Migranti: l'illusione del blocco delle partenze e il vuoto colpevole dell'accoglienza
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Migranti: l'illusione del blocco delle partenze e il vuoto colpevole dell'accoglienza

La strage nel mare avvenuta domenica scorsa a pochi metri dalle coste calabresi ha contribuito a centrare il dibattito sulle partenze e sugli arrivi.

Migranti: l'illusione del blocco delle partenze e il vuoto colpevole dell'accoglienza
Naufragio a Cutro
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

4 Marzo 2023 - 17.30


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L’illusione del “blocco delle partenze” maschera il vuoto dell’accoglienza

E’ il titolo di un documentato, l’ennesimo, report di Openpolis. 

“All’inizio dell’anno il cosiddetto “decreto anti-Ong” ha polarizzato ancora una volta l’attenzione dell’opinione pubblica sul fenomeno migratorio, in particolare sulla rotta del Mediterraneo centrale. 

La strage nel mare avvenuta domenica scorsa a pochi metri dalle coste calabresi ha inoltre contribuito a centrare il dibattito sulle partenze e sugli arrivi. In questo senso si sono inserite anche le parole del ministro dell’interno Matteo Piantedosi. Affermazioni che hanno scatenato un vespaio di polemiche.

Nelle prime settimane di quest’anno sono sbarcate sulle coste italiane meno di 7mila persone. 

6.834 persone sbarcate sulle coste italiane dal 1 gennaio al 15 febbraio 2023.

Un dato in aumento rispetto allo stesso periodo del 2022 (quando furono poco più di 4mila gli arrivi) ma comunque lontano dai primi due mesi del 2017, quando entrarono in Italia via mare oltre 13mila persone.

Siamo di fronte a cifre che descrivono flussi di persone in cerca di una vita migliore in Europa. Numeri certamente non sufficienti per raccontare appieno storie spesso difficili ma di chi comunque ce l’ha fatta, rispetto alle migliaia di naufraghi che solo lo scorso anno hanno trovato la morte lungo le rotte migratorie.

Un elemento che raramente non viene considerato nel confuso e spesso poco informato dibattito pubblico sulle migrazioni riguarda un dato di fatto che dovrebbe rappresentare sempre una premessa imprescindibile: il numero di arrivi in Italia e in Europa è legato soprattutto a fattori esogeni come guerre, persecuzioni, violenze, cambiamenti climatici e catastrofi naturali. Su questo le politiche dei singoli paesi europei, soprattutto se di breve respiro, possono incidere solo marginalmente.

Più che sul “blocco delle partenze” la politica dovrebbe incidere sulla qualità dell’accoglienza

Ciò su cui si può davvero incidere attraverso politiche pubbliche nazionali è il modo con cui le persone arrivate si integrano e vengono incluse nella realtà sociale, civile, educativa e lavorativa del nostro paese.

Di questo parliamo ormai da anni attraverso il progetto Centri d’Italia, realizzato in partnership con ActionAid Italia. E questi aspetti abbiamo analizzato anche con il dossier lanciato lo scorso 16 febbraio, intitolato non a caso “Il vuoto dell’accoglienza“.

Il vuoto dell’accoglienza

Che i dati raccontino gli arrivi dei primi mesi dell’anno, o il sistema dell’accoglienza in Italia nel 2021 – anno oggetto dell’analisi de “Il vuoto dell’accoglienza” – i fatti confermano quanto affermiamo da anni: il fenomeno migratorio va considerato ordinario e strutturale, e in quanto tale deve essere governato. Vale a dire che il sistema per l’accoglienza dei migranti che arrivano nel nostro paese, in cerca di asilo o rifugio, deve essere anch’esso ordinario. Anche in questa sesta edizione del rapporto annuale sul sistema, invece, è tristemente evidente come l’unico approccio possibile concepito dai decisori pubblici sia quello votato all’emergenza.

Nel 2021, infatti, quasi due terzi dei posti nelle strutture di accoglienza del paese erano in centri di accoglienza straordinaria (Cas).

59.466 i posti nei Cas al 31 dicembre 2021, pari al 60,88% dei 97.670 posti complessivamente disponibili.

Il sistema straordinario è da anni anteposto a quello ordinario, il sistema di accoglienza integrazione (Sai). Quest’ultimo, infatti, tra il 2018 e il 2021 ha perso addirittura oltre mille posti, nonostante un forte calo degli arrivi e una conseguente perdita di più di 70mila posti nei centri del paese.

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Il sistema ordinario dovrebbe rappresentare la prassi. Solo una volta saturo ci si dovrebbe rivolgere ai centri straordinari.

Si sarebbe insomma potuto approfittare della drastica diminuzione dei numeri nell’accoglienza dei richiedenti asilo e dei rifugiati per rafforzare definitivamente il Sai, garantendo così maggiore inclusione sociale per gli ospiti nei centri, più integrazione con le comunità ospitanti e un’accoglienza più capillare sul territorio.

Invece non solo questa strada non è stata affatto battuta, ma i Cas nel tempo sono diventati mediamente sempre più grandi. Non è un caso, infatti, che i centri di piccole dimensioni tra 2018 e 2021 abbiano rappresentato la categoria di centro ad aver perso più posti: ben 23.917.

Questo ha avuto ricadute anche sulla distribuzione dell’accoglienza di richiedenti asilo e rifugiati sul territorio. Meno di un comune su 4 (precisamente il 23,2%) nel 2021 era interessato dall’insediamento di un centro, sia esso di competenza prefettizia (Cas o centri di prima accoglienza) o afferente al sistema di titolarità pubblica (Sai).

La chiusura di migliaia di centri ha portato a una maggiore concentrazione di migranti soprattutto in alcune grandi città metropolitane”.

Così Openpolis.

Una denuncia da rilanciare

Annota  Giulia Capitani,Migration Policy Advisor di Oxfam Italia

“Sono passati alcuni giorni dal naufragio avvenuto di fronte alle coste di Steccato di Cutro, e per molti cittadini e cittadine è difficile calmare la mente. Può aiutare provare a mettere in fila alcune considerazioni.

Da una parte ci sono i fatti, sui quali si è appena aperta un’inchiesta. Dalle prime ricostruzioni giornalistiche, una segnalazione da parte di un aereo di Frontex viene lanciata nella notte tra venerdì e sabato. La Guardia Costiera non interviene e dice di non essere informata, sarà più tardi smentita dalla stessa agenzia europea. Partono due motovedette della Guardia di Finanza, perché chi ha ricevuto la segnalazione ha derubricato l’operazione, come spesso avviene da alcuni anni a questa parte, da ricerca e soccorso (SAR) a operazione di controllo dell’immigrazione clandestina.

La Guardia di Finanza poi torna indietro perché le condizioni del mare sono proibitive. Ma se sono proibitive per loro, tanto più lo saranno per decine di persone stipate su una vecchia barca: dunque, perché non è un evento SAR? Risultato68 persone affogate (69 dopo l’ultimo ritrovamento, ndr) a pochi metri da una spiaggia,tra cui 15 bambini (16, ndr) , 16 persone ancora ricoverate in ospedale in gravi condizioni, un numero che resterà per sempre imprecisato di dispersi, e poi scarpe, biberon e vestiti zuppi in mezzo ai rottami della barca naufragata. Dell’ennesima barca naufragata.

Accanto ai fatti, ci sono le dichiarazioni che si stanno susseguendo in diverse sedi. Preme qui analizzare brevemente quelle del ministro dell’Interno Piantedosi,rilasciate sia in conferenza stampa che, più formalmente, durante l’intervento di fronte alla Commissione Affari Costituzionali della Camera tenutosi il primo marzo. Le sue parole, tra omissioni e distorsioni, ci ricordano che siamo di fronte auna questione politica, civica e moraledi estremo rilievo.

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Precisiamo che i governi precedenti, di qualunque colore, non sono stati da meglio, tutti perseguendo una scellerata politica di esternalizzazione. Ma Matteo Piantedosi sarà ricordato per aver incolpato persone affogate di essere affogate: se fossero rimaste al sicuro nei campi profughi appena terremotati della Turchia – dove ormai oltre l’80% dei cittadini residenti non le vuole più vedere e dove per legge non possono richiedere asilo – non sarebbero morte. Queste parole, nella loro sommessa ed efferata violenza, suonano grottesche, ma è possibile per chiunque lo desideri riascoltarle. Non sono state né smentite né ritrattate.

Il testo della sua relazione davanti alla Commissione è contraddittorio e pieno di ipocrisie. “Combattere gli scafisti e bloccare le partenze”, dice. Affermare che queste morti sono responsabilità degli scafisti è come affermare che la responsabilità del traffico mondiale di stupefacenti ricade sui piccoli spacciatori nelle periferie delle nostre città. È ormai noto, peraltro, che la maggior parte degli scafisti non sono affatto trafficanti, ma migranti come gli altri cui viene affidata la guida del natante sotto minaccia o in cambio della possibilità di effettuare il viaggio gratuitamente. E che il traffico di esseri umani, come ormai incontrovertibilmente dimostrato da diverse agenzie internazionali e più volte denunciato anche da Oxfam, prospera proprio grazie agli accordi che il nostro paese e l’Unione Europea hanno stipulato con i paesi di transito come la Turchia, la Libia, la Tunisiainondandoli di soldi pubblici che finanziano reticolati, centri di detenzione, apparati paramilitari e, in diversi casi, vari gruppi criminali.

Per quanto riguarda la “soluzione” proposta, bloccare le partenze, appare di nuovo necessario ribadire che non si può né si deve. L’idea di poter bloccare i flussi di mobilità internazionale è una risibile chimera che serve solo a rassicurare elettori confusi. Perché al di là della tossica contrapposizione tra persone che hanno diritto a fuggire e quelle che non lo hanno, esiste una cosa che si chiama squilibrio demografico, ingigantito dalle dinamiche della disuguaglianza globale, di fronte alla quale all’Europa non serviranno migliaia di chilometri di filo spinato, fallimentari politiche di rimpatrio e disumani centri di detenzione ai propri confini esterni. Quello di cui abbiamo bisogno è una classe politica all’altezza della sfida epocale che ci attende, capace non solo di contenerne i rischi, ma anche di coglierne tutte le opportunità. Che abbia il coraggio di dire che non solo queste persone non possono essere bloccate, perché sonorichiedenti asilo, ma che per loro c’è posto.

Sì, in Italia, in Europa, per queste persone c’è posto. I dati dicono che la crisi demografica in Europa, e in particolare nel nostro Paese, sta raggiungendo il punto di non ritorno. Nel giro di 25 anni, oltre il 30% della popolazione europea sarà in età pensionabile. Cioè smetterà di produrre reddito e contributi fiscali, e comincerà a consumare welfare in maniera massiccia e costante. È evidente che i flussi migratori rappresentano una grande opportunità in uno scenario simile. E invece il nostro ministro cita orgoglioso i risultati del Consiglio Ue del 9 febbraio: investimenti in “infrastrutture di protezione” (muri), mezzi di sorveglianza e attività di controllo dei confini esterni, aumento dei rimpatri, accordi (onerosi) con i paesi terzi per la prevenzione delle partenze.

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Il ministro conclude poi citando la necessità di canali di ingresso legali e sicuri. Ma anche da questo punto di vista, le sue dichiarazioni stridono con la realtà. La rivendicazione di 617 persone arrivate tramite corridoi umanitari, come se fosse un numero di cui andare orgogliosi, tralascia un particolare, e cioè che tali iniziative sono totalmente a carico di poche associazioni private, e che lo Stato non ci investe un solo euro.

In tutto questo il Decreto Flussi – ultimamente così spesso sbandierato con i giornalisti con lo scopo di dimostrare che è perfettamente possibile entrare legalmente in Italia e che quindi chi non lo fa è un criminale – è in realtà uno strumento totalmente inadeguato per rispondere a queste sfide, come ben sanno tutti i datori di lavoro che ogni anno cercano di assumere in regola un cittadino straniero.

I numeri sono gravemente insufficienti rispetto sia alle esigenze del mondo produttivo che dei flussi di persone in entrata. Soprattutto è limitato a pochissimi settori e prevede che il datore di lavoro italiano conosca personalmente il potenziale lavoratore ancora residente all’estero, facendo una richiesta di visto personale.Com’è possibile? Non è possibile, infatti. Semplicemente non succede, e la gente continua a attraversare illegalmente le frontiere sperando di potersi regolarizzare successivamente.

Significativo poi che la relazione del ministro, tra le possibilità di ingresso legale, non citi la richiesta di asilo, come se il meccanismo della protezione internazionale, nato con la Convenzione di Ginevra del 1951, non esistesse più.

Poi, quando le voci tacciono, restano le immagini, quelle riprese da un sopravvissuto prima del naufragio: persone normali, belle, giovani, bambini sorridenti, nella stiva di una nave che doveva portarli via dalla guerra in Siria, dai Talebani in Afghanistan, dai campi profughisenza diritti in Turchia colpiti dal terremoto, e che invece li ha depositati dentro 68 bare nel Palasport di un piccolo paese calabro.

Sono loro lasignificativa risposta termica” che le termocamere dell’aereo di Frontex hanno registrato venerdì notte, e la mostruosità di questo linguaggio ci fa capire molto delle sfide che abbiamo davanti. È a loro che il ministro Piantedosi ha detto che “invece che mettersi in mare avrebbero dovuto essere responsabili, e chiedersi che cosa avrebbero potuto fare per il loro Paese”.

Noi sappiamo quello che dobbiamo fare per il nostro Paese, come Oxfam e come società civile organizzata:lottare per la difesa del diritto di asilo in quanto fondamentale pilastro della democrazia, per la reputazione di chi lo protegge e lo mette in pratica, per ottenere una missione europea di soccorso in mare; il superamento del sistema Dublino; la previsione di canali legali sicuri ed efficaci.

Per tutto quello che possa ridare dignità e futuro a tutti noi”.

Dignità. Che s’invera, è la nostra  chiosa al più che condivisibile argomentare dell’esponente di Oxfam, anche nella ricerca di giustizia e verità per le 69 vittime accertate della strage di Cutro. Una strage di Stato.

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