Libia, Meloni vagheggia il "piano Mattei" mentre Erdogan realizza il suo piano di conquista
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Libia, Meloni vagheggia il "piano Mattei" mentre Erdogan realizza il suo piano di conquista

L’attore esterno protagonista in Libia in questi ultimi mesi è certamente stata la Turchia che ha rafforzato la propria politica estera, mettendo a segno numerosi successi, e non solo a Tripoli

Libia, Meloni vagheggia il "piano Mattei" mentre Erdogan realizza il suo piano di conquista
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

30 Ottobre 2022 - 12.18


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Mentre in Italia il Presidente del Consiglio vagheggia un “Piano Mattei”, in Libia, come documentato in più articoli da Globalist, si sta sempre più imponendo il “piano Erdogan”.

Tra favole e realtà

A scriverne è anche Lorenzo Vita su Inside Over. Annota Vita: “Mentre il nuovo governo italiano volge il suo sguardo verso l’Africa, con Giorgia Meloni che ha parlato immediatamente di un ‘piano Mattei’, per il continente a sud del Mediterraneo, dalla Libia giungono notizie che fanno riflettere. La prima, e forse una delle più importanti, è il viaggio del primo ministro Abdul Hamid Dbeibeh in Turchia per siglare due nuovi accordi in materia di difesa  con il governo di Recep Tayyip Erdogan. Il primo accordo “prevede di aumentare l’efficienza delle capacità dell’aviazione militare in Libia”, spiegano le agenzie libiche. 

Cosa che, come riporta Agenzia Nova, secondo alcuni analisti sarebbe l’anticamera per l’invio di nuovi droni turchi a Tripoli in sostegno del governo di unità nazionale. A questo proposito, alcuni osservatori hanno parlato di una fornitura che si aggirerebbe intorno ai 250 milioni di dollari di droni Baykar Bayraktar Akinci. Il secondo accordo, invece, prevede l’attuazione di protocolli già firmati nel 2019, e che ora diventerebbero sostanzialmente esecutivi.

Gli obiettivi della Turchia

Il segnale lanciato dalla Turchia non è da sottovalutare. In primis perché conferma l’attivismo di Ankara in una settore fondamentale quale quello del Mediterraneo centrale, in particolare nel ginepraio libico. E questo risulta essenziale anche alla luce del fatto che nonostante altre crisi incombano ai confini turchi – da quella ucraina, al di là del Mar Nero, fino alle tensioni con la Grecia e alla stessa ebollizione del fronte caucasico – Erdogan sembra non avere mollato affatto la presa sul governo di Tripoli. 

Anzi, proprio in un momento in cui il governo di Ankara sembrava proiettato su altre questioni di più urgente attualità, la conferma di questi due accordi di sicurezza serve come monito per ricordare a tutti l’importanza della Libia nella politica estera del “sultano”. Quell’avamposto del Mediterraneo centrale che, per gli interessi turchi, serve non solo per proiettare la propria sfera d’influenza, ma anche come fondamentale carta negoziale nell’ambito delle trattative con l’Italia e in generale con l’Europa. u questo punto, è chiaro che Erdogan ha deciso di non arretrare. In una regione, quella nordafricana, in cui l’influenza del “sultano” è stretta tra l’Egitto e l’Algeria, la Libia rappresenta l’unico verso trampolino per proiettarsi nel Mediterraneo centrale ma anche per proseguire una penetrazione centroafricana resa possibile, nel corso di questi anni, da un mix di distrazione e scontro tra potenze europee e occidentali, caos interno e da una approfondita politica di soft power. Una rete di interessi che è giunta fino al Sahel  e in cui si ripropongono spesso le dinamiche internazionali viste in Medio Oriente con la spartizione di aree di influenza con la Russia o anche con fondamentali attori arabi.

La recente politica di disgelo da parte della Turchia, specialmente per quanto concerne i partner/rivali del Levante va inevitabilmente ci pari passo con questa strategia africana di Ankara. Ed è chiaro che in una fase di riequilibrio della politica energetica, con lo sganciamento europeo dalla Russia e con la ricerca spasmodica di nuove fonti, mantenere una presa su Tripoli serve anche come elemento di pressione nei confronti dell’Europa. 

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Non va dimenticato che a inizio ottobre, il governo libico e quello turco hanno firmato memorandum d’intesa su energia e gas per l’esplorazione di idrocarburi. Un settore dove l’apporto di Eni risulta fondamentale, , ma che rischia di essere messo a rischio da questo tipo di manovre politiche. Il memorandum, che si inserisce nel contesto degli accordi anche sulla spartizione delle zone economiche esclusive, evidenzia ancora una volta lo stretto legame tra Ankara e Tripoli. E nonostante l’opposizione di Egitto e Grecia (e anche l’irritazione francese), non sembra che il Paese nordafricano e quello mediorientale puntino a una marcia indietro”.

Così Vita.

Disegni neo-ottomani

Ne scrive Federica Saini Fasanotti in un dettagliato report per Ispi (Istituto per gli Studi di Politica internazionale).

“La situazione della Libia continua a destare molta preoccupazione tra gli osservatori internazionali- osserva Saini Fasanotti –  Persiste infatti la divisione politica tra il Governo di Unità Nazionale (Gnu) presieduto da Abdul Hamid Dbeibah e il Governo di Stabilità Nazionale (Gns) di Fathi Bashagha. Divisione che sta influenzando in maniera sostanziale la politica interna dei diversi protagonisti nonché le dinamiche legate alle alleanze con attori regionali come Egitto, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e, al momento, soprattutto Turchia. Davanti a una classe politica incapace di prioritizzare il benessere della popolazione stanno emergendo nuove tensioni che hanno come protagonisti i cittadini, le milizie locali, i politici stessi e i governi stranieri. Mai come oggi il paese rischia una deriva che potrebbe causare come ultimo risultato la spartizione. 

L’attore esterno protagonista in Libia in questi ultimi mesi è certamente stata la Turchia che ha rafforzato la propria politica estera, mettendo a segno numerosi successi, e non solo a Tripoli. Ankara ha mostrato visione e una certa aggressività nel mettere a punto una strategia di medio e lungo termine, già piuttosto chiara alla fine del 2019, quando l’allora Governo di Accordo Nazionale (Gna), presieduto dal primo ministro Fayez al-Serraj chiese aiuto alla Turchia per contrastare l’avanzata militare dell’Esercito nazionale libico del maresciallo di campo Khalifa Haftar. Prima di inviare droni e tecnici, Ankara firmò nel novembre del 2019 quel memorandum (MoU) che, attraverso un utile scambio di favori, permise al Gna, allora in estrema difficoltà, di liberare la capitale e di far retrocedere le forze ostili sino al Fezzan e alla Cirenaica. A questo proposito, va notato che uno dei protagonisti della lotta contro Haftar, e di conseguenza, contro il leader dell’HoR Aguila Saleh, fu proprio colui che oggi ne è diventato il pupillo, ovverosia il misuratino Fathi Bashagha che in quei giorni ricopriva il ruolo di ministro degli Interni.

In seguito alla firma del MoU, Ankara è intervenuta nella guerra civile libica con uomini e mezzi e la sua presenza è stata estesa, proprio il giugno scorso, per altri 18 mesi, allo scopo di avere il massimo controllo possibile sul territorio e un’intelligence adeguata. Pur confermando il proprio interesse nei confronti della Tripolitania – da sempre terra d’elezione per la Turchia – Ankara ha anche iniziato un certo dialogo con Aguila Saleh e i suoi rappresentanti a Tobruk, anche in virtù di una nuova spinta collaborativa con Egitto, Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita.

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Sebbene l’evento non sia stato pubblicizzato, la prima settimana di agosto il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan ha ricevuto ad Ankara figure di spicco dell’HoR, tra cui proprio Saleh. Erano presenti inoltre anche Abdullah al-Lafi, vicecapo del Consiglio presidenziale libico, e il presidente del parlamento turco Mustafa Sentop, che ha più volte sottolineato il sostegno di Ankara all’integrità territoriale della Libia e, soprattutto, alla sua stabilità. Anche il ministro degli Esteri turco Mevlüt Çavuşoğlu ha ribadito questo approccio, affermando che la Turchia non fa distinzione tra l’ovest e l’est della Libia, contrariamente a ciò che si pensa. Dopo la costituzione nell’aprile del 2021 di un Comitato parlamentare d’amicizia con la Libia, si è a più riprese parlato, così come affermato anche dall’ambasciatore turco a Tripoli Kenan Yilmaz di aprire il consolato turco a Bengasi nell’ottica di favorire gli affari tra i due paesi. Per la Turchia la posizione geopolitica della Libia all’interno del Maghreb e soprattutto del Mediterraneo è di grande rilievo. Avere un ruolo preminente nel paese, potrebbe significare anche avere la possibilità di controllare i flussi migratori che dalle coste africane si muovono verso quelle europee, soprattutto italiane. Il tema è quindi molto più delicato di quanto non possa apparire a una prima lettura. La Libia fa parte di un piano ben più ampio del presidente Erdoğan che vede la Turchia tassello fondamentale dei bilanciamenti globali, così come dimostrato più di una volta nel corso dell’aggressione russa all’Ucraina – dalla chiusura dello stretto dei Dardanelli alle navi da guerra all’incontro con Putin a Sochi il 5 agosto (a 17 giorni dal vertice a tre con il presidente Ebrahim Raisi in Iran) nell’ottica di sbloccare le navi che trasportano grano attraverso il Mar Nero a tutto il resto del mondo.

I russi, a loro volta, sono ancora presenti in Libia –  come in un’altra ventina di nazioni africane, si stima con circa 5.000 uomini in totale – in maniera non-ufficiale attraverso il Wagner Group, nonostante un lieve ridimensionamento dovuto all’esigenza di personale militare in Ucraina. Sebbene il Cremlino neghi ogni rapporto con il gruppo di contractors, da anni questo costituisce uno strumento fondamentale di Mosca per ottenere risultati prima militari e poi economici e politici. La loro presenza, soprattutto rispetto a ciò che sta succedendo in Ucraina, rappresenta una minaccia per gli interessi europei nello scacchiere, in particolare nell’area che va dal Maghreb al Sahel”.

Così l’analista di Ispi. 

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La Turchia non è più conciliante

“La firma del Memorandum del 3 ottobre  – osserva  Rodolfo Casadei su Tempi – segna la fine della fase conciliante della politica estera della Turchia, che torna ad essere conflittuale nei confronti della Grecia, dell’Egitto, della Cirenaica e della stessa Unione Europea. «La Ue non è un organo giudiziario internazionale che può commentare o giudicare accordi tra paesi terzi sovrani. Qualsiasi obiezione a un accordo firmato da due Stati sovrani costituisce una violazione del diritto internazionale e dei principi fondamentali dell’Onu», ha commentato il portavoce del ministero degli Esteri turco Tanju Bilgic in riferimento alle dichiarazioni di Bruxelles sul nuovo Memorandum”.

Rimarca  acutamente Antonio Bonanata su RaiNews: “Ha cercato sistematicamente (e molto abilmente, da vero animale politico) di ritagliarsi il ruolo di grande mediatore tra gli attori in campo. Tra l’arroganza russa e l’incrollabile determinazione ucraina. Una parte di arbitro che, a volte, ha travalicato la ristrettezza delle due singole parti in causa nella crisi tra Mosca e Kiev; forte della sua collaudata alleanza/amicizia con Vladimir Putin e della sua contemporanea presenza all’interno della Nato, che gli consentiva quindi di essere molto vicino a Volodymyr Zelensky. È il presidente turco Recep Tayyp Erdogan, il “sultano” di Istanbul, “l’uomo del giorno”, il grande manovratore di partite non solo militari, che non si limitano cioè al confronto sul campo di battaglia ma toccano diversi punti nevralgici e questioni di portata diplomatica, economica e commerciale. In primis, il gas esportato dal Cremlino, gli approvvigionamenti energetici verso l’Europa, l’annoso price cap alla compravendita dell’oro invisibile di Mosca…”.

La torta petrolifera

Globalist ne ha scritto a più riprese. Da anni.  Perché da almeno due anni ciò che sta davvero accadendo in Libia è la “Grande spartizione” tra il Sultano e lo Zar, al secolo Recep Tayyp Erdogan e Vladimir Putin.  Russi e turchi sono pronti a spartirsi la Libia e a esercitare la loro crescente influenza nel Mediterraneo Occidentale, scrivevamo due anni fa.  E’ questo che dicono le manovre aeronavali turche a largo delle coste libiche e lo schieramento dei jet russi nella base di Jufra che, secondo alcuni, hanno parzialmente sostituito i mercenari della Wagner. Ankara vuole insediarsi in Tripolitania, Mosca punta a farlo in Cirenaica. Dagli equilibri che si raggiungeranno dipende l’assetto della Libia di domani che, ancora una volta, non si deciderà né a Tripoli né a Bengasi, prosegue il documento. Da tempo infatti quella in Libia si è trasformata in una guerra per procura dove sono gli attori esterni, regionali, e globali, ha determinarne gli scenari e i possibili compromessi.

Un progetto di spartizione della Libia che, secondo indiscrezioni, sarebbe partito allora e finalizzato in un vertice segreto tenutosi a Malta a fine ottobre 2020. La posta in gioco non è solo il controllo degli idrocarburi gestiti dalla Noc (National Oil Corporation) con importanti contratti all’Eni, ma l’intero asset mediterraneo. E di questa partita la Russia è uno degli attori principali. 

E la neo inquilina di Palazzo Chigi si balocca con piani e blocchi (navali).

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