Centri di accoglienza, gli "SS" (Securisti Smantellatori) all'opera...
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Centri di accoglienza, gli "SS" (Securisti Smantellatori) all'opera...

L'accoglienza dei migranti è la prima urgenza umanitaria, logistica e di sicurezza. E il nostro sistema nazionale non regge perché ormai da alcuni anni è stato letteralmente smantellato

Centri di accoglienza, gli "SS" (Securisti Smantellatori) all'opera...
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

22 Agosto 2023 - 16.18


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Gli “SS” si accaniscono sull’accoglienza.

Gli “SS”, ovvero i Securisti Smantellatori che oggi governano l’Italia

Di cosa si tratta

Globalist ne ha dato conto nei giorni scorsi e oggi ci ritorniamo con due preziosi contributi.

Il primo è di Simone Cosimi su Wired: “L’accoglienza dei migranti – annota Cosimi -è la prima urgenza umanitaria, logistica e di sicurezza. E il nostro sistema nazionale non regge perché ormai da alcuni anni è stato letteralmente smantellato  il fronte che prometteva di rispondere meglio e con più elasticità ai picchi di arrivi: il sistema ex Sprar ed ex Siproimi, da qualche tempo ribattezzato Sai-Sistema di accoglienza e integrazione, che ormai dal 2019 – con l’entrata in vigore del primo, famigerato decreto dell’ex ministro dell’Interno, Matteo Salvini – è destinato sostanzialmente solo ai titolari di protezione internazionale e i minori stranieri non accompagnati, anche non richiedenti asilo.

In passato ci si era investito molto sullo Sprar, a partire dal 2014 come spiega Internazionale in un vecchio ma sempre utile approfondimento, perché “dotato di un meccanismo di controllo e coordinamento nazionale che evitava anomalie e la penetrazione della criminalità”. Insomma, è un network diffuso del quale i comuni non sono vittime ma protagonisti e che garantisce più controlli e un percorso di integrazione più efficace, cosiddetto di secondo livello.

Ha cambiato le regole per la redistribuzione territoriale, senza tenere conto delle indicazioni dei Comuni, e per i soccorsi si affida senza dirlo alle ong che ha messo in difficoltà. E nel governo nessuno parla più di migranti

La questione Cas

Da qualche anno il meccanismo pensato per essere straordinario e di primo accesso, i Cas cioè i centri di accoglienza straordinaria e altre strutture simili di primo livello che cambiano nomi e acronimi ma nella sono nella sostanza la stessa cosa, è invece divenuto il principale “non luogo” dell’accoglienza anche a lungo termine. I Cas accolgono oltre il 70% dei migranti in Italia nelle più diverse condizioni. Sono, se vogliamo, il lato “privato” del sistema, quello che a parole da anni si vorrebbe eliminare perché alimenta un “business” ingiustificato su cui la politica ha molto speculato ma che in realtà continua a costituire l’ossatura dell’accoglienza all’italiana. E che ora colleziona fra l’altro bandi deserti e seri problemi nel reperimento di posti letto e di strutture adeguate, tanto che i sindaci sono costretti ad alloggiare le persone negli hotel a tariffe di mercato come è appena accaduto a Bologna.

I Cas sono i centri individuati dalle prefetture, come spiega Open Migration,  “in convenzione con cooperative, associazioni e strutture alberghiere, secondo le procedure di affidamento dei contratti pubblici, sentito l’ente locale nel cui territorio la struttura è situata. La permanenza dovrebbe essere limitata al tempo strettamente necessario al trasferimento del richiedente nelle strutture seconda accoglienza”. Strutture di seconda accoglienza, quelle della rete Sai, che dal 2020 possono di nuovo accogliere chi sia in attesa dell’esito della pratica anche se con servizi diversi, più essenziali, in una suddivisione che sarebbe troppo complesso spiegare ma che nella sostanza rende inefficace questa nuova apertura dell’ex Sprar seguita alle chiusure salviniane del 2018.

Cara e Cpr

Per i richiedenti asilo ci sarebbero anche i Cara, centri di accoglienza per richiedenti asilo, che sono pochi e anche quelli in pessime condizioni, non dissimili dai Cas o dai Cpr di cui diremo fra poco, e finiti spesso al centro di indagini, scandali o fatti molto gravi come i disordini del 2011 al cara di Bari Palese.. Sempre al sistema dei privati fanno infatti riferimento i Cpr, i centri di permanenza per i rimpatri: “luoghi brutali”, come li ha definiti un recente rapporto della Coalizione italiana per le libertà e i diritti civili, “buchi neri per l’esercizio dei diritti” su cui l’esecutivo Meloni sta insistendo: la scorsa finanziaria ha stanziato oltre 40 milioni di euro per ampliare queste mini-carceri ed è già in cantiere per settembre un nuovo pacchetto sicurezza che ne prevede un ulteriore incremento. Il punto è che quell’impostazione non funziona: di rimpatri se ne fanno comunque pochi perché scontano difficoltà legate agli accordi con i paesi d’origine, che spesso sono tutt’altro che paesi terzi sicuri, sui costi e sull’impegno logistico. “Dal 2013 al 2021 sono stati emessi circa 230mila ordini di rimpatrio ma, di questi, solo 44mila sono stati poi effettuati (meno di un quinto del totale)” ha spiegato la Fondazione Leone Moressa.

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Governo senza idee

Dunque abbiamo da un lato un modello diffuso che funzionava ma che non può tornare particolarmente utile in questa fase per responsabilità di chi oggi siede comunque nel Consiglio dei ministri. Dall’altro la scelta di puntare su centri per il rimpatrio scaricando nel frattempo il peso del forte flusso, in particolare estivo, sui territori mandando in crisi presidenti di regione, sindaci e prefetti e intervenendo anche con un rinnovato criterio di distribuzione delle persone che tenga in considerazione, oltre alla popolazione residente, anche la superficie del territorio, oltre che la popolazione.

Un criterio evidentemente grottesco perché non valuta le risorse che una certa regione può concretamente offrire e le capacità di ospitalità ma solo le dimensioni: sembra quasi che il governo cerchi di spedire in Basilicata o in Sardegna, regioni grandi rispetto al numero di chi ci vive, più migranti possibili per toglierli dai centri delle grandi città. E cancellarli dalla visibilità dei cittadini. In tutto questo il Sai continua a essere sottoutilizzato, di posti adeguati per nuovi centri non se ne trovano più e i costi pubblici s’impennano perché si deve cercarli fuori dai bandi arrivando in certi casi a pagare le strutture ai prezzi di mercato.

Nonostante le strette di mano con i dittatori, i nodi vengono al pettine: penalizzare un sistema d’accoglienza diffuso e che si inquadrava evidentemente come feudo di una certa parte politica a favore della logica dei grandi centri para-carcerari per i rimpatri o ai Cas messi in piedi in fretta e furia un po’ dappertutto, dalle palestre delle scuole agli hotel, dà oggi i suoi frutti malati proprio al governo che più di tutti a fatto della lotta all’immigrazione clandestina una bandiera elettorale, identitaria e pseudoculturale”.

Gli sbarchi raddoppiano e gli SS smantellano

Rimarca, per fanpage, Tommaso Coluzzi: “Più del doppio degli sbarchi, secondo i dati ufficiali del ministero dell’Interno. Il 2023 si conferma un anno molto difficile in tema di flussi migratori, nonostante la propaganda del governo Meloni, che si è dovuto arrendere presto alla realtà dei fatti: le partenze dal Nordafrica non dipendono né dalla presenza delle Ong in mare, a cui ora lo stesso esecutivo chiede aiuto, né tantomeno dai porti aperti o chiusi. Secondo il cruscotto del Viminale, al momento sono arrivati oltre 102mila migranti in Italia nel 2023, il dato che è più che doppio se paragonato a quello dello scorso anno, triplo se confrontato con quello di due anni fa.

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Negli ultimi due mesi, inoltre, complice la bella stagione e l’aumento dell’instabilità nei territori chiave del continente, i flussi sono aumentati nettamente: solo il mese di maggio è stato inferiore, per arrivi, al 2022. Da giugno a oggi, inoltre, sono arrivati oltre 50mila migranti.

Il governo si trova a fronteggiare l’emergenza con i mezzi che ha a disposizione e con un circuito di accoglienza picconato negli anni dai decreti Salvini. Negli ultimi giorni sono cresciute le proteste da parte dei sindaci: “Con questi numeri non possiamo garantire il rispetto delle condizioni stabilite per legge, e la responsabilità è dello Stato centrale – ha detto il sindaco di Prato e responsabile immigrazione dell’Anci Matteo Biffoni – Non ci sono gli hub di primissima accoglienza, non ci sono le risorse per la mediazione culturale”. 

Il governo ha replicato affidandosi alle solite fonti anonime, in questo caso del Viminale: “La polemica sollevata da alcuni sindaci, in tema di accoglienza dei migranti, è surreale – ha fatto sapere l’Interno – La mancata adozione dello stato di emergenza ha ritardato alcuni interventi sul territorio”. Le uniche Regioni a non aver voluto dichiarare lo Stato di emergenza sono state quelle a guida centrosinistra.

Un’altra grana sul tavolo del governo, in tema migranti, è quella del cambio di regole per la redistribuzione interna in Italia. Fino a poche settimane fa, le persone venivano trasferite sul territorio nazionale in base ad alcuni criteri: numero di abitanti della Regione, numero di migranti già ospitati e Pil dei territori. Ora sarà fondamentale anche l’estensione territoriale, il che sfavorirà le Regioni più grandi con meno popolazione. Si parla soprattutto di Basilicata e Sardegna, che al momento ospitano poche migliaia di migranti e che dovrebbero vederne arrivare molti di più. “Va bene la solidarietà. Ma non possiamo reggere numeri importanti – ha detto Vito Bardi, governatore della Basilicata in quota Forza Italia – Spero che al Viminale varino sì un nuovo sistema, che però tenga conto delle peculiarità di ciascuna Regione. Non si può applicare un principio uguale per tutti, perché non lo siamo”.

Proteste e ricorsi

 Il comune di Bologna, attraverso l’assessore al Welfare Luca Rizzo Nervo, cita un dato: «Solo domenica sono arrivate 150 persone dalla Sicilia. Cifre mai così alte da sette anni e lo Stato non offre strumenti adeguati». E così in 100, tra quelli originariamente previsti per le strutture dell’Emilia-Romagna, dopo le proteste di Bologna sono stati redistribuiti: 25 al Cara di Crotone e 75 in Campania. Ma il governatore Stefano Bonaccini attacca l’esecutivo: «Se l’approccio è negare il problema, è difficile trovare soluzioni. C’è il rischio di tendopoli nelle città. Serve un incontro».

“L’accoglienza dei minori stranieri non accompagnati è un compito dello Stato. Lo dice la legge (DL 142/2015 art.19). I Comuni possono svolgere una supplenza temporanea, in caso di indisponibilità di posti nelle strutture statali, e comunque senza costi o oneri a loro carico”. Lo scrive il sindaco di Bergamo, Giorgio Gori, sui social. “Succede invece esattamente il contrario: lo Stato non fa nulla e scarica oneri e costi sui Comuni, rimborsandoli in modo del tutto insufficiente”, attacca Gori.

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“Per questo il Comune di Bergamo ha prima diffidato e poi attivato un ricorso al Tar contro il Ministero degli Interni, per ottenere il rispetto della legge e la restituzione dei costi impropriamente sostenuti. Sarebbe utile che anche le altre città – governate dalla sinistra come dalla destra, non c’entra il colore politico – facessero la stessa cosa. E che nel frattempo il Governo attivasse immediatamente i 4.000 posti Sai aggiuntivi, richiesti dall’Anci e finora negati”, è la sollecitazione di Gori. 

“Il Sai è il principale sistema di accoglienza per i minori stranieri prescritto dalla legge. Ma lo Stato non lo finanzia a sufficienza. Bergamo dispone di soli 30 posti Sai, ma oggi deve farsi carico dell’accoglienza di 282 minori stranieri. Infine, si alzi almeno a 100-120 €/giorno il rimborso per l’accoglienza nei Cas minori (oggi a 60 €) altrimenti i bandi prefettizi continueranno ad andare deserti”. 

In tema arrivi, poi, nuovo scontro tra il governo e la ong Sea Watch. La nave Aurora alla quale era stato indicato Trapani come «porto sicuro» per far sbarcare 72 migranti, ha attraccato invece a Lampedusa ed è stata per questo sottoposta a fermo amministrativo per 20 giorni. Il comandante, uno svizzero 37enne, e in solido la società armatrice, sono stati sanzionati dalla Guardia costiera con 3.333 euro da pagare entro 60 giorni, dopo i quali la cifra triplicherà. «Alla nostra nave — replica la Ong — viene contestato che non si sia coordinata con le autorità tunisine. Ma in Tunisia sono in atto dei pogrom contro i migranti, cosa che rende comprensibile a tutti quanto sia pretestuosa la politica di guerra alle Ong che il governo combatte sulla pelle dei migranti».

Parole sante

 “La questione dei migranti non si risolve come emergenza” e, soprattutto, “dobbiamo recuperare il senso umanitario e umano”. A dirlo, a margine del meeting di Rimini, è l’Arcivescovo di Palermo, Corrado Lorefice. “Dietro ogni volto c’è una storia, una famiglia. Fuggono dalla povertà, indotta anche dai paesi occidentali, dai cambiamenti climatici e dalle guerre fomentati anche dai paesi occidentali. Noi non possiamo dimenticare che queste sono persone che affrontano la morte perché credono di poter risorgere”, dice ai microfoni dell’Ansa.

Per questo le parole d’ordine, oggi, devono essere “accoglienza” e “non demonizzare uomini e donne delle Ong”. Sul tema dell’immigrazione, spiega, “si devono fare delle scelte”, e “non si può fare una scelta populista di far vedere che sono il nemico” né “scelte che penalizzano le Ong che ancora credono al volto umano e che vogliono diventare pescatori di uomini”. Sottolineando che le Ong non si mettono in mare “perché hanno altri interessi” ma “perché custodiscono un cuore umano” e che “non sono mercenari, trafficanti di essere umani”, Lorefice conclude: “È chiaro che non può essere un problema solo dell’Italia, ma noi non dobbiamo dimenticare l’accoglienza”.

Qualcuno provi a spiegarlo agli “SS” di governo. 

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