Caterina Varzi Brass: "Sono stata molestata in una stanza del Tribunale di Catanzaro”
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Caterina Varzi Brass: "Sono stata molestata in una stanza del Tribunale di Catanzaro”

L'intervista di Antonello Sette a Caterina Varzi Brass, moglie del regista Tinto Brass, sul caso Palamara e le ultime rivelazioni

Caterina Varzi Brass
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8 Febbraio 2021 - 17.24


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di Antonello Sette 

Caterina Varzi, nelle polemiche sul Sistema, svelato dall’ex Presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati Luca Palamara, si è inserita la vicenda di Alessia Sinatra. La Pm fiorentina, in una telefonata intercettata con Palamara, fa riferimento alle molestie che avrebbe subito dal procuratore capo di Firenze Giuseppe Creazzo, auspicandone la “caduta” professionale. Ora rischiano una sanzione disciplinare tutti e due. Presunto carnefice e presunta vittima…
E’ l’ennesimo scandalo interno alla vicenda Palamara – osserva la moglie di Tinto Brass rispondendo a all’Agenzia SprayNews – fra verità lapalissiane e tesi ancora da dimostrare. La versione, che Cristiana Sinatra fornisce alla stampa, a proposito dei fatti che la coinvolgono, a me sembra piuttosto verosimile. Nel suo sfogo, durante la telefonata intercettata, contro il Procuratore di Firenze Creazzo, io leggo la rabbia di una vittima contro l’aggressore. Mi sembra comprensibile. Inoltre, gli insulti della Sinatra, rivolti   a Creazzo, non mi sembrano parte di un progetto volto a incidere sulla nomina del nuovo Procuratore a Roma. E in ogni caso, sarà il CSM a decidere  se il suo sfogo costituisca una condotta scorretta e se, in tal caso, sia da considerare giustificato dagli aspetti personali coinvolti.
Quello che più mi sconcerta sono, però, le affermazioni di Palamara, contenute ne Il sistema di Alessandro Sallusti. L’ex consigliere del Csm va molto più in là, confermando che le molestie erano un comportamento diffuso all’interno della magistratura. Palamara mi sembra esplicito nel dire che spesso i colleghi e le colleghe gli hanno raccontato di molestie e che lui non si è mai sentito di denunciarle per tutelare la categoria, limitandosi a dare, di volta in volta, consigli e suggerimenti di buon senso.    
Per me non è una novità. I retroscena che emergono non mi stupiscono.  Sono cose che si sapevano. Sono cose che ho vissuto sulla mia pelle. Io sono stata vittima di molestie da parte di un giudice del tribunale di Catanzaro. Erano gli anni ’90. Ricordo tutto perfettamente. Ero andata nel suo ufficio, dopo aver preso un regolare appuntamento. La conversazione si svolse in modo molto garbato. L’oggetto era una questione di diritto, che stavo approfondendo per il mio lavoro di ricerca sulla persona offesa dal reato. Non avrei mai immaginato quello che sarebbe accaduto poco dopo. Quando finimmo la conversazione, mi accompagnò alla porta ma, invece di aprirla, la chiuse a chiave. Mi spinse verso il muro per tentare di baciarmi e arrivò a mettermi le mani sotto la gonna. O quantomeno a tentare di farlo, visto che io lo respinsi con molta violenza. Quando gli chiesi che cosa lo aveva indotto a quel comportamento, dopo aver blaterato qualcosa su di me, mi ricordò che qualche giorno prima, al bar, mentre mi offriva un caffè, io gli avevo detto “che bella cravatta che hai”. “Mio dio”, pensai “se svolge con lo stesso intuito le indagini…”. Vabbè, erano altri tempi. Odio sentirmi vittima. Lo considerai un uomo miserevole e, sentendomi forte della mia reazione, decisi di non denunciarlo. Non sono rimasta particolarmente segnata da quell’episodio e l’ho sempre raccontato come una sorta di barzelletta, cogliendone gli aspetti più grotteschi. Ciò non significa che non dia importanza alla gravità di comportamenti, che possono risultare per altre donne molto più traumatici. La reazione è sempre molto soggettiva. 
La vicenda della della Pm fiorentina evoca alcuni recentissimi episodi incresciosi, di cui sono state vittime donne della politica. Due parlamentari di Forza Italia, Renata Polverini e Mariarosaria Rossi, sono state aggredite sui social a colpi di gossip sessisti e irriferibili insulti a sfondo sessuale, subito dopo aver scelto di lasciare il loro partito. Anche in questi casi nessuna solidarietà spontanea né maschile né femminile. Era già accaduto con la Sindaca di Roma Virginia Raggi, esposta alla pubblica gogna sessista. Come spiega questa sorta di femminismo a senso unico, che abbandona al loro destino le donne con cui non si è in sintonia ideologica e umana?
Questo silenzio non me lo spiego nemmeno io, soprattutto in un momento in cui interpretare questo genere di vicende in una chiave immediatamente sessista è ormai diventato un automatismo. Non sarà che l’ideologia influenza anche la quantità del femminile presente in ognuna di noi?
Io non sono femminista, o meglio, non lo sono nella configurazione che ha assunto il femminismo dell’ultima ora.  Provo nostalgia per quelle generazioni di donne, che hanno vinto tante battaglie, ma resto distante da un atteggiamento che sembra ormai, soltanto, una posa vuota, perché non solo non mette più in discussione in profondità il sistema, ma, paradossalmente, lo rafforza invertendo le dinamiche di potere, senza metterne in discussione l’essenza violenta. Pensano che cavillando su questioni come la scelta delle desinenze grammaticali e degli articoli corretti da utilizzare, si possa venire a capo di un discorso così delicato e così intriso di complicazioni, come quello del femminismo. Avere a cuore la battaglia delle donne implica una buona dose di coraggio: quello non di piacere in senso autoreferenziale , ma di rappresentare una minaccia o, per meglio dire, di rivolgere un’autentica critica al sistema vigente. Il femminismo ha perso la sua carica rivoluzionaria e la capacità di legare la lotta per l’emancipazione femminile a una più ampia battaglia per il rovesciamento dello status quo. Rimane una sorta di sovrastruttura che in realtà accetta gli stessi valori di quel sistema patriarcale, che creano l’ingiustizia e le disuguaglianze. Il vero problema è un individualismo esasperato, una politica identitaria indisponibile a condividere visioni del mondo e storie differenti. Si fa leva sull’identità piuttosto che sulla condivisione di obiettivi.
Esaminaniamo la vicenda nel suo aspetto più generale. Palamara denuncia un Sistema generalizzato di alleanze, intrighi e congiure, che arrivava a scegliere le sue vittime e a influenzare persino il corso delle indagini. Palamara dice anche che tutto il potere giudiziario era nelle mani dei pubblici ministeri che, con la complicità dei giornalisti amici, emettevano le sentenze prima ancora dei processi, sbattendo “il colpevole” in prima pagina…
Le denunce di Palamara andrebbero approfondite per restituirci un racconto onesto di una storia, che parte da Tangentopoli. Già allora, mentre il fenomeno era in corso, risultava fin troppo evidente il ruolo sovversivo, e politico, esercitato dalla magistratura di sinistra per scompaginare l’assetto politico del Paese. Sintomi non trascurabili di una deriva individualistica, incline al delirio di onnipotenza, al protagonismo, all’ambizione carrieristica erano e sono ancora presenti tra i magistrati in modo palese. Una deriva che, con la complicità del sistema mediatico, ha incrementato la perversa e esplosiva miscela tra populismo politico e populismo giudiziario. 

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