Spese militari per 2.240 miliardi di dollari: il mondo prepara la sua distruzione
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Spese militari per 2.240 miliardi di dollari: il mondo prepara la sua distruzione

Un mondo in guerra. Oltre 47 ne sono in corso, anche se la comunità internazionale sembra riconoscerne soltanto una. Un mondo in cui oltre alle diseguaglianze, vecchie e nuove, c’è solo una cosa che cresce: la spesa militare.

Spese militari per 2.240 miliardi di dollari: il mondo prepara la sua distruzione
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

24 Aprile 2023 - 14.49


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Un mondo in guerra. Oltre 47 ne sono in corso, anche se la comunità internazionale sembra riconoscerne soltanto una. Un mondo in cui oltre alle diseguaglianze, vecchie e nuove, c’è solo una cosa che cresce: la spesa militare.

La denuncia di Ripd

A darne conto, in un report dettagliato, è Rete italiana pace e disarmo (Ripd).

La spesa militare mondiale ha raggiunto nel 2022 la somma record di 2.240 miliardi di dollari complessivi, che corrisponde ad una crescita del 3.7% in termini reali rispetto all’anno precedente. Lo evidenziano le stime diffuse dal SIPRI di Stoccolma. In cifre si tratta di un aumento di ben 127 miliardi in un anno, che supera di gran lunga i 100 miliardi annui che sarebbero necessari a mitigare gli effetti negativi del cambiamento climatico ma che gli Stati del mondo non riescono a destinare a tale scopo, per scelte politiche miopi. 
Secondo i dati appena diffusi la spesa militare statunitense è aumentata dello 0,7%, raggiungendo gli 877 miliardi di dollari: gli Stati Uniti restano di gran lunga al vertice della classifica, con il 39% della spesa militare globale (3 volte maggiore del Paese al secondo posto, la Cina). Pechino ha aumentato la propria spesa militare per il 28° anno consecutivo (+4,2% a 292 miliardi di dollari) raggiungendo il 13% della quota globale. A causa del conflitto sul territorio ucraino iniziato con l’invasione decisa da Putin si stima che la spesa militare della Russia sia cresciuta del 9,2% nell’ultimo anno, raggiungendo gli 86,4 miliardi di dollari (terzo Stato al mondo). L’Ucraina è entrata per la prima volta nella top 15 (all’11° posto) a causa di un enorme aumento del 640% della propria spesa militare. Il SIPRI segnala una riduzione della spesa militare italiana che invece non è riscontrabile nei dati di dettaglio sempre in crescita elaborati dall’Osservatorio Mil€x. (e nemmeno da quelli Nato, per i quali vi è una sostanziale stasi). Nel 2022 la spesa militare europea è aumentata del 13%, il più grande incremento annuale nella regione nel periodo successivo alla guerra fredda. La spesa totale di tutti i 30 membri della Nato ammonta a 1.232 miliardi di dollari nel 2022, pari al 55% della spesa complessiva.
I dati dell’Istituto di ricerca svedese confermano le preoccupazioni evidenziate dalla Dichiarazione congiunta della Campagna internazionale contro le spese militari, focalizzata soprattutto sulla minaccia esistenziale derivante dalla crisi climatica. Secondo le Organizzazioni partecipanti (tra cui Rete Italiana Pace e Disarmo) l’aumento continuo delle spese militari “è incoerente con gli sforzi per raggiungere gli obiettivi essenziali di emissioni e aggraverà, non arginerà, l’emergenza climatica. La guerra e i conflitti armati non portano solo morte e distruzione, ma anche devastazione dell’ambiente e distruzione del clima”. Nonostante i Governi continuino a ripetere che sono spese utili per la difesa “alla fine ci renderanno indifesi di fronte alla minaccia esistenziale rappresentata dalla crisi climatica”. Dopo aver elencato i motivi per cui le strutture militari mondiali contribuiscono alla crisi climatica la Campagna GCOMS evidenzia come “La leadership politica globale si è concentrata su scelte aggressive e militarizzate” che non fanno altro che alimentare “tensioni e paure invece di coltivare relazioni internazionali basate sulla fiducia reciproca, sulla diplomazia e sulla cooperazione – tre componenti essenziali per affrontare la natura globale della minaccia climatica”. Di conseguenza “i fondi che potrebbero essere utilizzati per mitigare o invertire il dissesto climatico e per promuovere la trasformazione pacifica dei conflitti, il disarmo e le iniziative di giustizia globale, vengono invece spesi per militarizzare un mondo già troppo militarizzato” come i dati SIPRI appena diffusi dimostrano.
Per tali motivi la Campagna GCOMS chiede con urgenza ai Governi di: cambiare rotta e concentrarsi su tagli rapidi e profondi alle spese militari, che alimentano la corsa agli armamenti e la guerra. Smilitarizzare le politiche pubbliche, comprese quelle destinate ad affrontare la crisi climatica. Attuare politiche incentrate sull’umanità e sulla sicurezza comune, che proteggano le persone e il pianeta e non l’agenda del profitto delle industrie delle armi e dei combustibili fossili. Creare strutture di governance e alleanze basate sulla fiducia e la comprensione reciproca, sulla cooperazione e sulla vera diplomazia, in cui i conflitti vengono risolti attraverso il dialogo e non con la guerra.

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L’Italia riarmista

A scriverne, con la consueta accuratezza analitica e documentale, è Enrico Piovesana su Mil€x. Annota Piovesana: “Anche per il prossimo anno continua la tendenza di decisa crescita per la spesa militare italiana. Lo evidenziano le stime preliminari dell’Osservatorio Mil€x derivanti dall’elaborazione dei dati contenuti nelle Tabelle dei bilanci previsionali del Ministero della Difesa e degli altri dicasteri che contribuiscono alla spesa militare italiana (ex Mise e Mef) allegate alla Legge di Bilancio 2023 inviata dal Governo al Parlamento: il nuovo incremento complessivo è di oltre 800 milioni di euro.

Tenendo conto anche della spesa pensionistica militare netta a carico dell’Inps, in aggiunta alle dotazioni di fondi dei Ministeri secondo la metodologia adottata da Mil€x, si passa infatti dai 25,7 miliardi previsionali del 2022 ai 26,5 miliardi stimati per il prossimo anno. A trainare l’aumento è il bilancio ordinario della Difesa (comprendente anche le spese non militari per i Carabinieri in funzione di ordine pubblico) che passa da 25,9 a 27,7 miliardi in virtù dei maggiori costi del personale di Esercito, Marina e Aeronautica (oltre 600 milioni in più) e delle maggiori risorse dirette destinate all’acquisto di nuovi armamenti (quasi 700 milioni in più). Circa cento milioni di euro in più sono previsti per le amministrazioni e i comandi centrali, nonché per indennità varie come l’ausiliaria. Va sottolineato come l’aumento complessivo registrato nel bilancio della Difesa sia derivante per circa un miliardo da fondi previsti “a legislazione vigente” (e cioè derivanti dalle scelte degli anni precedenti, in particolare quelle del Governo Draghi) e per i restanti 700 milioni circa da decisioni direttamente ascrivibili alla manovra di bilancio del Governo Meloni.

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Altra voce ormai fondamentale della spesa militare (e da anni molto rilevante sia dal punto di vista delle cifre che della valenza operativa e strutturale) è quella dei costi per le missioni militari all’estero, che vengono finanziate da un fondo assegnato al bilancio del Mef e poi trasferito alla Difesa dopo passaggio parlamentare. Nel 2023 la dotazione sarà di oltre 1,5 miliardi di euro (in crescita di 150 milioni rispetto all’anno precedente) di cui il 90% (cioè quasi 1,4 miliardi) possono essere ascritti a funzioni militari dirette. Rimangono sugli alti livelli già registrati nel 2022 gli investimenti per nuovi armamenti: l’aumento già evidenziato nell’ambito del bilancio del Ministero della Difesa viene infatti compensato da una quasi equivalente diminuzione delle risorse indirette provenienti dall’ex Mise (oggi Ministero delle Imprese e del Made in Italy) con una conseguente conferma del budget annuale complessivo destinato al riarmo nazionale a oltre 8 miliardi di euro”.

La presa di posizione della campagna GCCOMS in occasione della 12ma edizione delle Giornate globali di azione sulle spese militari (GDAMS), in programma dal 13 al 9 maggio 2023.

“Le Forze Armate mondiali sono responsabili di circa il cinque per cento delle emissioni globali di gas a effetto serra, ma la loro impronta di carbonio, così come i vari altri modi in cui contribuiscono al collasso climatico, sono raramente esaminati. 

I Governi del mondo spendono attualmente più di 2.000 miliardi di dollari per la militarizzazione, ma l’espansione militare èincoerente con gli sforzi per raggiungere gli obiettivi essenziali di emissioni e aggraverà, non arginerà, l’emergenza climatica. La guerra e i conflitti armati non portano solo morte e distruzione, ma anche devastazione dell’ambiente e distruzione del clima. Anche se i Governi possono sostenere che queste spese per la “difesa” siano necessarie, alla fine ci renderanno indifesi di fronte alla minaccia esistenziale rappresentata dalla crisi climatica.

Il riscaldamento globale rappresenta un rischio importante e duraturo per i cicli climatici del nostro pianeta e i disastri meteorologici che ne derivano spesso esacerbano le ingiustizie esistenti – e questo può portare a conflitti per l’accesso alla terra e alle risorse di base, oltre che a sfollamenti forzati. Affrontare il cambiamento climatico significa affrontare altri problemi strutturali come la povertà, gli shock economici e l’indebolimento delle istituzioni. Ciò è particolarmente vero nelle regioni che hanno contribuito meno alla crisi climatica, ma che sono maggiormente colpite dalle sue devastanti conseguenze.

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Oltre alla cosiddetta “impronta di carbonio”, le strutture militari mondiali contribuiscono alla crisi climatica anche in altri modi fondamentali: in particolare,le spese militari sottraggono risorse alle spese ambientali e sociali essenziali, tra cui le iniziative per rallentare la velocità del cambiamento climatico, affrontare le perdite e i danni e rispondere alle emergenze meteorologiche. Le strutture militari, sotto forma di eserciti nazionali, forze di polizia militarizzate o compagnie di sicurezza private, sono spesso impiegate per proteggere l’industria dei combustibili fossili. Questo settore è uno dei maggiori produttori di gas serra e la sua protezione militare lo rende complice di queste emissioni Sebbene sia urgente proteggere i nostri ecosistemi dalla distruzione dell’ambiente, troppo spesso quando gli attivisti ambientali prendono provvedimenti per salvaguardare le loro terre, i loro fiumi e i loro mari, vengono violentemente repressi da strutture di sicurezza militarizzate, tra cui la polizia, le compagnie di sicurezza private e, a volte, l’esercito. Il nesso tra combustibili fossili ed estrattivismo, conflitti armati e guerre è ben documentato, dal periodo coloniale alle guerre di oggi. Sempre più persone sono costrette ad abbandonare le proprie case a causa di eventi meteorologici estremi provocati dal cambiamento climatico. Così come l’apparato di sicurezza delle frontiere attualmente contiene le persone e impedisce loro di raggiungere la sicurezza o di chiedere asilo, l’esercito sarà probabilmente ulteriormente dispiegato per tenere fuori da certi confini coloro che fuggono dai disastri climatici. Inoltre l’industria degli armamenti, che per molti versi è la spina dorsale del militarismo, investe molto tempo e denaro in attività di lobbying aziendale per promuovere la propria agenda orientata al profitto. Negli ultimi anni ha sfruttato la crisi climatica come un’opportunità per posizionarsi come attore chiave nella progettazione di armi “più verdi” e ha fatto pressioni per ottenere maggiori finanziamenti da destinare a questo scopo. Questo approccio prolunga e approfondisce la logica che guida il militarismo e la guerra”.

La leadership politica globale si è concentrata su scelte aggressive guidate da “tintinnare di sciabole”, alimentando tensioni e paure invece di coltivare relazioni internazionali basate sulla fiducia reciproca, sulla diplomazia e sulla cooperazione – tre componenti essenziali per affrontare la natura globale della minaccia climatica. I fondi che potrebbero essere utilizzati per mitigare o invertire il dissesto climatico e per promuovere la trasformazione pacifica dei conflitti, il disarmo e le iniziative di giustizia globale, vengono invece spesi per militarizzare un mondo già troppo militarizzato”.

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