emerge con chiarezza anche dall’ultimo rapporto di Amnesty International dove si evidenzia che le pratiche di tortura e le sevizie subite dagli oppositori kazaki sono regolarmente perpetuate nei confronti degli oppositori e dissidenti da parte delle forze di polizia e di sicurezza;

è riportata diffusamente dalla stampa italiana uno strettissimo rapporto di cordialissima collaborazione tra il capo di gabinetto Procaccini del Viminale e l’Ambasciata kazaka, laddove il rapporto con tutte le rappresentanze estere deve piuttosto essere improntato alla più rigorosa sobrietà e terzietà, soprattutto nei confronti di nazioni che non appaiono pienamente in regola con il rispetto minimale del diritti umani;

le operazioni di polizia sopra evidenziate non possono non necessitare del supporto politico governativo stante sia il
profilo della sicurezza interna sia il profilo
delle relazioni diplomatiche e bilaterali
con i Paesi interessati;

in un Paese democratico occidentale, difensore dei valori della libertà e dei
diritti umani, il garante politico delle forze
di polizia è il Ministero dell’interno e ciò
tanto più in una fase di transizione di
avvicendamento tra capi della polizia, laddove possono sussistere oggettivamente degli apparenti vuoti di responsabilità;
le operazioni di polizia sopra evidenziate non possono avvenire senza conoscenza diretta del Ministro dell’interno,
altrimenti ciò implicherebbe l’esistenza di
strutture di polizia parallela su cui il
Ministro ha omesso gravemente di vigilare;

la procedura di espulsione appare
gravemente viziata sotto il profilo costituzionale, normativo oltreché sotto quello
politico, stante un possibile – ancorché
ignoto – accordo intergovernativo volto al
rimpatrio forzoso summenzionato;

l’articolo 10, terzo comma, della
Costituzione repubblicana dispone solennemente che: «Lo straniero, al quale sia
impedito nel suo paese l’effettivo esercizio
delle libertà democratiche garantite dalla
Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel
territorio della Repubblica secondo le condizioni stabilite dalla legge»;

il testo unico delle disposizioni
concernenti la disciplina dell’immigrazione
di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998,
n. 286, all’articolo 19, comma 1, dispone:
«In nessun caso può disporsi l’espulsione
o il respingimento verso uno Stato in cui
lo straniero possa essere oggetto di persecuzione per motivi di razza, di sesso, di
lingua, di cittadinanza, di religione, di
opinioni politiche, di condizioni personali
o sociali, ovvero possa rischiare di essere
rinviato verso un altro Stato nel quale non
sia protetto dalla persecuzione»;

l’articolo 19, comma 2, della Carta
dei diritti fondamentali dell’Unione europea del 26 settembre 2000 stabilisce che è
vietato allontanare, espellere o estradare
uno straniero «verso uno Stato in cui
esiste un rischio serio di essere sottoposto
alla pena di morte, alla tortura o ad altre
pene o trattamenti inumani o degradanti»;

la Corte europea dei diritti dell’uomo ha inoltre precisato che il rischio
di subire torture, pene o trattamenti inumani o degradanti nel Paese di destinazione può provenire sia dalle autorità
dello Stato di destinazione, sia da privati
che operano nello Stato senza che l’autorità possa proteggere il soggetto, che da
situazioni oggettive;

la legge n. 498 del 3 novembre
1988 rende esecutiva in Italia la convenzione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, firmata a New York il 10
dicembre 1984, contro la tortura ed altre
pene o trattamenti crudeli, disumani o
degradanti;

nel corso del cosiddetto Premier
question time alla Camera dei deputati del
10 luglio 2013, il Presidente del Consiglio,
Letta, rispondendo all’interrogazione a risposta immediata 3-00193, e riferendosi ai
notevoli punti di contrasto tra le varie
ricostruzioni della vicenda, così affermava:
«In particolare, sembra trasparire un evidente stacco tra la correttezza formale dei vari passaggi in cui si è articolata questa
intricata vicenda e crescenti interrogativi
sostanziali che ruotano attorno ai tempi e
ai modi attraverso i quali si sono sviluppati gli avvenimenti. Gli interrogativi da
sciogliere quindi ci sono e appare del tutto
legittimo che essi vengano posti e soprattutto, naturalmente, che trovino le risposte
dovute, in primo luogo nelle sedi istituzionali, tanto più in un Paese come il
nostro, massimamente attento al funzionamento pieno di tutte le prerogative dello Stato di diritto, un Paese che vuole garantire al tempo stesso diritti e sicurezza. »;

successivamente, il 12 luglio, una
nota della Presidenza del Consiglio faceva
sapere che Il provvedimento di espulsione
di Alma Shalabayeva sarà revocato e la
donna potrà rientrare in Italia, dove potrà
chiarire la propria posizione; informa ancora la nota di Palazzo Chigi che: «Risulta inequivocabilmente che l’esistenza e l’andamento delle procedure di espulsione non erano state comunicate al vertici del governo: né al Presidente del Consiglio, né al Ministro dell’interno e neanche al Ministro degli affari esteri o al Ministro della giustizia »;

allo stato delle cose, sono molte le questioni che rimangono aperte con una
serie di interrogativi inquietanti: non appare davvero credibile che nessun vertice governativo sia stato informato; né si comprende come sia possibile che, ancorché sia accaduto tutto alla fine di maggio, il
Ministro dell’interno ne abbia avuto comunicazione o se ne sia accorto solo molto
dopo;

se realmente il Ministro dell’interno
non ne era a conoscenza, allora ha omesso
di vigilare sull’esistenza e sull’operato di
una « Polizia parallela » che agiva con atti
di forte rilievo;

le violazioni di norme ordinarie e
costituzionali che, peraltro, rischiano di
compromettere fatalmente la vita di un
essere umano, non consentono la permanenza del Ministro dell’interno in seno alla
compagine governativa,
per tali motivi:
visto l’articolo 94 della Costituzione;
visto l’articolo 115 del Regolamento
della Camera dei deputati;
esprime la propria sfiducia al Ministro dell’interno, Angelino Alfano, e lo
impegna a rassegnare le proprie dimissioni.

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