Bersani e il sospetto: rottura per piacere più al mercato?
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Bersani e il sospetto: rottura per piacere più al mercato?

Bersani, articolo 18 alla tedesca non all'americana. Così il segretario Pd, parlando a Porta a Porta, contesta le nuove regole sull'articolo 18. Questa norma "va corretta".

Bersani e il sospetto: rottura per piacere più al mercato?
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22 Marzo 2012 - 09.10


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I conti in Parlamento. “E’ una questione di diritti dei cittadini: il lavoratore non può essere messo in condizioni di debolezza, questa cosa va corretta. C’é il Parlamento e si corregge e il Pd si prende la briga e l’impegno di trovare le strade per correggere”. Lo afferma Pier Luigi Bersani, segretario del Pd, ospite di Porta a Porta. “Io non penso che Monti possa dire al Pd prendere o lasciare. Non mi aspetto che Monti lo faccia, é chiaro che noi votiamo quando convinti, bisogna ragionare con noi”. Così Pier Luigi Bersani, a Porta a Porta, sulla possibilità che il Pd possa votare no sulla riforma del lavoro. “La Cgil è una delle posizioni in campo ma c’é anche lei. Voglio dire che non è vero che la Cgil é stata ferma su tutto”. Così Pier Luigi Bersani, a Porta a Porta, difende le ragioni della Cgil sulla riforma del lavoro.

Chi ha tradito i patti? Già c’era stata una telefonata molto «difficile» di Bersani con Monti. Del resto quale fosse il clima dei rapporti tra il premier ed il secondo partito che appoggia il governo lo si era capito subito martedì sera mentre da Palazzo Chigi uscivano poco alla volta le notizie sull’andamento del confronto con le parti sociali. E ieri i toni si sono ulteriormente alzati: chi ha incontrato ieri il segretario Pd lo ha trovato furibondo. «Se devo concludere la vita consentendo la monetizzazione del lavoro, non lo faccio. Per me è una roba inconcepibile» si è sfogato in Transatlantico. Il fatto che la decisione del governo di procedere comunque col varo della riforma non può che raccogliere l’apprezzamento dei mercati aumenta i sospetti.

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Cgil fa il paio con Fornero? Sospetti rovesciati da destra. Un eventuale via libera alla riforma del lavoro avrebbe comportato per la Cgil troppi problemi, troppi guai, innanzitutto interni. E non a caso la settimana era iniziata con una sventagliata di scioperi promossi dalla Fiom, rivolti certamente contro il governo, ma anche alla casa madre. Insomma, Camusso «non poteva starci», rilevavano ieri a palazzo Chigi. Martedì sera, scendendo in sala stampa a Palazzo Chigi, il premier ovviamente non aveva potuto che dirsi «dispiaciuto» e «preoccupato». Salvo poi fare buon viso a cattivo gioco: «Non so se sarebbe stato possibile, avendo il consenso della Cgil, avere il consenso delle altre parti. Non lo credo».

Ora una legge delega. Ancora. Che veste assumerà la riforma? Decreto, disegno di legge o legge delega? Come reclama ieri a gran voce tutto il Pd che ha già fatto sapere di vedere come il fumo negli occhi l’ipotesi di un pacchetto blindato sui cui apporre magari l’ennesimo richiesta di fiducia. Mentre il presidente della Repubblica ieri da Vernazza ha sostenuto che su questo punto è il governo che deve decidere, il presidente del Consiglio tiene il punto e conferma di voler concordare col Presidente della Repubblica questa scelta. L’incontro, che in un primo momento sembrava si dovesse tenere ieri, quasi certamente maturerà entro questa sera dopo l’incontro finale tra governo e parti sociali alle 16 che servirà a chiudere definitivamente tutti i testi e a verbalizzare le posizioni in vista del consiglio dei ministri.

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