Il reverendo D'Ambrosio: "Il 25 aprile è come Natale: nessuno lo può cambiare"
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Il reverendo D'Ambrosio: "Il 25 aprile è come Natale: nessuno lo può cambiare"

Parla l'Ordinario di Filosofia politica alla Pontificia Università Gregoriana: "La festa della Liberazione dal fascismo, dai nazifascisti. La festa di Bella Ciao"

Liberazione dal nazifascismo il 25 aprile 1945
Liberazione dal nazifascismo il 25 aprile 1945
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Riccardo Cristiano Modifica articolo

25 Aprile 2020 - 09.16


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Ordinario di Filosofia politica alla Pontificia Università Gregoriana il reverendo Rocco D’Ambrosio non si sottrae ad alcune considerazioni su questo 25 aprile nonostante abbia diversi impegni con i suoi studenti e con gruppi di studio. “Ma non c’è contraddizione tra quello che faccio in questi giorni di chiusura con gli studenti che chiamano e questo fermarmi volentieri a parlare con Globalist del 25 aprile. Perché il 25 aprile è un po’ come il Natale. Il Natale non cambia nel corso del tempo, della storia o della mia vita: è sempre la stessa festa, il Natale di Gesù Redentore. Non cambia. Così il 25 aprile è, analogamente, sempre la festa: la festa della Liberazione dal fascismo, dai nazifascisti. Cambia il modo in cui lo celebro, lo festeggio, lo vivo nella mia attualità, ma resta la festa di Bella Ciao. Così quest’anno il 25 aprile lo festeggio con più impegno.”
Da cosa viene questa necessità di maggiore impegno personale?
“Deriva dalla percezione di due problemi. Il primo può sembrare un accostamento ironico: la liberazione sta per arrivare. La liberazione dalla quarantena intendo dire. Ma quella Liberazione, il 25 aprile, è stata preparata. Nessuna liberazione arriva così, all’improvviso o per caso. Allora ci furono le staffette partigiane, ci furono le vittime, ci furono le distruzioni, i sacrifici. Dunque con l’impegno, la fatica, il sudore, si preparò il 25 aprile. Nello stesso modo si deve preparare la liberazione anche oggi. Questa preparazione richiede impegno. Per esempio questo impegno lo immagino e lo apprezzo in chi lavora 22 ore al giorno in laboratorio per arrivare al vaccino. E’ un impegno che prepara la mia, la nostra liberazione. Questo impegno però non può essere demandato, non c’è una categoria che deve lavorare 22 al giorno e altre che possono stare a casa ad aspettare e basta. Se vogliamo davvero la liberazione dobbiamo preparala. Anche nella nostra consapevolezza della sfida, di che emergenza affrontiamo. Siamo in guerra? No, non credo che siamo in guerra, siamo in un’emergenza sanitaria, ma non abbiamo un nemico, abbiamo delle sfide enormi e comuni davanti. Così, tanto per fare il più piccolo esempio, dobbiamo acquisire coscienza dell’importanza dei comportamenti sociali e di qui dei comportamenti complessivi. La liberazione si prepara, sempre.”
Professore, veniamo al secondo.
“Il secondo problema che avverto è apparentemente più grave, riguarda il ritorno di tesi politiche che portano ad una sorta di annacquamento del nostro antifascismo. Sembra a molti una storia passata, finita e la scomparsa dei protagonisti aggrava questa percezione sbagliata. Il 25 aprile è una festa attuale e antifascista perché la storia del nostro popolo è questo, una storia antifascista. Non si può annacquare la storia. Il popolo non è una massa informe alla quale qualcuno dà voce; no. Un popolo esiste nella storia e la storia che rende esistente il nostro popolo è quel biennio che va dal 25 aprile, liberazione dal nazifascismo, alla promulgazione della nostra costituzione repubblicana, democratica e antifascista. Però proprio recentemente, nell’imminenza del Giorno della Shoà, il centro Kantor ci ha messo davanti a un dato drammatico: i maggiori incidenti antisemiti sono aumentati del 18% nel mondo: 456 nel 2019 contro i 387 del 2018. Allora non posso non preoccuparmi. E’ un allarme che riguarda tutti e va capito. E’ la riprova che dobbiamo impegnarci per difendere la nostra storia, perché l’identità italiana è quel che è successo tra la data della Liberazione e la data della promulgazione della nostra Costituzione, frutto dell’incontro tra tre culture: quella socialcomunista, quella cristiana e quella liberale.”
Ricordando e capendo questo a suo avviso si capiscono anche altre cose relative all’oggi?
“Certo. Si capiscono tanti valori, si capiscono anche i simboli: per esempio si capisce anche cosa sia la bandiera nazionale. Il tricolore è lacrime e sangue: quelle lacrime, quella fatica, quel lavoro di tessitura e d’incontro e quel sangue versato per la libertà e la democrazia. Noi invece ci ricordiamo del tricolore o per dire che che stiamo male o per festeggiare la vittoria dei campionati di calcio. Certo, va bene anche quello, figurarsi. Ma il tricolore non è solo sport. E allora penso a questo 25 aprile con la preoccupazione dell’impegno perché per manutenere vivo il valore del nostro tricolore è mantenere viva la storia e l’identità del nostro popolo, e per arrivare ancora alla liberazione, serve sempre impegno, dedizione, fatica.”
Dunque non possiamo guardare con serenità e soddisfazione a noi stessi in questo 25 aprile 2020?
“Non dico questo. Noi abbiamo la forza del pronto soccorso. Nel momento drammatico questa forza ci sorregge, porta a galla quella radice profonda di solidarietà, di prossimità, che non delude. Ma va alimentata, sviluppata: è una radice importante che dobbiamo far crescere. Così guardo con interesse a tanti settori operativi della nostra società, da chi ha tenuto aperto i supermercati a chi per paghe modeste ha consegnato i pacchi a casa a tutti noi, per non dire ovviamente dell’impegno eroico negli ospedali. Le piccole scene di prossimità che ho visto in Italia e la grande dedizione commovente di dottori, dottoresse, infermieri, infermiere: è una riserva che abbiamo e ci aiuta enormemente. Ma la stessa passione e dedizione serve anche nel dibattito, nel confronto culturale. Il popolo non è una folla alla quale qualcuno può dare una voce, la sua ovviamente: non è così. Il popolo sono persone, individui e le voci che devono parlare al popolo del passato e del presente devono contribuire a preparare e rendere chiara l’attualità indicando i problemi, le esigenze, le dimenticanze, le priorità, i puniti di partenza.”
Vede qualche esempio positivo di quello che dice, di quel che propone?
“Sì. Lo fa, secondo il suo stile e nel suo ruolo, ogni mattina Papa Francesco. Pochi minuti di omelia che sono un memorandum da ricollegare al precedente e che aiutano a capire, a proseguire, a vedere, a immaginare. Lo fanno anche altri ovviamente, ma dovremmo farlo di più. Intendo dire tutti noi. Voglio finire facendo un esempio: tutti diciamo che l’Europa non va, o quanto meno che potrebbe andare meglio. Non si possono prendere decisioni che stravolgano la lettera e il senso dei trattati. E’ vero, ma intanto si potrebbe lavorare a riscriverli questi trattati. Si potrebbe difenderne lo spirito adeguandolo al passare del tempo, alle nuove sfide, alle nuove emergenze.”

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