Chi è il Patriarca Kirill, il 'cristiano' che benedice la guerra di Putin nel nome dell'omofobia
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Chi è il Patriarca Kirill, il 'cristiano' che benedice la guerra di Putin nel nome dell'omofobia

Vladimir Michajlovič Gundjaev, nato a Leningrado (l’attuale San Pietroburgo) il 20 novembre 1946, consacrato vescovo nel 1976 ed eletto il 27 gennaio 2009 con 508 voti su 702 sedicesimo Patriarca di Mosca dopo la morte di Alessio II

Chi è il Patriarca Kirill, il 'cristiano' che benedice la guerra di Putin nel nome dell'omofobia
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12 Marzo 2022 - 09.48


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Chi è il patriarca Kirill I, ossia il capo della chiesa di tutte le Russie che ha benedetto la guerra di Putin come una sorta di lotta del bene contro il male e per impedire che prima con i gay pride e poi con altro il ‘peccato’ si impossessi del mondo?

Vladimir Michajlovič Gundjaev, nato a Leningrado (l’attuale San Pietroburgo) il 20 novembre 1946, consacrato vescovo nel 1976 ed è stato eletto il 27 gennaio 2009 con 508 voti su 702 sedicesimo Patriarca di Mosca dopo la morte di Alessio II.

Prima della vocazione, faceva il tecnico cartografo per la spedizione geologica di Stato tra i geli e le popolazioni dell’Estremo Oriente russo. Sia il nonno che il padre erano sacerdoti della Chiesa ortodossa bandita e perseguitata nei primi anni del comunismo. Il primo aveva collezionato quarantasette incarcerazioni, sette condanne all’esilio, trent’anni in totale di detenzione. Il secondo, sacerdote anche lui, aveva passato più di tre anni per «mancata lealtà politica» in un gulag della famigerata Kolyma, in Siberia.

Finito il seminario, la carriera ecclesiastica di Kirill si sviluppa a un ritmo impressionante: segretario del Metropolita della città, rettore dell’Accademia spirituale, arcivescovo, presidente del comitato rapporti esterni del Patriarcato, infine metropolita.

A Putin, definito una volta un “miracolo di Dio” lo lega una vecchia amicizia: si dice maliziosamente che i due abbiano stretto buoni rapporti quando erano entrambi agenti del Kgb. Guida 165 milioni di fedeli sparsi nel mondo.

Colto, politicamente abile, capace di diverse aperture come quando da rettore dell’accademia sorprende tutti imponendo nuovi corsi aperti anche alle donne ma, soprattutto, le lezioni di Educazione fisica: «Perché mai un religioso non dovrebbe curare il proprio corpo?».

Tra i suoi hobby, lo sci alpino, l’allevamento dei cani di razza, lo sci acquatico, gli orologi di lusso, come quello esibito (e poi cancellato con Photosop dopo le proteste dei fedeli) durante un’udienza nel Patriarcato di Mosca.

Kirill non è un tipo diplomatico come dimostra l’atteggiamento avuto nei confronti della chiesa ortodossa ucraina, un mix di questioni storiche, religiose e politiche, che deflagra nel 2018, quattro anni dopo l’annessione della Crimea da parte di Putin. Il presidente ucraino Petro Poroshenko, predecessore di Zelensky, chiede a Bartolomeo I, Patriarca ecumenico di Costantinopoli, di autorizzare l’autocefalia, cioè l’indipendenza, della chiesa ortodossa d’Ucraina. Il capo dello stato spiegava che il fine della richiesta consisteva esclusivamente nella volontà di porre termine allo scisma tra la chiesa ucraina dipendente da Mosca e quella del patriarcato di Kiev, considerato appunto scismatico.

Una situazione che risale ai primi anni Novanta, quando alla costituzione della chiesa ortodossa autonoma posta sotto la giurisdizione di Mosca si affiancò due anni più tardi il cosiddetto patriarcato di Kiev, fondato da Filarete in risposta al diniego russo di concedere l’autocefalia a Kiev. Poroshenko sapeva bene che la mossa avrebbe provocato l’ira di Mosca, acuendo una crisi già complicata dove ogni goccia di benzina gettata sul fuoco rischiava di far divampare l’incendio. «Come nel caso dell’adesione alla Nato e all’Unione europea, non chiederemo il permesso a Vladimir Putin o a Kirill», aveva detto in un’intervista Poroshenko lanciando il guanto di sfida.

Dopo che il patriarcato di Costantinopoli aveva nominato due esarchi per Kiev con l’obiettivo dichiarato di «garantire l’autocefalia della chiesa ortodossa ucraina», Kirill aveva risposto senza troppa diplomazia. In un comunicato durissimo, il capo del dipartimento sinodale per i Rapporti con chiesa, società e media del patriarcato di Mosca, Vladimir Legoyda, aveva detto che si tratta di una «pesante e senza precedenti incursione nel territorio canonico del patriarcato di Mosca»; promettendo che un’azione «del genere non può essere lasciata senza una risposta». A rincarare la dose, l’arciprete Andrey Novikov, membro della Commissione teologica del patriarcato di Mosca, che in un’intervista all’agenzia Interfax aveva detto: «Tutte le espressioni secondo cui senza il patriarcato di Costantinopoli le altre chiese locali sono come pecore senza pastore, e che Costantinopoli possiede certe esclusività e incarna l’ethos dell’ortodossia avendo anche diritti speciali di giurisdizione finale su tutta la chiesa per assicurarne l’unità, riprendono le opinioni cattoliche sul ruolo del Papa nella chiesa, e questa è già una pura eresia».

Per Kirill la “via occidentale” alla fede cristiana è una via perdente, che annacqua la religione, è tiepida sui grandi temi etici, a cominciare dall’aborto, e offre molte concessioni, anche solo per quieto vivere, al mondo secolare e ai dogmi del “politicamente corretto”. Nel 2014, in occasione del Natale ortodosso, il Patriarca in un’intervista televisiva aveva parlato, riferendosi all’Occidente, di “disarmo spirituale delle masse”.

Spesso, aveva detto, «il diritto a professare apertamente la propria fede cristiana è violato in un occidente ossessionato con la questione della protezione dei diritti umani». Aveva citato il caso della giornalista norvegese fatta sparire dal video perché rea di portare al collo una piccola croce, o di infermiere costrette a rivedere il proprio abbigliamento perché manifestamente cristiano. Certo, aveva aggiunto, in «Europa i valori cristiani sono ancora presenti nella vita delle persone. Ma la tendenza politica generale, la direzione generale delle élite è indubitabilmente anti cristiana e anti religiosa. Noi abbiamo conosciuto l’ateismo e quindi vogliamo lanciare un grido al mondo intero: fermatevi, noi sappiamo che tipo di vita è quella».

Una visione pugnace, da combattente che però non s’è vista nel condannare l’invasione russa dell’Ucraina che sta provocando la morte di migliaia di civili, molti dei quali bambini.

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