Fame e carestie: l'Europa non chiuda occhi e porte
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Fame e carestie: l'Europa non chiuda occhi e porte

Sono orgoglioso della mia Italia, dove non si dimentica il passato e dove ha fatto ritorno il figlio di un italiano che lasciò la terra dei Padri per cercare fortuna: Bergoglio.

Fame e carestie: l'Europa non chiuda occhi e porte
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3 Ottobre 2013 - 14.45


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di Giancarlo Governi

Mentre in televisione e sulla Rete scorrono le immagini dell’orrore di Lampedusa, di questi corpi coperti allineati sulle spiagge dell’isola eroica, dei soccorritori piangenti e sgomenti di fronte a questa immane tragedia, non posso non pensare a Pier Paolo Pasolini, il poeta che immaginava il futuro con la forza della poesia.

Ce lo ha ricordato Gianni Borgna nel suo bellissimo documentario presentato al Festival di Venezia di quest’anno, dal titolo “Profezia. L’Africa di Pasolini”. Nel 1962, quando il mondo occidentale stava superando e riparando le ferite della guerra mondiale e l’Italia stava vivendo gli anni più intensi del miracolo economico, Pier Paolo Pasolini “vide” l’invasione dei popoli ricchi da parte dei popoli affamati dell’Africa.

Una profezia che oggi si sta avverando in dimensioni sempre più terribili. Prima a Lampedusa arrivavano ogni giorno quasi tranquillamente, raramente qualcuno rimaneva in mare, e a terra, nella meravigliosa isola siciliana che meriterebbe di ricevere il Premio Nobel per la Pace, si mobilitavano i primi soccorsi e si attivava l’accoglienza.

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Ora gli arrivi sono precari, carrette del mare che a stento si reggono a galla imbarcano centinaia e centinaia di disperati, donne, qualcuna addirittura incinta, bambini, per portarli verso il paradiso dei poveri, verso l’Europa ricca, per essere sfamati, ricevere un lavoro e un avvenire per i propri figli. Per questi popoli, devastati dalle carestie e dalle guerre civili, è rimasta soltanto l’Europa.

La sindaca di Lampedusa ha amplificato questa mattina la sua richiesta di aiuto. La sua isola non può più da sola farsi carico di questa immane tragedia che rischia di amplificarsi ogni giorno di più. L’Europa deve sapere che Lampedusa non è una piccola isola della Sicilia ma è la porta d’Europa, la sua più estrema propaggine. E quindi l’Europa tutta si deve fare carico di questo grande problema.

L’Italia, anche con le eccezioni vergognose di chi vorrebbe ributtare a mare i migranti e proteggere le nostre coste con le fuciliere della guardia costiera, è un Paese accogliente e misericordioso, nel senso cristiano della parola. E poi non può dimenticare che è stato un popolo di migranti. Fino al 1930, quando il fascismo mise la parola fine alla emigrazione, si calcola che venti milioni di italiani hanno lasciato la terra dei Padri, per andare a cercare fortuna e lavoro altrove, nelle Americhe e anche in Europa. Nel dopoguerra il fenomeno della emigrazione riprese tanto da pensare che un’altra Italia si sia trasferita altrove.

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Anche la nostra emigrazione ha subito le sue tragedie. Ci furono molti naufragi dimenticati, uno solo raccontato dai cantastorie: la immane tragedia del naufragio del Sirio, che, diretto nel Sud America nel 1906, andò a incagliarsi negli scogli della costa spagnola, dove si infransero per sempre la vita e le speranze di 700 italiani. Il Sirio era partito da Genova, da dove partirà Mario Bergoglio, il padre di Papa Francesco, esattamente venti anni dopo. Ecco dove era finito uno dei quei venti milioni di italiani, era finito a Buenos Aires , nella città della “buonaria”, e oggi suo figlio ha fatto ritorno in patria come Vescovo di Roma, come ama definirsi Papa Francesco. Il quale non ha dimenticato di essere figlio di emigranti e uno dei primi viaggi lo ha fatto proprio a Lampedusa dove è sceso in mezzo ai disperati per condividere la loro disperazione.

Io sono orgoglioso della mia Italia, dove non si dimentica il passato e si restituisce magari con gli interessi il grande credito che nel secolo scorso ci fu fatto. E dove ha fatto ritorno il figlio di un italiano che tanti anni fa lasciò la terra dei Padri per cercare lavoro e fortuna altrove.E che ora chiamiamo Papa Francesco.

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