Ecco cosa ricordo di Luciano Gallino
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Ecco cosa ricordo di Luciano Gallino

Tre riflessioni in memoria del maestro Luciano Gallino, uno dei maggiori studiosi della crisi del Lavoro. [Romano Calvo]

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9 Novembre 2015 - 15.01


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di Romano Calvo Propongo tre brani che ho selezionato da una delle ultime pubblicazioni di Luciano Gallino:

La lotta di classe dopo la lotta di classe (Laterza, 2012).

“Intorno al 1980, gli attivi finanziari e il PIL del mondo più o meno si equivalevano. Entrambi ammontavano a 27 trilioni di dollari.
Poco meno di trent’anni dopo, verso il 2008, gli attivi finanziari valevano più di quattro volte il PIL mondiale, avendo superato i 240 trilioni contro i 60 circa di quest’ultimo.
Dovrebbe essere chiaro che qualcosa non quadra.
Com’è possibile che l’economia reale (il cui valore totale va notato da parte sua comprende già il valore aggiunto delle istituzioni finanziarie) valga 1 e gli attivi finanziari, i depositi di denaro e titoli che sono ricchezza sotto forma finanziaria – escluse quindi le industrie, le proprietà immobiliari i Picasso da 60 milioni di euro e simili – valgano 4 volte tanto?
Molto semplice: il denaro, anziché essere investito in attività produttive è stato impiegato soprattutto per moltiplicare se stesso, invece di creare valore d’uso nell’economia reale.
In sintesi il termine finanziarizzazione designa in primo luogo uno squilibrio, per certi aspetti incomprensibile e smodato, tra gli attivi finanziari e il PIL del mondo.
Finanziarizzazione significa anche un’altra cosa e cioè la ricerca ossessiva di sempre nuovi campi della vita sociale, dell’esistenza umana e della natura da trasformare il più rapidamente possibile in denaro.” (pag.48)

[…]

“Essendo egemone, nel senso gramsciano del termine, la classe capitalistica transnazionale non ha bisogno di alcun complotto per agire come vuole sul terreno economico e politico. E’ una classe i cui membri interpretano la stessa parte , sia pure con differenze di abilità e di stile, indipendentemente dalla nazionalità: parlano lo stesso linguaggio, quello dell’ortodossia neoliberale, e con il medesimo di sicuro pensano; hanno innumerevoli occasioni e luoghi di incontro.
Una parte che è quella assegnata loro dalla struttura economica che la esprime e che elargisce loro incentivi stellari non meno che dure punizioni se compiono errori nel corso della recita. E’ una classe che gode di un potere mai visto nella storia. Ed è circondata dal consenso di centinaia di milioni di persone , che essa stessa ha impiegato decenni a costruire.
Perché mai i suoi componenti dovrebbero prendersi la briga di inventare un complotto?”
(pag. 97)

[…]

“Le manipolazioni esplicite dell’opinione pubblica a volte premeditate a volte no, rappresentano un fattore di rilievo quando si cerca di rendere plausibili i tagli al bilancio e in generale le politiche di austerità.
Un peso ancor più rilevante lo hanno le cose non dette e gli argomenti recati dai dilettanti per caso.
Ad esempio,m negli articoli più o meno dotti sulla necessità di ridimensionare ad ogni costo il modello sociale europeo, non emerge quasi mai che il deficit di bilancio della media dei paesi UE – cresciuto 10 volte tra il 2007 ed il 2009, dallo 0,7% al 7% (parlo di deficit, non di debito) – non è affatto dovuto all’aumento delle spese sociali. Le quali in quel periodo , sono state praticamente le stesse e si mantengono stabili da almeno una decina di anni. Il deficit suddetto è vistosamente aumentato perché sui bilanci statali si è ripercossa la crisi delle banche, il cui onere per i bilanci pubblici della UE dal 2008 ad oggi, lo ricordo, viene stimato in circa 3 Trilioni di Euro.
Pertanto affermare che i bilanci pubblici sono un disastro, e imputare questo disastro a un eccesso di spesa sociale, è un’argomentazione o incompetente o faziosa.” (pag. 145)

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