Spese militari: i generali battono cassa e il governo li accontenta a suon di miliardi
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Spese militari: i generali battono cassa e il governo li accontenta a suon di miliardi

Sarà di almeno 25 miliardi di euro il costo degli investimenti in nuovi armamenti se il ministro della Difesa Guido Crosetto recepirà le proposte che i Capi di Stato di maggiore di Esercito, Marina e Aeronautica hanno avanzato nelle loro audizioni

Spese militari: i generali battono cassa e il governo li accontenta a suon di miliardi
Giorgia Meloni e Guido Crosetto
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

31 Marzo 2023 - 17.41


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I generali battono cassa. E il governo li accontenta. E con loro l’industria che più tira in Italia: quella degli armamenti. 

Spese miliardarie

Le documenta, con la consueta puntigliosità analitica, Enrico Piovesana su l’Osservatorio Mil€x

“Sarà di almeno 25 miliardi di euro il costo degli investimenti straordinari in nuovi armamenti se il ministro della Difesa Guido Crosetto recepirà le proposte che i Capi di Stato di maggiore di Esercito, Marina e Aeronautica hanno avanzato nelle loro audizioni programmatiche alle Commissioni Difesa di Camera e Senato. Un programma di riarmo imponente che avrebbe un notevole impatto sui bilanci statali, giustificato dai militari con il rischio concreto di una guerra determinato dal conflitto in Ucraina, che richiederà adeguati approfondimenti. Anche in considerazione del record di approvazioni di programmi di procurement militare avvenuto nella scorsa Legislatura (e di cui l’Osservatorio Mil€x ha dato conto in numerosi articoli).

Esercito: 4,2 miliardi per duecento carri armati in più

Come testimonia l’ultimo Documento programmatico pluriennale della Difesa, l’Esercito, in attesa dei nuovi carri armati dei programmi europei Aics (Armored Infantry Combat System, per i carri leggeri) e Mgcs (Main Ground Combat System, per i carri pesanti) – già finanziati con oltre 3,7 miliardi di euro su una previsione di spesa complessiva di 6 miliardi – aveva deciso di investire oltre mezzo miliardo sull’ammodernamento di 135 Dardo e 159 M113 – decine dei quali sono poi stati inviati in Ucraina – e quasi un miliardo di euro (980 milioni per la precisione) sull’ammodernamento di 125 carri Ariete. 
Ora il Capo di Stato maggiore dell’Esercito, generale Pietro Serino, avanza la richiesta urgente di acquistare anche almeno 200 carri pronti all’uso: un centinaio di carri svedesi Cv90 (che costano almeno 12 milioni l’uno e hanno un elevato costo di manutenzione) e altrettanti carri tedeschi Leopard 2 (da almeno 30 milioni l’uno), per una spesa totale di almeno 4,2 miliardi di euro.

Marina: 12 miliardi per terza portaerei e raddoppio flotta

La Marina il prossimo anno vedrà entrare in servizio la seconda nave portaerei che andrà ad affiancare la Cavour. Nonostante sia anche nave da sbarco mezzi anfibi dotata di bacino allagabile (per questo ha un dislocamento maggiore rispetto alla Cavour), la Trieste potrà imbarcare un numero di F-35B analogo a quello della prima portaerei (una dozzina di velivoli, cioè un gruppo aereo ciascuna) tra ponte e hangar sottoponte, entrambi un po’ più grandi rispetto alla Cavour (ponte lungo 230 metri e ampio 7.400 mq contro 220 metri e i 6.800 mq; hangar da 2.600 mq contro 2.500 mq) garantendo la loro piena operatività grazie alla dotazione dei sistemi di integrazione (Alis/Odin e Jpals).


Alla luce di questo, necessiterebbe qualche chiarimento la richiesta avanzata dal Capo di Stato maggiore della Marina, ammiraglio Enrico Credendino, di una “seconda” portaerei (dal costo di almeno 1,5 miliardi) che sarebbe in realtà la terzae che necessiterebbe anche di un terzo gruppo aereo di F-35B (per altri 3,2 miliardi – esigenza che trova conferma nelle richieste avanzate dal Capo di Stato maggiore dell’Aeronautica, generale Luca Goretti). Oltre alla terza portaerei, l’ammiraglio Credendino ha fornito una lunga lista di acquisizioni urgenti per almeno altri 7,4 miliardi: altri due sottomarini U212 Nfs (da 665 milioni l’uno) oltre ai quattro già previsti, almeno altre tre fregate antisommergibile Fremm (da 600 milioni l’una) oltre le quattro già in linea, altri due cacciatorpediniere antiaerei Ddx (da 1.350 milioni l’una) oltre alle due già previste, un’altra nave rifornitrice Lss (da 410 milioni) per affiancare quella appena entrata in linea e, infine, otto aerei da pattugliamento antisommergibili (da 150 milioni l’uno se si opta per l’italiano C27 o il giapponese P-1, molto di più si scegliesse l’americano P-8). Il tutto per una spesa complessiva che supera i 12 miliardi di euro.

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Aeronautica: 8,7 miliardi per altri F35 e Typhoon

L’Aeronautica sta già investendo nel programma internazionale (con Regno Unito, Svezia e Giappone) per il cacciabombardiere invisibile di sesta generazione Tempest: quasi 3,8 miliardi già stanziati per la fase di ricerca e sviluppo. Entrerà in linea tra una decina d’anni. Nel frattempo – oltre ad usare i vecchi Tornado e Amx – entreranno in servizio i 75 F-35 previsti per l’Aeronautica e si aggiorneranno i 94 Typhoon operativi spendendo 4,2 miliardi. Non abbastanza secondo il Capo di Stato maggiore dell’arma azzurra, generale Luca Goretti, che chiede di ripristinare il requisito originario di entrambi i programmi, JSF ed Eurofighter, acquisendo 41 F-35 in più per 8,3 miliardi (19 in versione A da 190 milioni l’uno e 22 in versione B – compresi i 15 per la Marina – da 215 milioni secondo i costi della fase 2b forniti dalla Difesa) e 25 Typhoon in più per 3,6 miliardi (da 145 milioni l’uno secondo i costi delle ultime acquisizioni tedesche). Costo totale per l’Aeronautica (escludendo i 3,2 miliardi per gli F-35B della Marina): 8,7 miliardi di euro”.

La guerra moltiplica la spesa militare dei Paesi Nato

Di grande interesse è il report per Sbilanciamoci di Sofia Basso,  dell’Unità investigativa Greenpeace

“La guerra in Ucraina  – rimarca Basso – ha scatenato un aumento della spesa militare dei Paesi Nato, con il 2,2% di incremento reale tra il 2021 e il 2022 (dato Nato),e l’Italia che sfiora il +7% in termini assoluti (dato Camera dei Deputati). La stragrande maggioranza dei Paesi dell’Alleanza Atlantica, però, non ha ancora raggiunto il controverso obiettivo del 2% del Pil, perché ogni decimo di percentuale in più significa ulteriori miliardi di euro da togliere a sanità, ambiente e spesa sociale. Nonostante questa evidenza, già a fine gennaio il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, ha cominciato a parlare di ‘un nuovo obiettivo per la spesa per la difesa’. 

La decisione finale sarà presa al vertice di luglio a Vilnius, ma intanto è stato introdotto il concetto che il 2% deve essere considerato la soglia minima. ‘E’ ovvio che dobbiamo spendere di più’,ha ribadito il segretario generale a metà febbraio. Una mossa per mettere sotto pressione i Paesi rimasti sotto l’obiettivo Nato. Non a caso, dopo aver comunicato che la spesa militare italiana è ferma all’1,38% del Pil, il ministro della Difesa Guido Crosetto ha lanciato l’allarme: se il nostro Paese non cambierà marcia, ha ammonito mentre illustrava al Parlamento le linee programmatiche del suo dicastero, ‘saremo i Pierini della Nato, gli unici a non raggiungere l’obiettivo del 2%, quando altri parlano già di 3% e 4%.’.

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Peccato che si stia discutendo di un target non vincolante, raggiunto solo da 7 membri su 29. Sono ben altri, invece, i campi nei quali l’Italia (ultima in Europa per spesa per l’istruzione e quarta per incidenza della povertà tra i lavoratori) è effettivamente fanalino di coda nella UE, oltre a essere inadempiente su molti impegni internazionali, tra cui il target Ocse per la spesa nella cooperazione internazionale e stop ai sussidi alle fonti fossili siglato a Glasgow.

Ma questi gap non sembrano preoccupare il governo, né i vertici militari auditi tra fine febbraio e metà di marzo dalle commissioni Difesa di Camera e Senato. Tutti d’accordo nel mettere in conto scenari di guerra totale e investimenti multimiliardari nel settore. Lo ha detto apertamente il Segretario Generale della Difesa, Luciano Portolano, nella sua audizione parlamentare: ‘È importante focalizzarsi sull’opzione più onerosa – il war fighting – poiché è più semplice operare uno scale down dal war fighting verso il peace keeping, piuttosto che fare poi uno scale up, come ci troviamo a fare oggi”. Per il Direttore Nazionale degli Armamenti, insomma, l’Italia dovrebbe spendere ingenti somme per prepararsi alla guerra convenzionale, a prescindere dall’effettiva possibilità di un simile scenario. 

La parola d’ordine non è più “ripianare i sistemi d’arma ceduti all’Ucraina”, ma “colmare i gap capacitivi”. Così, di fronte ai deputati e senatori, il Capo di Stato della Marina Militare, Enrico Credendino, ha snocciolato una impegnativa lista della spesa: : 3-6 fregate antisommergibile in più, due navi antiaeree, due sommergibili, una seconda portaerei, una nave logistica e 13 aeromobili a pilotaggio remoto. Senza entrare nello stesso dettaglio, anche il Capo di Stato maggiore dell’Aeronautica, Luca Goretti ha chiesto di invertire la tendenza del passato, citando come esempio l’esigenza di tornare ai 131 F35 ordinati prima del taglio a 90: in pratica, 41 cacciabombardieri in più. Una richiesta avanzata poco prima di spiegare la rilevanza della partecipazione italiana al “sistema Gcap”, il costosissimo programma congiunto con Regno Unito e Giappone per i jet di nuova generazione, che dovranno sostituire proprio gli F-35. Anche il Capo di Stato dell’Esercito, Pietro Serino, ha illustrato al Parlamento la sua lista dei desideri, soprattutto per quanto riguarda il rinnovo della componente corazzata ed elicotteristica e la capacità di ingaggiare un obiettivo a lunga distanza. 

Quando la Nato mise a punto l’obiettivo del 2% non fornì alcuna spiegazione su come si era arrivati a quel parametro; tra l’altro ballerino, visto che è legato alle fluttuazioni del Pil. Anche oggi l’argomentazione sembra essere una sola: bisogna spendere di più. Punto…”.

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Decrescita nella cooperazione internazionale

“La guerra e la spesa per la difesa. La recente guerra in Ucraina ripropone la necessità del potenziamento delle politiche per la pace, la sicurezza, la cooperazione internazionale. Per la campagna Sbilanciamoci! bisogna potenziare il ruolo di prevenzione dei conflitti e dare la centralità ad organizzazioni internazionali come le Nazioni Unite e l’Osce. È necessario imprimere una accelerazione alle politiche di disarmo nucleare e alla riduzione delle spese per armamenti e al loro commercio, che – anche in Italia – è salito significativamente. Siamo contrari a portare al 2% del Pil la spesa militare e, anzi, sosteniamo tutte le iniziative che vadano verso la riduzione del 20% degli investimenti in sistemi d’arma, proponendo altresì una moratoria su tutte le nuove iniziative programmate. Sosteniamo tutte le iniziative che vadano nella direzione della riconversione dell’industria militare verso produzioni civili e il totale rispetto della legge 185 sul commercio di armamenti verso altri paesi. Vanno rafforzati gli investimenti e gli stanziamenti per il servizio civile e i corpi civili di pace ed è necessaria l’approvazione, con adeguati finanziamenti, della legge per la difesa civile e nonviolenta, tutti strumenti volti a dare sostanza all’idea dell’adempimento degli articoli 52 e 11 della Costituzione nella direzione del rifiuto della guerra e dell’adempimento del dovere di difesa della patria attraverso metodi nonviolenti”. 

Così Rete italiana pace e disarmo (Ripd) in un report del dicembre 2022.

“In questo contesto  – rimarca  ancora Ripd – assistiamo anche nella legge di bilancio del 2023 al permanente sotto-finanziamento del servizio civile universale: gli stanziamenti annuali sono sempre inferiori alle effettive necessità – per il 2023, ma soprattutto per gli anni 2024 e 2025 – mentre i corpi civili di pace non sono mai stati rifinanziati. Si tratta di una situazione particolarmente preoccupante di fronte alla crescente richiesta di ragazze e ragazzi di fare un’esperienza di pace e utile alla comunità, che tutte le forze politiche a parole dicono di voler sostenere”.

Rileviamo altresì che – nonostante i ripetuti impegni assunti in sede internazionale – siamo molto lontani dal raggiungimento dello 0,7% del PIL per gli stanziamenti del bilancio pubblico a favore delle politiche di cooperazione allo sviluppo. Si tratta di un ritardo inaccettabile: le politiche di cooperazione allo sviluppo, oltre a contribuire al superamento delle disuguaglianze su scala globale e a sostenere il diritto allo sviluppo delle popolazioni dei paesi a basso reddito, sono strumenti fondamentali per la lotta alla povertà e per la costruzione di un sistema di sicurezza condivisa su scala globale. Secondo la legge di bilancio i fondi per la cooperazione nel 2023 passano da 1.091 milioni di euro a 1.001 milioni (- 8,2%)”.

Aumento le spese militari. Si tagliano con la scure quelle per la cooperazione internazionale e il servizio civile. Siamo già da tempo in una economia di guerra. E chi se ne avvantaggia sono i soliti noti.

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