Migranti, li lasciano morire in mare e ora li cacciano dai centri di assistenza: la crudeltà di governo
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Migranti, li lasciano morire in mare e ora li cacciano dai centri di assistenza: la crudeltà di governo

Li lasciano affogare in mare. Ed ora li sbattono fuori dai centri di accoglienza. E’ la seconda parte della logistica della crudeltà messa in atto dal governo Meloni-Piantedosi.

Migranti, li lasciano morire in mare e ora li cacciano dai centri di assistenza: la crudeltà di governo
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

12 Agosto 2023 - 14.34


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Li lasciano affogare in mare. Ed ora li sbattono fuori dai centri di accoglienza. E’ la seconda parte della logistica della crudeltà messa in atto dal governo Meloni-Piantedosi.

Fuori da quei centri

Ne scrive Diego Motta su Avvenire: «Cessazione delle misure di accoglienza». È questa l’espressione usata nella circolare diffusa dal ministero dell’Interno, che di fatto fa saltare i meccanismi di presa in carico sui territori dei richiedenti asilo. Un caso annunciato, anticipato settimane fa ad Avvenire da sindaci e Terzo settore, che adesso sono i primi a reagire, pressoché simultaneamente, dopo la diffusione del documento messo a punto dal Viminale. Il testo è del 7 agosto e indica alle prefetture di disporre lo stop immediato degli interventi per coloro che sono riconosciuti titolari di protezione internazionale e speciale, senza aspettare il rilascio del permesso di soggiorno e senza provvedere al loro trasferimento nel Sai, il Sistema di accoglienza e integrazione. «In sostanza – sottolinea il Tavolo Asilo, che riunisce in un ampio cartello associazioni del mondo laico e cattolico – migliaia di titolari di protezione internazionale o speciale stanno per essere espulsi dai Cas, i Centri di accoglienza straordinaria, e mandati per strada: in questa direzione si stanno muovendo le prefetture». Nella circolare, il Viminale sottolinea «l’importanza della verifica dei requisiti per la permanenza dei beneficiari all’interno del sistema di accoglienza». L’obiettivo indicato sembra essere, si spiega qualche riga dopo, quello di «assicurare il turn over nelle strutture di accoglienza e garantire la disponibilità di soluzioni alloggiative in favore degli aventi diritto».

Servono spazi, in sostanza, perché il numero degli arrivi nel 2023 è più del doppio rispetto a quello del 2022 e regioni come Sicilia e Calabria sono al collasso. Non basta neppure la ripartizione territorio per territorio fatta filtrare dal governo, perché non si sa dove trovare un tetto per chi arriva da fuori. «Così svuoteranno i Cas per far entrare chi è appena arrivato – osserva Matteo Biffoni, sindaco di Prato e delegato Anci per le politiche migratorie -. La verità? Si sono incartati e non sanno come uscirne, perché devono dare seguito alla propaganda fatta. Dovrebbero fermarsi, ascoltare chi sta sui territori e riprogettare tutto, a partire dall’emergenza permanente dei minori non accompagnati. Ma non lo faranno». Anche Pierfrancesco Majorino, della segreteria nazionale del Pd, attacca parlando di «decisione sciagurata: l’aumento delle persone senza dimora sarà il frutto avvelenato del fallimento totale delle scelte del governo». Il non detto riguarda un vertice andato in scena lo scorso 4 agosto, a cui il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, non ha partecipato.

La riunione, di tipo tecnico, ha confermato l’indirizzo del governo: liberare le grandi strutture prefettizie dalle attuali presenze e garantire spazio a nuovi ingressi. Il Tavolo Asilo parla di «clamorosa violazione di legge: migliaia di rifugiati privi di mezzi e senza accoglienza si troveranno allo sbando in strada e dunque a carico del welfare locale. In questo modo, il ministero dell’interno si pone in netto antagonismo con i Comuni».

Preoccupa ancora di più la soppressione annunciata dei servizi nei Cas e la possibilità di individuare eventuali vulnerabilità dei soggetti più fragili, spiegano le associazioni. Sullo sfondo, si intravede il rischio di una “guerra tra poveri”, di uno scontro latente tra richiedenti asilo e titolari di protezione: servirebbero infatti percorsi ad hoc a seconda del tipo di protezione prevista per legge, mentre «va delineandosi un sistema emergenziale, dove distinguere caso per caso sarà pressoché impossibile» precisa Biffoni, che da tempo chiede «più risorse e più personale» per gestire una situazione giunta al limite”.

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Record di sbarchi

Dall’inizio dell’anno sono 95mila i migranti sbarcati in Italia. Un dato in costante aumento che già oggi segna un record. Come sottolinea Frontex nel suo ultimo report, il totale di sbarchi nei primi 7 mesi del 2023 è il più alto mai registrato dal 2017. E, secondo l’agenzia europea, la pressione migratoria potrebbe aumentare anche nei prossimi mesi.

E gli arrivi continuano incessanti. Nelle ultime ore sono 11 i barchini soccorsi dalle motovedette della Guardia costiera e delle Fiamme gialle per un totale di 420 migranti giunti a Lampedusa. Secondo i dati del Viminale – aggiornati alle 8 del mattino del 10 agosto – sono 94.792 i migranti arrivati sulle coste italiane dal primo gennaio del 2023 (5.634 solo nei primi 10 giorni di agosto). Un numero più che doppio rispetto allo stesso periodo del 2022, quando i migranti sbarcati erano stati 45.178. E ancora molto più distanti dai dati del 2021, con 32.004 migranti arrivati il 7 mesi e 10 giorni. Intanto in termini di accoglienza, attualmente sul territorio italiano sono presenti complessivamente 128.902 immigrati di cui 92.555 in “centri di accoglienza” e 35.075 in quelli Sai (dati del Viminale aggiornati al 31 luglio). La regione con il maggior numero di presenze nelle strutture è la Lombardia (16.232) pari al 13% seguita dall’Emilia-Romagna (12.458) e dal Lazio (11.217). Nonostante il decreto Ong messo in campo dal Governo Meloni, con la stretta alle organizzazioni non governative impegnate nel salvataggio dei migranti nel Mediterraneo, i numeri quindi parlano di un aumento esponenziale degli arrivi. 

La rotta del Mediterraneo centrale rimane quella più attiva verso l’Unione europea. Gli 89 mila arrivi segnalati dalle autorità nazionali nei primi sette mesi del 2023 rappresentano il totale più alto su questa rotta dal 2017. Record che viene fuori dal report dell’Agenzia Ue di controllo delle frontiere Frontex. E le prospettive future possono essere anche peggiori. L’aumento della pressione migratoria su questa rotta potrebbe persistere nei prossimi mesi, sottolinea infatti l’agenzia, con i trafficanti che offrono prezzi più bassi per i migranti in partenza dalla Libia e dalla Tunisia in mezzo a una feroce concorrenza tra i gruppi criminali. E le traversate attraverso il Mediterraneo rimangono estremamente pericolose. Secondo i dati dell’Oim (l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni), nel solo mese di luglio sono scomparse nel Mediterraneo più di 2.060 persone, la maggior parte lungo la rotta del Mediterraneo centrale verso l’Italia.

Nel resto d’Europa gli arrivi su tutte le altre rotte migratorie hanno registrato invece cali rispetto a un anno fa, che vanno dal 2% sul Mediterraneo occidentale fino al 29% sulla rotta del Mediterraneo orientale. Nel periodo gennaio-luglio, la rotta dei Balcani occidentali – la seconda rotta più attiva con oltre 52.200 rilevamenti – ha registrato un calo del 26%. Il numero di attraversamenti irregolari nel Canale della Manica verso il Regno Unito a luglio si è avvicinato a 5.500, portando il totale per i primi sette mesi del 2023 a quasi 27.300. Ciò è più o meno in linea con lo stesso periodo dell’anno scorso.

Le accuse di Alarm Phone

L’Ong internazionale Alarm Phone ha accusato Malta, l’Italia e la Grecia di rifiutarsi di assegnare un porto sicuro a un gruppo di 24 migranti, tra cui nove bambini, nonostante il gruppo era in grande difficoltà. Alarm Phone ha aggiunto che i migranti sono stati respinti in Libia mentre si trovavano nella zona di ricerca e salvataggio di Malta. La Ong ha confermato di essere stata allertata dai migranti sulle difficoltà che stavano affrontando a causa del pessimo tempo. La loro barca aveva perso la direzione a causa di una tempesta e fu poi scoperta da una nave mercantile.

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La nave mercantile Pge Tornado ha soccorso le persone, ha detto Alarm Phone, aggiungendo che le autorità maltesi, italiane e greche hanno rifiutato di assegnare un porto sicuro, e alla nave mercantile è stato ordinato di riportare i migranti in Libia. Alarm Phone ha confermato che il gruppo si trova ora a Misurata, detenuto separatamente in due centri. Alcuni di loro sono malati e temono la deportazione in Siria e in Egitto. Tra loro ci sono 9 bambini. Alarm Phone ha chiesto alle autorità di rilasciarli immediatamente.


Nel frattempo, un’altra Ong internazionale, Sea-Watch, ha criticato le autorità europee per aver ignorato il maltempo che ampiamente era previsto e ha abbandonato decine di barche al loro destino. La Ong ha detto che un altro gruppo di migranti è scomparso a causa del maltempo. Sea-Watch ha anche confermato che 49 migranti sono stati salvati dall’Ong Medici Senza Frontiere. Sono stati per sei giorni alla deriva affrontando una tempesta. Mentre la nave GeoBarents gestita da Medici Senza Frontiere ha trovato due migranti che facevano parte di questo gruppo dopo oltre 3 ore di ricerca, un altro migrante risulta ancora disperso, creduto morto. Secondo Sea-Watch, solo quest’anno il numero di morti e dispersi nel Mediterraneo è salito a 2.063.

I soccorsi non incentivano le partenze, ma salvano vite

A smontare la narrazione di regime è un documentato report a firma Rosita Rijtano per lavialibera: “Non troviamo elementi a supporto della tesi che le operazioni di ricerca e soccorso nel Mediterraneo costituiscano un motore dell’immigrazione irregolare”. Questa la conclusione dello studio firmato da Alejandra Rodríguez Sánchez (Università di Potsdam), Julian Wucherpfennig (Hertie School, Centre for international Security), Ramona Rischke (German Centre for integration and migration research) e Stefano Maria Iacus (Università di Harvard). Per arrivarci i ricercatori hanno elaborato un modello predittivo in grado di stimare le variazioni numeriche delle partenze da Tunisia e Libia, mettendo in relazione una serie di dati ufficiali: prezzi internazionali delle materie prime, livelli di disoccupazione, condizioni meteo-climatiche, conflitti, violenza e numero di operazioni di ricerca e salvataggio condotte dallo Stato, e dai privati. In particolare, nel mirino è finito l’arco temporale che va dal 2011 al 2020: un periodo segnato da cambiamenti chiave nelle politiche migratorie Ue.

La prima fase, che va dall’ottobre del 2013 all’ottobre del 2014, è caratterizzata dall’operatività di Mare Nostrum, definita “la più grande operazione di ricerca e soccorso a carattere statale nella storia europea”. Il suo tramonto ha coinciso con una crescita delle organizzazioni non governative impegnate nell’area, protagoniste tra agosto 2014 e agosto 2017. Dal gennaio di quell’anno in avanti si entra in una nuova èra. Il cambiamento inizia con l’estensione della zona di ricerca e soccorso di competenza della cosiddetta guardia costiera libica e un suo maggiore coinvolgimento nei respingimenti.

Una fase che – scrivono gli autori dell’analisi – riflette uno spostamento del focus delle politiche Ue: la priorità si sposta dal salvataggio dei migranti in mare alla dissuasione della migrazione irregolare, tramite l’esternalizzazione delle frontiere. Parte integrante del nuovo approccio è la criminalizzazione delle Ong, che nel dibattito politico e mediatico vengono descritte come un “fattore di attrazione” per chi vuole lasciare il proprio Paese.

Ma il modello messo a punto dai ricercatori rivela altro. Si tratta di un modello contro-fattuale, cioè che mostra cosa succederebbe al variare di certi fattori. Il verdetto? Se non fossero state messe in campo le operazioni di ricerca e soccorso, la portata del flusso di persone partite in quegli anni da Tunisia e Libia non sarebbe mutata. A cambiare sarebbe stato solo il numero di morti: l’assenza di salvataggi in mare coincide, infatti, con un tasso di mortalità più elevato. “Ricerche e soccorsi non sembrano essere un ulteriore fattore determinante per le migrazioni e, quindi, in media, non incentivano più partenze”, scrivono gli studiosi precisando che “può sembrare contro-intuitivo visto che la loro esistenza coincide con un minore tasso di mortalità e un più alto numero di arrivi”. In realtà, però, non lo è. Perché le navi di soccorso intercettano una domanda già esistente, senza esserne in alcun modo la causa.

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Stando al modello predittivo, quello che invece ha avuto un impatto significativo sulle partenze è stata la cooperazione tra l’Europa e la Libia. Le proiezioni suggeriscono che senza questa partnership, i tentativi di attraversamento del Mediterraneo sarebbero stati molti di più. Una inflessione che tuttavia ha coinciso con “un significativo deterioramento dei diritti umani dei migranti in Libia”, annotano gli studiosi. Per loro, quindi, “il bilancio è negativo”. La propaganda che sorregge la criminalizzazione delle Ong, a dispetto di ogni evidenza scientifica

Un risultato in linea con molti studi precedenti che hanno cercato di individuare le ragioni delle migrazioni, suggerendo una risposta socio-economica e ambientale. Mentre l’attività delle Ong, dati alla mano, è stata più volte scagionata dall’accusa di rappresentare un “fattore d’attrazione”. Analizzando le partenze dal 2014 al 2019, un’analisi del Migration Policy Centre dell’European University Study aveva già concluso che non c’è correlazione tra “le operazioni di ricerca e soccorso non governative e il numero dei migranti che lasciano la Libia via mare”. Stesso risultato raggiunto da Matteo Villa, ricercatore dell’Istituto di studi politici italiani (Ispi). Non solo. Le università di Pisa e Oxford hanno persino dimostrato che tra il 2013 e il 2015 il numero di migranti partiti dal Nord Africa tendeva a essere più alto quando le attività di salvataggio erano poche. Allo stesso tempo, i due atenei hanno confermato che la loro assenza coincideva con un più alto tasso di mortalità.

Una chiave di lettura che quest’ultima ricerca pubblicata su Scientific Reports rafforza e arricchisce: anche le politiche di salvataggio, come Mare Nostrum, non sembrano far aumentare le traversate. Evidenze scientifiche che in questi anni non hanno impedito a molti politici di portare avanti un certo tipo di propaganda, che oggi legittima alcune scelte di governo. Una lunga tradizione, non esclusivamente di destra. Basti pensare all’espressione “taxi del mare” coniata dall’allora leader del Movimento cinque stelle Luigi di Maio. Lo scorso novembre la premier Giorgia Meloni ha parlato di una “naturale convergenza” tra le Ong e “gli interessi degli scafisti”, anche se questo legame non è stato fino ad ora mai provato da alcuna magistratura. Anzi, a fronte delle decine di inchieste aperte ai loro danni per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, solo una è arrivata in fase di udienza preliminare: il cosiddetto caso Iuventa, il cui processo è in corso al tribunale di Trapani. In uno dei rari casi della storia, il governo italiano nella figura di Meloni ha deciso di costituirsi parte civile”.

Così stanno le cose. Globalist non smetterà mai di denunciarlo. In attesa di una “Norimberga del Mediterraneo”. 

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