Lo Porto rischia la vita ma è dimenticato
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Lo Porto rischia la vita ma è dimenticato

Da un anno e mezzo il cooperante siciliano è nelle mani dei rapitori in Pakistan. Le trattative sono in stallo. Anzi, si sta facendo poco o nulla.

Lo Porto rischia la vita ma è dimenticato
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11 Luglio 2013 - 09.01


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Giovanni Lo Porto, qualcuno si ricorda di lui? Cooperante italiano rapito in Pakistan il 19 gennaio 2012, dimenticato. Sì dimenticato. Perché se qualcuno pensa che il silenzio di questi mesi stia servendo a non disturbare eventuali trattative per la sua liberazione di sbaglia di grosso.

Tutti stanno con le mani in mano. E i giorni passano. Siamo ad un anno e mezzo di prigionia. Niente nuove, buone nuove. Vero. Peccato che ogni giorno la vita di Giovanni Lo Porto sia a rischio. E ogni giorno di sopravvivenza sia un giorno guadagnato. Qui non si tratta di spaventare nessuno – tantomeno familiari e amici – perché i sequestratori del cooperante italiano, al momento, hanno in mente solo il business: soldi.

Ma siamo sicuri che due ostaggi europei (Lo Porto è stato rapito insieme con il tedesco Bernd Johannes) non possano un giorno essere utilizzati “politicamente” per mandare un messaggio all’occidente? Parliamo di un’area del Pakistan ad altissima instabilità.

Ma cosa ne è di Giovanni Lo Porto? Le ultime notizie attendibili raccolte da Globalist sono dello scorso ottobre. Allora stava bene e anche in discrete condizioni fisiche e morali. Notizie abbastanza sicure arrivate dopo un iter piuttosto complicato e che non avevamo reso note per l’impossibilità di riscontri certi.

Del resto, in quelle aree tribali dove si presume si prigioniero Lo Porto è quasi impossibile comunicare e le notizie arrivano dopo complicati passa-parola sulla cui filiera nessuno può dirsi certo al 100%. Giovanni Lo Porto, come aveva proprio un anno fa scritto Globalist, il cooperante italiano di Welthungerhilfe, l’ong tedesca impegnata ad aiutare le popolazioni pakistane colpite dall’alluvione rapito a Multan, nella provincia centro-occidentale del Punjab, era stato venduto ad un gruppo filo-qaedista pakistano.

Come non raramente capita nei sequestri di persona, i rapitori iniziali hanno deciso di disfarsi dell’ostaggio, cedendolo ad una organizzazione con molte più capacità di gestione politica e criminale della vicenda. La notizia è stata confermata a Globalist da fonti pakistane, in grado di aggiungere molti particolari sulla vicenda.

Stando a queste ricostruzioni, il gruppo che ha rapito Giovanni Lo Porto e Bernd Johannes, il tedesco responsabile locale della ong, era formato da criminali comuni, in cerca di un facile guadagno. Ma dopo circa due mesi di sequestro, i primi carcerieri si sono trovati in difficoltà e hanno venduto l’ostaggio a una ben più strutturata organizzazione filo-qaedista pakistana,che aveva intenzione di realizzare qualche “business” per autofinanziarsi.

Così Lo Porto e Bernd Johannes, fino ad allora tenuti non lontano da Lahore, sarebbero stati trasferiti a circa 4 ore di macchina da Lahore, in direzione nord, un’area tribale, dove non c’è libertà di movimento per un estraneo. Un’area nella quale, ovviamente, non esiste una copertura né per cellulari che per telefoni satellitari.

Le ultime notizie parlano di una situazione estremamente instabile in quell’area. Giovanni Lo Porto deve essere liberato al più presto. Italiani, tedeschi, pakistani. Chi può fare qualcosa lo faccia. Ma stavolta sul serio.

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