Il giudice: "Picchiare con calci e pugni un detenuto rinchiuso in uno stanzino non è tortura"
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Il giudice: "Picchiare con calci e pugni un detenuto rinchiuso in uno stanzino non è tortura"

Le motivazioni della revoca dei domiciliari di un agente penitenziario accusato di violenze sui detenuti

Tribunale di Torino
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30 Novembre 2019 - 16.39


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Secondo quanto ha deciso il Tribunale del riesame di Torino, chiudere un detenuto in uno stanzino dopo averlo costretto a stare faccia al muro per una quarantina di minuti e quindi percuoterlo con calci e pugni è certamente un trattamento ‘degradante’, ma non basta per essere considerato tortura. Su questa assurda base, il Tribunale ha quindi deciso di annullare gli arresti domiciliari per uno degli agenti di polizia penitenziaria del carcere delle Vallette indagato, insieme ad alcuni colleghi, per episodi di violenza su alcuni reclusi. 
I giudici hanno effettuato una panoramica sulla giurisprudenza in materia di “tortura” che nel corso degli ultimi decenni è stata composta a Strasburgo dalla Corte europea per i Diritti dell’Uomo, arrivando alla conclusione che esiste una differenza fra trattamento “degradante” e trattamento “disumano”.
L’agente, assistito dall’avvocato Antonio Genovese, è stato indagato solo per un episodio, e il reato introdotto nell’ordinamento italiano nel 2017 vuole che “a fronte di un’unica condotta il trattamento sia inumano e degradante”. Il detenuto ha riferito che le ripetute angherie, dall’agosto al novembre 2018, lo gettarono “in uno stato di ansia” ed è stato considerato credibile; ma l’agente non puo’ essere considerato responsabile perche’ la sua è stata una “condotta unica”, commessa peraltro solo il 17 novembre.
Il caso era stato al centro di una polemica particolarmente feroce qualche tempo fa perché Matteo Salvini aveva condannato le indagini e gli arresti, sostenendo che ‘si dava maggior valore alla parola di un detenuto che a quella dei poliziotti’. In realtà non era andata così e le indagini erano state svolte dalla stessa polizia penitenziaria dietro segnalazione di Monica Simone, Garante delle persone private della libertà. L’inchiesta era durata per oltre un anno, in una situazione di particolare difficoltà dato che la polizia stava indagando su sé stessa. 

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