Il missionario sugli insulti a Silvia Romano: "Anche quello è fondamentalismo"
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Il missionario sugli insulti a Silvia Romano: "Anche quello è fondamentalismo"


Padre Paolo Latorre conosce i luoghi in Kenya dove è stata sequestrata la cooperante milanese: "Non penso che chi l'ha insultata sia un perfetto cattolico, magari neanche crede in Dio che è anche peggio.

Padre Paolo Latorre, missionario comboniano
Padre Paolo Latorre, missionario comboniano
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12 Maggio 2020 - 16.17


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Chi è l’estremista: gli insulti a Silvia Romano “non fanno onore all’Italia” e danno voce “alla parte poco onesta intellettualmente”. 
Padre Paolo Latorre, missionario comboniano, conosce i luoghi in Kenya dove è stata sequestrata Silvia Romano. Lavora da sedici anni tra gli ultimi di Nairobi e mette in guardia anche sugli insulti alla ragazza, liberata dopo 18 mesi di prigionia e che si è converta all’Islam: “Attenzione o diventeremo noi i prossimi fondamentalisti”.
Padre Latorre parla con grande chiarezza riferendosi agli insulti rivolto alla giovane cooperante milanese: “Questa è la parte poco onesta anche intellettualmente perché non posso insultare una persona per delle scelte, anche se posso capire che non sono state libere. Rispondo con la stessa arma: da parte di chi insulta è un altro indottrinamento, rispondo con un altro indottrinamento e questo rivela il poco spessore culturale di chi insulta. Una cosa è confrontarsi e cercare un terreno comune che porti ad un dialogo, a risanare le ferite, altra cosa è partire in quarta con l’indottrinamento dell’insulto”.
Amara la riflessione di padre Latorre: “In Italia questi insulti sono usati spesso e non ci fa onore. Rivela il fatto che vogliamo attaccare dei valori senza mostrarne altrettanti stabili perché non penso che chi ha insultato Silvia Romano sia un perfetto cattolico, magari chi la insulta neanche crede in Dio, il che è anche peggio. Attacco un valore senza averne uno mio. E su questo bisogna molto lavorare perché altrimenti diventeremo noi i prossimi fondamentalisti”. 
Padre Paolo Latorre conosce molto bene il Kenya e le tante insidie, ancora più pericolose se non si ha esperienza alle spalle e una giovane età come quella di Silvia a Romano: “I dubbi a noi che lavoriamo sul posto erano sorti subito alla notizia del rapimento della Romano. Beninteso, io non conosco la onlus e non la giudico ma in un villaggio che sta ad 80 km dalla strada principale, in situazioni con poca capacità di interagire anche con la lingua locale, ci è sembrato abbastanza azzardato”.
“Il Kenya – racconta il missionario comboniano – vede la partecipazione di molti giovani. Anche io negli anni scorsi ne ho accolti parecchi però eravamo molto attenti perché non è un’esperienza avventurosa. Io non voglio giudicare ne’ interferire con il lavoro della onlus, so che si occupano di infanzia ed è una preoccupazione legittima. Lo facciamo anche noi attraverso il centro di riabilitazione per ragazzi di strada che abbiamo a Nairobi. La giovane età di Silvia e la poca esperienza, considerata anche la distanza del villaggio dalla strada principale con tutte le difficoltà per mettersi in salvo, magari sono state un azzardo”.
Padre Latorre torna anche sulla conversione, reale o indotta, di Silvia Romano: “I casi di indottrinamento sono chiamati tali perché anche se ci si entra forzatamente poi uno si convince che quella è la strada, è difficile capire quanto sia reale. Non ho niente da ridire su una conversione perché per noi cristiani cattolici una conversione, se ben motivata, può anche essere riconosciuta e rientra ad ogni modo nella libertà di religione. Certo, sono rimasto colpito dal fatto che Silvia Romano abbia detto di non essere stata costretta. Gli abiti poi, per quello che conosco dell’Islam radicale, dicono che l’abito fa il monaco”.

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