Noi sardi prigionieri dell'ennesima alluvione e delle strade di cartapesta che franano
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Noi sardi prigionieri dell'ennesima alluvione e delle strade di cartapesta che franano

Questa foto significa che circa 50 mila persone sono isolate totalmente dal resto dell'Isola, ospedali compresi.

Il ponte sul rio Santa Lucia lungo la statale 195 che collega Cagliari al comune di Capoterra
Il ponte sul rio Santa Lucia lungo la statale 195 che collega Cagliari al comune di Capoterra
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Claudia Sarritzu Modifica articolo

10 Ottobre 2018 - 16.59


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Essere sardi non è semplicemente essere gli abitanti di una regione italiana come le altre. Tralasciando la nostra storia profondamente distinta da quella del Continente, il nostro essere isolani è qualcosa di più. E’ un modo differente di percepire spazi e tempi da qualsiasi altro italiano.

Quando dico di essere sarda dico tante cose del mio modo di essere e di vivere, del mio modo di stare al mondo. Quando dico ‘sono sarda’, questo essere sarda porta con se tutti i limiti di una vita qui anche se per me questa terra è il migliore posto al mondo. Ma è un posto lontano da tutto il resto e nei fai i conti sin da bambino.

Mi trascino un bagaglio di difficoltà quotidiane che solo chi abita qui può capire. Per noi è naturale non trovare un aereo disponibile anche per settimane. Per noi è normale non pensare ai treni locali come a dei mezzi di trasporto validi, in Sardegna per spostarsi da Cagliari a Olbia ci vogliono 6 ore e i treni veloci che la Regione ha comprato si è scoperto solo poco dopo che non potevano viaggiare sulle nostre rotaie perché troppo vecchie.

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Per noi è praticamente ovvio che la nave si chiami Tirrenia e basta (è un monopolio che accettiamo senza praticamente protestare) e per noi sta diventando altrettanto normale che quando piove le nostre strade si sbriciolino sotto i nostri piedi. Sono normali i morti. Non nelle campagne ma nell’hinterland del capoluogo, Cagliari. La foto che vedete allegata al pezzo mostra come sia crollato completamente il ponte sul rio Santa Lucia lungo la statale 195 che collega Cagliari al comune di Capoterra. Un tratto di strada, qualche chilometro prima, era già ceduto provocando una voragine che ha costretto la Polizia municipale a chiudere la statale all’altezza del ponte della Scafa. La forza dell’acqua, a seguito dell’esondazione del rio avvenuta in mattinata, ha inghiottito quello che rimaneva della strada già parzialmente sommersa dopo la rottura degli argini del rio Santa Lucia. Ora con il crollo la statale è tagliata letteralmente in due. 

Ma l’unica cosa che dovrebbe essere normale è la pioggia, anche se essere sardi e bambini significava la maestra dell’elementari che negli anni ’90 ti portava alle processioni per pregare piovesse, perché avevamo l’acqua potabile solo la mattina (per anni) e quindi ti toccava giocarti anche la carta di Dio. 

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Questa foto significa che circa 50 mila persone sono isolate totalmente dal resto dell’Isola, ospedali compresi. Significa che oggi una signora di Capoterra a solo 15 km da Cagliari è stata soccorsa con l’elicottero per poter partorire in sicurezza. Significa che chi lavora nelle uniche industrie del Sud Sardegna deve passare per Teulada per raggiungere il posto di lavoro, due ore di tragitto invece che 30 minuti. 

E mentre siamo senza luce elettrica e strade, con l’acqua dentro le case e i ricordi indelebili di 10 anni fa e i morti che non abbiamo dimenticato, non dimentichiamo neppure che a marzo 2019 si vota. E vorremmo candidati che per prima cosa ci diano il diritto alla mobilità. Un diritto che l’attuale Giunta ci ha strappato definitivamente. 

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