Strage di Bologna, Meloni rinuncerà al 'negazionismo' e riconoscerà la matrice fascista?
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Strage di Bologna, Meloni rinuncerà al 'negazionismo' e riconoscerà la matrice fascista?

Domani si celebra a Bologna il 43esimo anniversario della strage del 2 agosto 1980. Meloni e la destra hanno sempre rifiutato di riconoscere le sentenze. Ora che farà il signor presidente del Consiglio?

Strage di Bologna, Meloni rinuncerà al 'negazionismo' e riconoscerà la matrice fascista?
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Claudio Visani Modifica articolo

1 Agosto 2023 - 10.04


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Domani si celebra a Bologna il 43esimo anniversario della strage del 2 agosto 1980. Come ogni anno il corteo partirà verso le 9 dalla Piazza del Nettuno, percorrerà via Indipendenza e confluirà nel piazzale davanti alla Stazione, dove ci saranno i discorsi del presidente dell’associazione famigliari delle vittime, Paolo Bolognesi, del sindaco, Matteo Lepore e alle 10.25 il triplice fischio del treno a ricordare il momento. Il governo quest’anno ha deciso di mandare il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, che incontrerà i famigliari a Palazzo d’Accursio ma non parlerà in piazza. Sarà interessante comunque vedere l’accoglienza che riceverà, vista la sua trasformazione da uomo del dialogo e della mediazione quando era viceprefetto e sub commissario di Anna Maria Cancellieri a Bologna (anni 2010-2011), a volto e simbolo della destra più feroce, soprattutto nei confronti degli immigrati, con Salvini e Meloni. 

Ma sarà ancora più interessante osservare se e cosa dirà la Presidente del Consiglio, che negli ultimi anni, quando era solo la leader dei Fratelli d’Italia, ha inanellato una serie di sconcertanti dichiarazioni “negazioniste” sulle responsabilità del terrorismo nero, ignorando completamente il contenuto delle sentenze. Eccone alcune. Nel 2017: “2 agosto 1980: 37 anni senza giustizia, 37 anni senza verità”. Nel 2018: “38 anni dalla strage di Bologna. Ancora oggi tutto avvolto nel mistero, nessuna verità, nessuna giustizia”. Nel 2021: “A 41 anni dalla strage di Bologna, tra ombre e depistaggi, continuiamo a ricordare tutte le vittime e a chiedere verità e giustizia”. Lo scorso anno: “La strage alla stazione di Bologna di 42 anni fa rappresenta una ferita aperta per tutta la Nazione. Gli 85 morti e gli oltre 200 feriti meritano giustizia, per questo continueremo a chiederla insieme alla verità”. E ora, nel primo 2 agosto da Presidente del Consiglio? Correggerà il tiro? Prenderà atto? Parlerà da statista o da capo dei post-fascisti? 

Gli ultimi processi “dimostrano che la strage è stata organizzata e finanziata dalla P2, protetta dai servizi segreti, eseguita da terroristi fascisti”, ha detto ieri presentando la manifestazione e scandendo le parole Paolo Bolognesi, “ciò che rimaneva della famigerata pista palestinese è stato demolito dai giudici, ma i tentativi di depistaggio per aiutare i terroristi neri continuano”. Si riferisce alle condanne all’ergastolo di Paolo Bellini e Gilberto Cavallini, decretate in primo grado dalla Corte d’Assise di Bologna, alla campagna dei post-fascisti tesa ad addebitare la strage al terrorismo internazionale e al tentativo che è stato fatto, con la copertura del ministro della Giustizia, Nordio, che Bolognesi definisce “scandalosa”, di annullare per un cavillo burocratico la sentenza di condanna di Cavallini (alcuni giudici popolari diventati nel corso del processo over 65, ovvero più anziani dell’età massima prevista). 

Bellini, ex Avanguardia nazionale, riconosciuto dalla ex moglie in un video girato alla stazione poco prima dell’esplosione, è indicato nella sentenza come il “quinto uomo” del commando, “l’aviere” che portò la bomba che fece saltare per aria la stazione provocando ottantacinque morti e duecento feriti, secondo un’intercettazione dell’ex capo di Ordine Nuovo, Carlo Maria Maggi. Cavallini, ex Nar, è invece stato condannato per “concorso in strage” come il terrorista nero che, consapevole di ciò che si stava organizzando, si occupò della logistica e della copertura degli esecutori materiali Valerio Giusva Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini, tutti e tre condannati in via definitiva ma da tempo in libertà nonostante l’efferatezza dei loro crimini e la montagna di ergastoli accumulati. 

Nell’ultimo processo, quello a carico di Bellini concluso pochi mesi fa, per la prima volta nella storia e con prove definite “eclatanti” dai giudici sono stati individuati e condannati anche mandanti, organizzatori e finanziatori della strage: i capi della P2 Licio Gelli e Umberto Ortolani, l’ex capo dell’Ufficio Affari riservati del ministero dell’Interno Federico Umberto D’Amato e l’ex senatore del Msi e direttore de ‘Il Borghese’ Mario Tedeschi, tutti deceduti. 

“Deve ritenersi – hanno scritto i giudici nella motivazione della sentenza – che  l’esecuzione materiale della strage di Bologna sia imputabile ad un commando di soggetti provenienti da varie organizzazioni eversive (di destra) uniti dal comune obiettivo di destabilizzazione dell’ordine democratico, coordinati dai funzionari dei servizi segreti o da altri esponenti di apparati dello Stato, che a loro volta rispondevano alle direttive dei vertici della Loggia P2 a cui avevano giurato fedeltà, con un vergognoso tradimento della Costituzione Repubblicana”. 

Una sentenza che dopo 43 anni concilia una verità storica e politica ormai da tempo acclarata con la verità giudiziaria, ma che la destra ora al potere, a cominciare dalla Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ancora si rifiuta di accettare. Come è dimostrato dalle ultime recenti iniziative parlamentari dei Fratelli d’Italia. Una, firmata tra gli altri dall’attuale presidente della commissione cultura di Montecitorio Federico Mollicone e da Rita Dalla Chiesa, propone l’istituzione di una commissione parlamentare “sulle connessioni del terrorismo interno e internazionale con le stragi avvenute in Italia dal 1953 al 1993 e sulle attività svolte dai servizi segreti nazionali e stranieri”.

L’altra, primo firmatario il vicepresidente della Camera, Fabio Rampelli, chiede una commissione parlamentare di inchiesta per fare luce “sulla violenza politica negli anni Settanta e Ottanta”. Entrambe chiaramente finalizzate a incolpare il “terrorismo di sinistra” delle stragi.

Due proposte che hanno irritato Bologna, il Pd e in particolare i parenti delle vittime della strage del 2 agosto. “Un modo per intorpidire le acque”, commenta Bolognesi, “l’ennesimo tentativo di riscrivere la storia del terrorismo in Italia, di inficiare quanto accertato dai processi con diversivi che non stanno in piedi, a cominciare dalla pista palestinese”.  Politicamente, una sorta di catarsi repubblicana finalizzata a riabilitare gli eredi del Msi e di Almirante e a legittimare i post-fascisti soprattutto ora che sono al governo. 

Ma le radici di quell’attentato, come dimostrano tutti i processi, affondano proprio nella storia del postfascismo italiano, in particolare nelle organizzazioni nate dal Movimento Sociale Italiano negli anni Cinquanta: Ordine Nuovo, Avanguardia Nazionale, Nuclei armati rivoluzionari e altre. E Fratelli d’Italia non ha mai ripudiato le figure chiave di quella stagione a cominciare da Giorgio Almirante e da Pino Rauti, che di Ordine Nuovo fu il padre. Anzi, sua figlia Isabella Rauti è oggi una delle figure più in vista del governo Meloni. E la Fiamma, simbolo di quelle radici, è difesa con orgoglio da tutta la classe dirigente di FdI. Che però vorrebbero “lavarla” dall’infamia del terrorismo nero.

Una vera ossessione, cominciata nel lontano 1994, quando nell’anniversario della strage di Bologna venne presentato il comitato “E se fossero innocenti”, con l’obiettivo di promuovere un movimento di opinione trasversale a favore di Francesca Mambro e Valerio Fioravanti, condannati nel maggio di quell’anno in via definitiva all’ergastolo. Negli anni 2000, mentre era in corso il processo contro Luigi Ciavardini, un gruppo della destra radicale e istituzionale creò il comitato “L’ora della verità”. E il 2 agosto 2020, nel quarantennale della strage, lo stesso gruppo organizzò un happening in piazza del Popolo a Roma con lo slogan “Nessuno di noi era a Bologna”. Dal 2006, infine, la tesi principale sostenuta dai negazionisti della matrice neofascista della strage di Bologna è la cosiddetta “pista palestinese”, legata all’accordo conosciuto come “Lodo Moro”, con la bizzarra teoria, alimentata a suo tempo da Cossiga, che a provocare la strage sarebbe stata una valigia di esplosivo trasportata da un terrorista palestinese di passaggio ed esplosa accidentalmente, forse per una banale cicca di sigaretta accesa buttata lì. A dispetto del buon senso, dell’evidenza e dei processi. Perché anche nelle tragedie più grandi c’è chi riesce a essere ridicolo. 

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