Quando Minoli si inginocchiò agli Agnelli
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Quando Minoli si inginocchiò agli Agnelli

Il pensionato Minoli propone un format in previsione delle elezioni. C'è da credere che Gubitosi dirà di sì. Tra uomini Fiat, d'altronde... Leggete qui dal libro di Gigi Moncalvo.

Quando Minoli si inginocchiò agli Agnelli
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4 Dicembre 2012 - 16.56


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Pensionati che lavorano, ex dirigenti Rai che non mollano. Pochi giorni fa Giovanni Minoli – in pensione dalla Rai dal 27 maggio 2010 e subito dopo incaricato di curare le trasmissioni per il 150mo dell’Unità d’Italia – ha presentato al direttore generale della Rai, alla presenza dei direttori di rete, il numero zero di un nuovo format, titolo “Il Candidato – La politica alla prova dei fatti”, una specie di sfida tv tra i candidati con tanto di televoto.

Secondo le anticipazioni di Paolo Conti sul “Corriere della Sera” non è dato ancora conoscere la risposta del direttore generale, Luigi Gubitosi. Ma, c’è da esserne certi, sarà positiva dato che tra uomini-Fiat ci si dà sempre una mano. Ovunque e comunque. Lo dimostra ciò che andiamo a raccontare.

A realizzare il format dovrebbero essere gli autori e la redazione de “La storia siamo noi”. Con tutto il rispetto per la loro professionalità, ed evitando ogni tipo di generalizzazione, ci auguriamo che non si ripeta ciò che accadde per una indimenticabile puntata del programma condotto da Minoli: quello dedicato alla morte di Edoardo Agnelli, andato in onda due anni fa.

Gigi Moncalvo lo ha raccontato in alcune pagine del suo nuovo libro “Agnelli segreti” (Vallecchi Editore) dopo aver scoperto nel fascicolo giudiziario conservato presso la Procura della repubblica di Mondovì, che indagò sulla morte del figlio di Gianni e Marella Agnelli, alcune e-mail spedite dalla curatrice della puntata che su Minoli racconta che… di Gigi Moncalvo

“Per tentare di chiudere ogni discussione (è stato un suicidio, punto e basta!) con la scusa di “celebrare” il decimo anniversario della morte, confermando la tesi ufficiale tanto cara alla Famiglia, arriva, nel novembre 2010, una puntata di “La storia siamo noi”, il programma di Giovanni Minoli, un giornalista Rai molto vicino agli ambienti Fiat e che a Torino è anche presidente, dal 2009, della Fondazione Castello di Rivoli, una carica che in genere tocca a uomini di comprovata fedeltà (ha preso il posto di Cesare Annibaldi), alla “real casa”. Minoli nel 2008 era stato anche autore di una repentina e improvvisata puntata del suo programma allestita allo scopo di fare da contraltare a “Confronti”, sulla stessa Raidue, che con due puntate di grande ascolto aveva violato il silenzio stampa televisivo sulla vicenda dell’eredità dell’Avvocato e della causa intentata da Margherita. Minoli, presentando l’anteprima del filmato su Edoardo, sottolineava «anche la collaborazione e la disponibilità ottenuta per il suo lavoro dalla famiglia Agnelli», come annotava «La Stampa» con gratitudine, aggiungendo queste sue parole: «Se mi si pone l’alternativa tra delitto e suicidio, dico suicidio». Il giornale di Jaki Elkann sintetizza così il programma: «La conclusione è che sì, Edoardo era davvero disperato; aveva deciso di farla finita, di lasciare l’auto accanto al parapetto del viadotto fra Marene e Fossano e andare giù per 73 metri nel suo “ultimo volo”, come dice il titolo della trasmissione».

Per accreditare la tesi tanto cara a Torino, Minoli si affida a due esperti evidentemente non sgraditi alla “real casa” e scelti per rafforzare la tesi ufficiale: Luciano Garofano e il medico legale Roberto Testi, che lavora proprio a Torino. Se, come afferma il nuovo procuratore della Repubblica di Mondovì, Maurizio Picozzi, i due esperti sono stati autorizzati a esaminare il fascicolo “secretato” grazie all’autorizzazione dei parenti del defunto –cioè la madre Marella ma non la sorella Margherita– significa che la vedova dell’Avvocato era stata rassicurata sul taglio della trasmissione tv e sui risultati cui si sarebbe arrivati?

La puntata intitolata “L’ultimo volo”, viene preceduta – ulteriore conferma che le tesi di quel programma erano “gradite” a Torino… – da un forte battage proprio sui giornali del gruppo Fiat. (…) Quella puntata del programma di Gianni Minoli nasconde un retroscena che dimostra quanto la trasmissione fosse “concordata” con casa Agnelli, e quindi volesse mette in luce solo la tesi del suicidio tanto cara ai “torinesi”, venendo meno a ogni principio di obiettività. Come di consueto, il conduttore di “La storia siamo noi” fa realizzare le puntate da una casa di produzione esterna alla Rai, in questo caso la D.N.A. International di Roma, che utilizza propri mezzi (operatori, telecamere, luci, montaggi) e proprio personale, facendogli talvolta svolgere anche un lavoro giornalistico. Il regista è Alberto D’Onofrio, a fare le domande e a occuparsi anche degli aspetti produttivi è Alessandra Ugolini. Minoli, molto probabilmente, ogni volta compare solo in sede di impostazione, dà la linea, sceglie chi fare intervistare in esterna. Dopo di che visiona il materiale girato più significativo, dà indicazioni per il montaggio e infine, quando tutto è pronto, va in studio a presentare la puntata.

Alessandra Ugolini, che svolge gran parte del lavoro, il 4 settembre 2009 comincia a stabilire i contatti, scrive al procuratore della Repubblica di Mondovì, gli chiede un’intervista (ma indica di avere già la disponibilità di un altro magistrato, Ezio Basso, anche se questi non ha mai avuto nulla a che fare con l’inchiesta), illustra gli intendimenti del programma: «Con linguaggio asciutto da documentario anglosassone cercherà di raccontare attraverso interviste ad amici, conoscenti e parenti la figura di Edoardo Agnelli, sofisticato, colto e malinconico», fino al giorno in cui «fu ritrovato morto sul greto del fiume Stura». Dunque, nell’e-mail al procuratore non si parla di suicidio e si assicura «una ricostruzione seria e documentata del giorno della tragedia. Vorremmo – conclude la Ugolini – analizzare con argomentazioni scientifiche le tante voci sul presunto “mistero” della morte di Edoardo». Notare l’aggettivo «presunto» e quel “mistero” tra virgolette. Il procuratore capo Picozzi ribadisce la sua linea: per visionare il fascicolo è necessaria l’autorizzazione scritta della famiglia, anche se non parla più di tutta la famiglia… La Ugolini allora si rivolge a Torino, all’avvocato Giovannandrea Anfora, dello studio Grande Stevens, ma ottiene una chiusura netta. L’avvocato scrive subito al procuratore e cita un precedente per bloccare tutto: «Per incarico dell’avv. Franzo Grande Stevens, legale della famiglia Agnelli, trasmetto in allegato lettera del 9 giugno 2008 indirizzata al giornalista Marco Bernardini con la quale analoga iniziativa a quella oggi proposta dalla Rai non fu autorizzata dalla famiglia stessa». C’era il progetto di produrre un film tratto dal romanzo Edoardo.

Senza corona, senza scorta, uscito nel 2003. Bernardini, ex-giornalista di «Tuttosport», aveva cercato di ottenere il placet della famiglia di Edoardo, ma la risposta di Grande Stevens era stata: «Autorizzato da lei, ho fatto leggere la scenografia [sic!] alla famiglia che (in particolare la mamma di Edoardo) mi hanno fatto sapere che non desidererebbero che si attuasse il progetto del filmato». La famiglia di Edoardo è costituita da sua madre e da sua sorella. Dato che Margherita non è mai stata interpellata, non si comprende perché il famoso avvocato usi la terza persona plurale parlando di «famiglia». In realtà, è stata da lui richiesta l’autorizzazione soltanto a donna Marella: non è quindi vero che «la famiglia» abbia potuto leggere «la scenografia», (mentre invece si tratta di ben altra cosa: la sceneggiatura).

Il portavoce di Grande Stevens, cioè l’avvocato Anfora, per quanto riguarda il progetto di Minoli per la Rai, chiude definitivamente ogni possibilità richiamando anche l’articolo del Codice penale che vieta «la diffusione di notizie sulle quali la legge prescrive di mantenere il segreto nell’interesse dello stato o causare pregiudizio alla riservatezza dei testimoni o delle parti private». Per questo «si conferma il dissenso e la non autorizzazione alla pubblicazione degli atti del fascicolo processuale in questione». È il 22 settembre 2010.

A questo punto Alessandra Ugolini “mobilita” Giovanni Minoli e la “contrarietà” assoluta della famiglia viene improvvisamente a cadere. Che cosa ha estratto dal cilindro Minoli per far cambiare idea? Quali condizioni sono state poste e, evidentemente, accettate? È la Ugolini a spiegarlo in un’e-mail subito spedita sia all’avvocato Anfora che al procuratore di Mondovì, ai quali scrive come se si trattasse della sua prima richiesta e non ci fossero state di mezzo, nel frattempo, né la condizione posta dal magistrato né il diniego di Grande Stevens. La Ugolini, indirizzando al «Gent. Avv. Canfora [sic!]», questa volta parla di «un documento sul suicidio» di Edoardo Agnelli, non più della sua «morte», come in precedenza. Inoltre gioca la carta decisiva: «Il direttore di Rai Educational, Giovanni Minoli (che trasmetterà e presenterà il documentario) ha parlato personalmente con John Elkann per informare la famiglia». Ma che c’entra John con suo zio Edoardo? Dato che, forse, egli ha parlato solo con la nonna ma non certo con la madre, come si può dire che è stata informata «la famiglia»? Quale? Di chi? La Ugolini mette sul tavolo una seconda carta: «Noi abbiamo mandato alcune mail all’ufficio stampa di casa Agnelli (dott. Griva) per spiegare il documentario e richiedere la partecipazione di alcuni membri della famiglia. Ci hanno confermato la loro disponibilità Lapo Elkann, Lupo Rattazzi e Tiziana Nasi».

Dunque Griva, capoufficio stampa dell’Ifi (ora Exor), cioè di Gabetti e John Elkann, ha comunicato a Minoli chi sono i testimonial della “famiglia” prescelti per rilasciare dichiarazioni su Edoardo. La sorella del defunto, cioè l’altra metà della famiglia vera, non risulta essere stata nemmeno interpellata. Che c’entrano John, Gabetti, Griva, Anfora, Grande Stevens e quei tre da intervistare? Come si permettevano di autoconsiderarsi “la famiglia di Edoardo”, dopo quel che gli avevano fatto in vita? A questo punto la Ugolini introduce un nuovo elemento: il fascicolo giudiziario sarà fatto «visionare da alcuni esperti». «Questa parte del documentario per noi è fondamentale – aggiunge – perché si chiariscono molti dubbi e “voci” – aggiunge – sul presunto mistero della morte di Edoardo».
Ma come fa la curatrice del programma a sapere in anticipo che «si chiariscono molti dubbi»? Lo spiega lei stessa rivelando le vere intenzioni di Minoli e del documentario: «Dal fascicolo (dov’è vero che emergono alcune lacune nell’indagine svolta) il nostro medico legale neutrale sosterrà l’ipotesi della caduta in piedi (dal tipo di fratture riportate e dall’altezza rilevata dopo la caduta che risultava 20 cm in meno) confermando in sostanza l’ipotesi del suicidio». È incredibile; la curatrice di un documentario, prima ancora di esaminare il fascicolo e farlo leggere ai suoi “esperti”, annuncia la tesi che sosterrà «il nostro medico legale», il quale ovviamente è “neutrale”: dirà che non ci sono dubbi, Edoardo si è suicidato. Viene aggiunto quel che sosterrà il medico legale “neutrale” (o “suggerito” da qualcuno?): Edoardo è caduto «in piedi», e a causa del violento impatto, il suo corpo si è accorciato di 20 centimetri! Ecco risolto “scientificamente” il mistero dell’errata indicazione dell’altezza di Edoardo da parte del medico legale di Fossano. Prima di morire Edoardo era alto un metro e 90, dopo la morte è diventato un metro e 70 (anche se nel referto medico, sbagliato, c’è scritto 1,75 e quindi “l’accorciamento” sarebbe stato di 15 centimetri).

Davvero interessante, per quello che era stato annunciato come un «documentario anglosassone» dal «linguaggio asciutto».
Ecco dunque chiarite le ragioni per cui l’opinione della “famiglia” è cambiata dopo che Minoli ha parlato con John, dopo che evidentemente sono state fornite “garanzie”, dopo che l’ufficio stampa Ifi ha scelto e imposto chi deve essere intervistato, dopo anche che i nomi degli “esperti” sono stati probabilmente concordati, e quegli esperti “istruiti”, se è vero – come scrive la Ugolini – che uno di loro ha già detto che sosterrà la tesi del suicidio, senza nemmeno aver letto gli atti.

Nel giro di quarantott’ore il no irrevocabile del portavoce di Grande Stevens viene capovolto. Il povero Anfora si rimangia tutto e scrive al procuratore: «A seguito dei chiarimenti forniti personalmente dal dott. Giovanni Minoli, direttore di Rai Educational, consentiamo la visione del fascicolo processuale». La Ugolini manda un fax con i dettagli operativi in cui conferma che il fascicolo non è stato ancora letto: «Avremmo bisogno di visionare il fascicolo con i nostri esperti in una stanza della procura per circa un’ora sistemando delle luci». Dunque a loro bastano sessanta minuti per leggere le cinquecento pagine del dossier, lasciar meditare gli esperti, approfondire ogni aspetto, farli truccare e pettinare, montare le luci, studiare le inquadrature, riprendere le pagine più interessanti del fascicolo. E soprattutto confermare che si è trattato, senza dubbio, di suicidio. Come tutti loro sapevano già da prima…”.

(dal libro “Agnelli Segreti”, Vallecchi Editore, di Gigi Moncalvo)

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