Binetti (Udc) ammette: "Un po' di razzismo ce lo portiamo tutti dentro"
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Binetti (Udc) ammette: "Un po' di razzismo ce lo portiamo tutti dentro"

La senatrice: "Lo portiamo tutti dentro e trapela negli sguardi, nei gesti nella paura. Ma la sua percezione si ingigantisce perché già nel cuore dell'altro"

Binetti (Udc)
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6 Giugno 2021 - 17.51


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La morte di Seid Visin, un ragazzo di appena 20 anni ch si è tolto la vita, è un dramma che ha colpito d’improvviso l’Italia ed il mondo del calcio lasciando tutti senza fiato.
“Quanto sia difficile entrare nel vissuto di una persona, nelle sofferenze che sperimenta, nelle umiliazioni che crede di subire e che molto spesso subisce: sono gli interrogativi che si pongono ad ognuno di noi con il caso di Seid. Mentre lui già due anni fa denunciava un razzismo strisciante e penetrante, che lo ha condotto al suicidio, il padre tende a negare che la causa del suo drammatico gesto possa essere stato il razzismo. Per il padre in primo piano c’è la fragilità del ragazzo, la sua sensibilità, i suoi successi e le sue difficoltà. Due visioni diverse, in due persone separate da un gap generazionale e da una diversità culturale che non si può negare, in un tempo in cui tutti siamo molto più vulnerabili davanti ad ogni forma di discriminazione”. Lo ha detto Paola Binetti, senatrice Udc.
Poi, ha proseguito: “Seid, come è noto, era una ragazzo etiope adottato da una famiglia italiana, che ha assecondato in tutti i modi la sua passione per il calcio: non a caso ha giocato nelle squadre giovanili del Benevento e del Milan, dove era considerato un talento assoluto, ma poi ha preferito lo studio. Una scelta sorprendente in un adolescente, comprensibile però se si tiene conto della sua volontà di schierarsi sempre dalla parte dei diritti umani, soprattutto di coloro che sono più deboli e hanno bisogno di aiuto per rivendicare ciò che comunque gli appartiene per diritto. Non a caso aveva scelto Giurisprudenza come facoltà in cui approfondire idee e valori di cui era profondamente convinto. Suo padre, il padre adottivo, ha interpretato come forma di fragilità, quello che Said ha vissuto come espressione di razzismo nei suoi confronti e che ha descritto in modo incisivo ed eloquente nel suo diario”.
“E’ nel cuore di ognuno di noi che prende forma quel sentirsi disorientati rispetto al contento in cui si vive; diversi nonostante tutto. Said – ha aggiunto Binetti – aveva davvero tanti e tanti talenti, sportivi e intellettuali, umani e sociali. Un ragazzo in gamba, arrivato in Italia a sei anni e pienamente inserito, almeno apparentemente nel mondo del calcio, lo sport nazionale, e dello studio del diritto, in un Paese fondato sull’esperienza stessa del diritto romano. Tanti amici, tanto affetto, una schietta ammirazione perciò che sapeva fare; eppure si sentiva solo, non pienamente accettato, non del tutto inserito. E’ il mistero della morte a 20 anni, quando sembra che tutti i sogni si possano realizzare, quando è possibile immaginare di poter piegare gli eventi alla propria aspettativa di vita”.
Per Binetti “noi tutti possiamo chiedere perdono a Seid, per averne infranto i sogni e le speranze, per non averle sapute sostenere nei tempi e nei modi in cui lui avrebbe voluto. Eppure lui ha avuto più di altri ragazzi, in tutti i sensi. Ma non è stato abbastanza. Ed è questa la più difficile delle battaglie da combattere, quando un po’ di razzismo ce lo portiamo tutti dentro e traela negli sguardi, nei gesti nella paura. Ma la sua percezione si ingigantisce perchè già nel cuore dell’altro, di Seid stesso c’è la percezione di un razzismo violento e pericoloso, che non nasce da quel rapporto, da quella situazione concreta, ma vive atavicamente dentro di noi, come paura dell’altro, dello sconosciuto, di qualsiasi colore o nazionalità sia”.

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