Donna morta per malaria: ad Agrigento raccolta firme per chiedere un reparto di malattie infettive
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Donna morta per malaria: ad Agrigento raccolta firme per chiedere un reparto di malattie infettive

L'appello, su Change.org è rivolto soprattutto al governo della Regione, che sulla sanità ha competenze.

Loredana Guida
Loredana Guida
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30 Gennaio 2020 - 10.37


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“Agrigento, basta tragedie come quella di Loredana, nel nostro ospedale vogliamo che finalmente ci sia un reparto di malattie infettive”. Questo il senso dell’appello che viaggia sui social. Una raccolta firme organizzata da un primo nucleo di cittadini indignati dall’incredibile morte di una giovane donna per malaria.
L’appello, su Change.org è rivolto soprattutto al governo della Regione, che sulla sanità ha competenze. Nel frattempo, la magistratura è al lavoro per ricostruire ogni attimo della vicenda, per individuare le responsabilità. Si rilegge la cartella clinica di quando Loredana Guida arrivò al pronto soccorso. Dice:” Riferito stato influenzale. La paziente riferisce di essere stata in Africa”.
Registrazione al triage delle 11.41 del 15 gennaio. Assegnazione del codice verde, nonostante quel riferimento all’Africa. Nella cartella, si legge ancora: “Quadro poco critico, assenza di rischi evolutivi, prestazioni differibili”. Così la registrazione di quel caso, ora nelle mani della magistratura. Ai raggi X ilo servizio Accettazione del San Giovanni di Dio. Parole, quelle lette dai magistrati, che alla luce di quel che è poi accaduto, potrebbero apparire i passaggi di una incredibile “sentenza”. Loredana col suo codice verde, con la febbre alta, è rimasta ad aspettare per ore, superata da codici “giallo” e “rosso”, così fino alla disperata decisione di firmare e andare a casa, sfibrata dall’attesa. Con quanto accaduto, ad Agrigento emergono due urgenze. Il primo,appunto, la necessità di istituire un presidio per le malattie infettive, anche per la collocazione “geopolitica” della città, frontiera di quanti arrivano dal Sud del mondo in Europa, magari passando la Lampoedusa. Il San Giovanni di Dio, ospedale al centro di altri drammatici eventi che ora si rileggono.
Di uno ne parlammo anche qui, a Globalist, la morte del giovane marocchino nei pressi del pronto soccorso di Agrigento; morte che apparve figlia di leggerezze, di scelte sbagliate. Infatti, il giovane, ospite di una vicina struttura di accoglienza, era stato portato in Ospedale perchè dava evidenti segni di squilibrio. Per lunghe ore fu lasciato in attesa, perso di vista, libero di uscire dallo spazio dell’accettazione, fino apoter fare, non visto, un gesto estremo, togliersi la vita. Ed emerse allora che qualche anno prima i vertici dell’Azienda ospedaliera di Agrigento avevano deciso di ristrutturare per l’ennesima volta il Pronto Soccorso dell’Ospedale. Per adeguarlo a nuovi standard, capaci di rispondere alla delicatezza del servizio. Ma il progetto di ristrutturazione ai più non sembrò all’altezza, non corrispondente a quello che occorreva ed occorre ad un servizio di Triage. Il progetto, infatti non prevedeva un’area di osservazione dei pazienti dopo il triage, la prima accoglienza. Il box dove era previsto, e dove poi sarebbe stato realizzato il triage, appariva decisamente isolato rispetto alla zona per l’attesa dei pazienti. Inoltre, questa zona di attesa a sua volta appariva (e tutt’ora è) nettamente separata dalla zona degli ambulatori medici e delle sale di emergenza dove devono successivamente giungere i pazienti.
Tutto, senza possibilità di controllo visivo diretto o attraverso monitor. Anche nel caso del giovane immigrato in evidente stato di disagio mentale, si assegnò il “codice verde”. Anche in quel caso, lunga attesa, senza alcun “accompagnamento”. Lasciato in una sorta di terra di nessuno. Eppure il discusso intervento strutturale al Pronto soccorso di Agrigento pare sia costato più di mezzo milione di euro. Per quell’intervento, la struttura rimase agibile solo in parte per quasi due anni. Due lunghissimi anni di disagi per il personale e per l’utenza.

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