L'inquietante tracotanza di chi vuole eliminare Nino Di Matteo, il magistrato più protetto del mondo
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L'inquietante tracotanza di chi vuole eliminare Nino Di Matteo, il magistrato più protetto del mondo

Per il pm del processo sulla trattativa Stato-Mafia potrebbe arrivare il trasferimento, dopo che la mafia ha minacciato di farlo fuori. [Onofrio Dispenza]

Il pm nel processo sulla trattaiva Stato-Mafia, Nino Di Matteo
Il pm nel processo sulla trattaiva Stato-Mafia, Nino Di Matteo
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Onofrio Dispenza Modifica articolo

11 Ottobre 2016 - 12.53


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di Onofrio Dispenza

Nino Di Matteo è il magistrato più scortato e più protetto della storia.

Attorno a lui, con le carni ancora bruciate dall’estate di sangue del ’93 che ci portò via, uno dietro l’altro, Falcone e Borsellino, è stato realizzato un sistema di protezione che non ha analogie nel mondo. Eppure, nell’ombra c’è chi accetta la sfida ed ha preparato un attentato contro di lui, l’ordine di farlo fuori è prossimo, tutto è pronto. Massima allerta, pericolo reale e immediato, che nasce da intercettazioni recenti, che seguono le parole rubate a Totò Riina e alle confidenze di diversi pentiti. Nino Di Matteo, dunque, deve morire. Chi vuole eliminarlo è convinto di aver predisposto un piano capace di superare ogni ostacolo. Il magistrato è stato chiamato in fretta dal Consiglio Superiore della Magistratura e il CSM gli ha prospettato un trasferimento immediato. Giusto che lo abbia fatto, ma Di Matteo ha preso tempo, deve valutare se lasciare Palermo può essere interpretato come una fuga, probabile voglia valutare anche cui prodest, a chi gioverebbe. Elemento utile alla sua indagine, e che solo lui riuscirà a valutare perché ( forse) solo lui conosce lo stato dei lavori.

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Un trasferimento immediato probabilmente gli salverebbe la vita. Questo probabilmente, certamente l’interruzione del lavoro che Nino Di Matteo svolge a Palermo segnerebbe una battuta d’arresto inevitabile, grave, probabilmente tombale per le cose alle quali lo stesso Di Matteo è applicato. Il magistrato più protetto del mondo, il magistrato al quale si consiglia un trasferimento è il magistrato che ricopre la pubblica accusa nel processo che vuole fare luce sulla trattativa Stato-mafia. E’ l’inchiesta delle inchieste, se si trova la chiave interpretativa di quel passaggio della storia d’Italia si dà una risposta “alta” alla stagione delle stragi, alle ragione di Capaci e via D’Amelio, di tanti altri delitti e di scorribande continue e pericolose  nei tessuti vitali della nostra democrazia. Svanirebbero le tante ombre su inquietanti scenari, si darebbe un nome a sceneggiatori, registi, attori e comparse del più grande horror della storia d’Italia. E la produzione ha iniziato nuove riprese. L’ipotesi del trasferimento d’ufficio, era stata già prospettata al magistrato palermitano nel marzo dello scorso anno. A Di Matteo fu proposto un cambio di sede extra ordinem, per motivi di sicurezza.

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 Una misura prevista dalle norme, che però è subordinata all’ accordo dell’ interessato. In quell’occasione Di Matteo non accettò perché era in corso la scelta di tre sostituti procuratori da assegnare alla Direzione nazionale antimafia. Lui era tra gli aspiranti. Fu escluso però dalla commissione competente, e aspettava la decisione del plenum del Consiglio Superiore della Magistratura. Di Matteo alla fine restò fuori. Fece ricorso al Tar, ricorso respinto. Per il Tar, legittima la decisione del Consiglio. Di Matteo era intenzionato a presentare appello al Consiglio di Stato, senza fare domanda per i nuovi posti da sostituto alla Superprocura che nel frattempo sono stati messi a concorso. Questo, per ribadire la convinzione di aver subito una ingiustizia con quella esclusione. Ora torna l’ipotesi di un trasferimento immediato, senza concorso, alla Direzione nazionale antimafia.

Di Matteo ha chiesto tempo, vuole riflettere. Accettare vorrebbe dire anche accettare l’ archiviazione del contenzioso. Sembra che certi difficili nodi nel percorso di alcuni uomini dello Stato siano fatti apposta da un abile regista: mettere gli stessi uomini e la democrazia di fronte a scelte che comunque pagano un pegno. Nodi già visti.

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L’esclusione, poi il trasferimento. Processo che conobbe anche Giovanni Falcone. Andare a Roma non lo salvò. La storia rischia di apparire terribilmente ripetitiva.

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