Ritorno a Danisinni, magico ombelico di Palermo
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Ritorno a Danisinni, magico ombelico di Palermo

Dopo lo splendore arabo, un infinito degrado. Ora i giovani di "SottoSopra" vogliono dare un altro verso al loro quartiere.

Danisinni
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Onofrio Dispenza Modifica articolo

24 Gennaio 2017 - 16.14


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Per un tempo lunghissimo, fino ad arrivare ai nostri giorni, a Palermo “Danisinni” ha significato degrado. Per un tempo lunghissimo il nome di questo quartiere di Palermo è comparso nelle guide di tutto il mondo come uno dei luoghi più degradati e pericolosi. Dimenticato dalla politica d’ogni tempo, sotto esame di sociologi e studiosi stranieri, di cineasti e di qualche buona inchiesta, anche televisiva. Nella lettura di Danisinni da ricordare anche un reportage fatto dai suoi ragazzi e portato al Giffoni festival, l’appuntamento dei cinema con i più giovani. Eppure, in questa depressione della città tutto parla, meglio parlava, dell’età più bella di Palermo, quella legata alla presenza araba. Ed ancora più indietro nel tempo, storia di bellezza. Oggi a Danisimnnici siamo per una buona notizia, per una dolce rivolta dei suoi ragazzi: raccoltisi nell’associazione SottoSopra, hanno attraversato il quartiere, hanno chiesto che la stampa locale lo facesse con loro, ed hanno chiesto di confrontarsi col Comune. Hanno un progetto per fare rinascere i loro luoghi e chiedono che il governo della città li ascolti e si dia da fare. Sarà anche perché le elezioni amministrative sono vicine, sta di fatto che c’è stato un primo incontro e che si è registrata l’intenzione del Comune di ascoltare. Vogliono strade percorribili e che valorizzino l’identità del quartiere, a cominciare da una scala, ora in abbandono, che collega Danisinni al resto del mondo. E nel mondo che sta attorno a Danisinni c’è anche uno dei monumenti più belli e affascinanti dell’isola, il castello della Zisa. Una magia. I ragazzi di SottoSopra chiedono anche che finalmente si apra l’asilo, e che si facciano vivi più spesso i mezzi pubblici. Oggi sono rari, per un autobus si aspetta quasi un’ora. Per rendere omaggio a questi ragazzi che hanno “costretto” il Comune a venire qui, al centro Tau, a confrontarsi con loro, rileggiamo qualche pagina della storia di Danisinni. Storia di nobiltà e miseria, anche di violenze, ma pure di lavoro e di povertà imposte. Lo facciamo con l’aiuto della Parrocchia di Sant’Agnese V.M. che non si limita a curare le anime. Come nel resto della città, spesso dove non c’è il governo delle cose come uno Stato democratico vorrebbe, supplisce la Chiesa. E scrive pagine poco conosciute, fatte di piccoli miracoli quotidiani, di grandi resistenze, di sacrifici estremi. Le prime notizie storiche di Danisinni risalgono all’epoca araba. Un mercante di Bagdad, ‘Ibn Hawqal, giunto a Palermo nell’anno 972-973, nel suo libro “Delle vie e del reame”, dà notizie dell’esistenza di una depressione a monte dello Hàrat as-Saqàabdh, il quartiere degli schiavoni, uno dei cinque quartieri in cui, nel periodo della dominazione araba, era divisa la città. Michele Amari tradusse così: “Quivi stendesi anco una fondura tutta coperta di papiro, ossia bardì ch’è proprio la pianta di cui si fabbricano i tumar (rotoli di foglio da scrivere)…Io non so che il papiro d’Egitto abbia su la faccia della terra altro compagno che questo di Sicilia. Il quale la più parte è attorto in cordame per le navi e un pochino si adopera a far de fogli pel Sultano…”. Dentro la “fondura”, costeggiando la città, il fiume giungeva al vecchio porto, oggi la Cala. Forse perché il papiro cresce rigoglioso sulle rive del Nilo, le leggende popolari fantasticarono ( e continuano a fantasticare ) che il Papireto ricevesse le acque dal fiume africano, che per misteriose vie sotterranee sgorgava dalla grotta grande di Danisinni. E così un altro storico, il Villabianca descrive la grotta e la sorgente “Anisinde”.“Dal cupo fondo di una ben lata limacciosa grotta, che ha la forma di un’ampia stanza, con volta sopra fattavi di vive selci, prendendo posto lungo le mura di Palermo dalla parte di ponente sopra il Pipirito in distanza di 500 passi, ci vien donata questa gran fonte. L’erbe e verzure, che la impellicciano, li tortuosi canali del suo bel corso, che alle donne fan lavatoj”….. E con orgoglio qui i giovani raccontano di quando gli arabi sfruttarono le acque purissime di Danisinni. Acque limpide, tanto che intorno all’anno 1000, l’emiro Giafar Ibn Yusuf fece costruire un acquedotto per approvvigionare alcune fontane della città con quell’acqua. Si, perché l’origine del nome Danisinni, presumibilmente, risale ad una delle sorgenti che alimentavano il fiume, forse proprio quella che scaturiva dalla grotta grande. La sorgente – citata da ‘Ibn Hawqal – era chiamata ”Ayu’abi Sa’Idin, la fonte di Abu Said. O forse prese il nome dalla bella Principessa figlia di un walì, il governatore, del tempo Abu Said soprannominato “Ahmad’ad Dayf , l’ospite, che sulla grotta costruì la sua dimora. Quest’ultima, forse, l’ipotesi più probabile anche perché sposata dalla tradizione popolare. Nel passato il perimetro Danisinni era molto più estesa, lambiva il parco della Zisa e arrivava al convento dei Cappuccini. Tanto esteso da essere diviso in contrade. Ecco l’anima di Danisinni, o come amano dire i palermitani, “i Denesinni”, come se il luogo fosse la somma degli uomini che ci vivono. Poi, dopo gli splendori, lentamente e inesorabilmente, iniziò l’opera di “cancellazione” dei luoghi e delle origini. Il vuoto fu occupato dal segno negativo, per i luoghi e per gli uomini. Si cominciò nel XV secolo quando l’inquinamento delle acque del fiume e della palude raggiunse livelli di pericolosità’ tali che il Senato palermitano, nel 1489 decise il prosciugamento del fiume e il risanamento della palude. il progetto, che prevedeva la canalizzazione delle acque fino alla cala, fu messo in opera solo nel XVI secolo. Oggi, quel poco che resta del canale, si trova a circa otto metri di profondità rispetto al calpestio di piazza Danisinni. E nella storia che incontra la favola nera, nella narrazione dei luoghi fatta da chi ancora ci abita c’è anche la fantasiosa diceria che le puntura di un insetto, particolare di questa zona, causasse la morte delle donne punte “in certi periodi del mese”. Si racconta pure che i mariti che volevano sbarazzarsi della moglie, la portassero a passeggiare proprio in questi luoghi. Ma questa è l’altra Palermo, misteriosa e attraversata dalle “magarie”. Dalle “magarie” di ieri alla magia di oggi, la piccola magia di un gruppo di giovani che – come suggerisce l’associazione che li raccoglie – vogliono mettere SottoSopra il verso delle cose.

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