di Bruno Concas
La morte di Willy Duarte è una ferita insanabile per il nostro paese e penso che abbia colpito nel profondo ognuno di noi.
Resto però sconvolto dalla totale incapacità di narrazione di questo episodio da parte dei media e di analisi da parte della maggioranza dell’opinione pubblica.
Una delle reazioni principali è quella secondo cui andrebbero vietate certe discipline “violente” come l’MMA. Allora capisco che siamo proprio fuori strada. Se neanche di fronte a una tragedia immane come questa riusciamo a tirare fuori un’analisi un pochino più profonda è un problema serio.
Perché un’analisi profonda non vedrebbe in un’arte marziale il problema ma nella violenza sistemica, fisica e verbale, che ogni giorno fa sempre più parte del nostro vivere civile.
L’incapacità di discutere sempre più evidente, sostituita dall’aggressione, dalla delegittimazione della persona e non delle sue idee, l’idea che chiunque non sia d’accordo con noi sia un nemico da abbattere e da debellare completamente. Dovremmo occuparci di un razzismo sempre più bieco e presente in ogni fascia della popolazione, di una rabbia che trasforma le persone in una pentola a pressione pronta ad esplodere, nel venire meno di ogni regola di solidarietà e convivenza.
Ma un’analisi come questa non la facciamo perché vorrebbe dire analizzare un po’ anche noi, quello che stiamo diventando o che forse siamo già diventati: esseri indifferenti a tutto se non al proprio orticello e ai propri bisogni personali, carichi di odio e di rabbia nei confronti di tutti. E allora capiremmo che il problema è molto più profondo e che la soluzione non è una roba così semplice e banale.
